Avete presente quando pianificate le vostre vacanze da un anno, e durante tutto il mese prima di andarci comincia a fare un caldo terribile, con giornate meravigliose che rendono il vostro lavoro più difficile ed affrontabile solo perchè già pensate a quelle vacanze che si avvicinano, solo che poi una perturbazione artica decide di discendere lungo l’Europa e giungere sul luogo scelto per le vostre agognate ferie proprio a partire dal giorno del vostro arrivo?
Sensazione di merda, no?
Se aveste pagato almeno quel sovrapprezzo per la rescissione ci potevate almeno recuperare i soldi.
Beh, questa seconda edizione di Archival Night parte proprio sotto questo oscuro presagio che tramite le varie app e siti metereologici ha iniziato a farsi pressante una decina di giorni prima della data scelta per la manifestazione.
Il presagio però si è scontrato con la proverbiale cocciutaggine degli organizzatori, che hanno chinato il capo di fronte alle avversità ed hanno continuato a lavorare. Smadonnando magari, ma a lavorare alacremente.
E così arrivo a Matera all’ora del vespro, con un cielo che alterna i colori del tramonto lucano (provare per credere) a macchie di nuvole plumbee che si muovono veloci spinte dal vento freddo (la perturbazione artica di cui sopra).
Lo spettacolo è mozzafiato, ma lascia presagire male.
Quando arrivo in piazza San Giovanni Battista trovo le operazioni di soundcheck a buon punto. Come se niente fosse. Le facce tese non hanno impedito ai ragazzi di Archival di esprimere l’accoglienza (sacra da queste parti) nel migliore dei modi.
Tra le righe si leggeva qualche madonna, ma sempre col sorriso.
Il vento che si incanala tra le viuzze strette e tortuose della cittadina dei Sassi si fa sentire. Motivo in più per entrare in un bar a bere qualche birra.
Fin qui il tempo regge.
Alle 22:30 salgono sul palco i Niagara, la band torinese che con l’ultimo Hyperocean ha ottenuto critiche molto positive tanto da portare gli Animal Collective a fargli un remix della title-track.
Il palco è scuro, i due (più batterista) non hanno voluto luci se non i neon colorati che li illuminano alle spalle. Praticamente si vede solo il k-way verde fosforescente di Davide Tomat. La cosa dà la possibilità di godersi a pieno il meraviglioso videomapping proiettato da Mapping Theatre sulla facciata della chiesa di San Giovanni Battista lateralmente al palco.
Le atmosfere sono dilatate, non si capisce bene se la piazza, che si fa via via più gremita, sia in bambola per i suoni dei torinesi o stia intirizzita di freddo, ma dalle facce sognanti che si colgono, direi più la prima.
Mentre i torinesi incuranti del vento freddo vanno avanti in una scaletta che prende molto dell’ultimo disco, senza però esimersi dal fare qualche veloce incursione nella discografia precedente, il cielo si colora di arancione.
Le nuvole cariche di pioggia sono oramai sopra la piazza quando Gabriele Ottino imbraccia l’ukulele per suonare Seal.
Giove Pluvio non aspetterà la fine della scaletta, ma non impedirà ad i Niagara di terminare il pezzo. Impedirà al pubblico di chiedere il bis.
Già perchè tutti fuggono verso i bar ai margini della piazza, per ripararsi.
Le avrà portate con sè il vento artico di cui sopra.
La piazza oramai va svuotandosi; anche il video mapping si interrompe, ma dalle retrovie sento una voce che con accento toscano fa: “ah non c’è problema, io suono anche sotto la neve. Basta che mi mettiate un telone e suono!”.
È Cristiano Crisci, in arte Digi G’Alessio oltre ad una serie di altri moniker, ma che stasera è a Matera in veste di Clap! Clap!
E sotto la pioggia sale sul palco, sistema la sua consolle ed inizia una danza sciamanica, che in una enciclopedia della magia, si collocherebbe tra il Pifferaio Magico e la Danza della Pioggia in reverse.
Persone col volto truccato di colori fluo (il servizio di trucco era allo stand di Archival), ballano senza fermarsi un attimo, ma stare dietro al ritmo forsennato di Clap!Clap! è cosa ardua; sembra posseduto da un qualche spirito della foresta.
Ed anche quando ad un certo punto (credo colpa del trambusto generatosi precedentemente a causa della pioggia) succede che, per qualche attimo, il suo suono sparisca e si innesti qualcosa che parevano i Sistem of a Down, lui ci scherza sopra e si lascia andare ad un po’ di air guitar. Il suo stare sul palco è parte integrante dello show. Si fa fatica a non salire a ballare con lui.
La gente è ipnotizzata.
Oramai pochi guardano il video mapping che continua a far danzare ballerini fluo sulla facciata della chiesa. Si balla e basta. Che si sia sotto cassa, nelle retrovie, nei bar in fondo alla piazza, ma anche nel backstage.
Un rito sfrenato di purificazione collettiva che neanche si accorge dell’arrivo della mezzanotte, ora in cui in teoria si sarebbe dovuto staccare la musica (l’amministrazione comunale della futura Capitale Europea della cultura pare non vedesse di buon occhio la manifestazione), e si protrae per buoni 40 minuti ulteriori a suon di “Un ultimo pezzo. Corto. Corto una quindicina di minuti”.
Quando arrivano i Carabinieri il volume si abbassa repentinamente e Clap!Clap! assume l’espressione di chi abbia appena fatto una marachella.
Dopotutto le feste migliori si chiudono così.
Perchè Archival Night è questo che sembra, una festa.
La festa di chi vuole che ritmi contemporanei si suonino anche nelle periferie, nelle province (la Basilicata non è esattamente il centro del mondo).
Una festa difficile e per questo molto sentita, tanto da chi l’organizza, quanto da chi vi partecipa.
E per questo è stato bellissimo vedere che anche gli artisti siano stati così partecipi, tanto da non storcere il naso neppure davanti alla possibilità di suonare sotto la pioggia ed esibirsi esattamente come se fossero a Glastonbury, con la stessa carica (per la cronaca Clap!Clap! aveva la faccia di chi avrebbe potuto continuare per giorni il suo set).
Per ottenere tutto questo è necessaria una grossa dote di determinazione ed anche di cocciutaggine; i lucani anche questa volta sono stati tanto determinati quanto cocciuti.
Con buona pace del colonnello Giuliacci.
Dopo i saluti non resta che bere qualcosa per le viuzze dell’incantevole cittadina, aspettare che passi la voglia di dimenarsi e poi dileguarsi verso casa nella notte lucana.