Gli Anni felini di Alessio Forgione

“la revisione è a Milano, in lettura, e dopo una settimana mi è già chiaro che io o scrivo o non sto facendo nulla…”

Anni Felini è il nuovo libro di Alessio Forgione, il quarto della sua produzione e il secondo che esce per La nave di Teseo dopo Napoli Mon Amour e Giovanissimi editi da NN. Definirne la trama è molto semplice ma al contempo secondario rispetto al cuore di questo testo. Il libro alterna le voci di una piccola comunità di gatti che dal loro punto di vista osservano il mondo degli umani che li circondano e che a capitoli alterni prendono la parola per poi cederla all’Io narrante e al suo amico musicista Daniele, entrambi a loro modo alla ricerca di un centro di gravità permanente nelle loro esistenze.

Ma in realtà il libro usa questa trama per raccontare tutto ciò che accade mentre la nostra sedicente civiltà precipita, e sembra andare tutto bene se si finge di non sapere che la parte peggiore non è la caduta ma l’atterraggio come dicevano in quel film.
Quando si prende coscienza di come tutto quello che ci circonda sia un’ode alla decadenza la nostra scala di valori, quantomeno la scala di valori dell’io narrante di Anni Felini, che in qualche modo può coincidere con la visione di Alessio Forgione, si deve ricostruire dando priorità a sentimenti e comportamenti molto più profondi e diretti. Su tutti l’amore.

“l’unica cosa che conta ormai è l’amore, come nel cazzo di Cinquecento. Perché se ami tutta questa cosa orribile ti sembra vita e se non ami sembra esattamente l’entità che di tristezza in tristezza ti farà impazzire”

L’amore appunto, e in questo libro di amore ce n’è ma non declinato alla maniera didascalica: è un amore finito, un sentimento inseguito e sognato, una forma di resistenza interiore, una relazione andata in pezzi con la ragazza dalla pelle trasparente. Molti dei personaggi dei libri di Forgione si sfiorano, si avvicinano ma difficilmente riescono a prendersi per la vita. Ora chi scrive può provare a formulare una sua teoria, i personaggi dei libri di Alessio Forgione sentono su di loro molto forte, più degli altri, il peso di questo mondo che crolla e in qualche modo provano a tenersi vicini, senza riuscirci fino in fondo. Perché la vita entra a gamba tesa e pretende la sua parte. Intorno invece un mondo parallelo che ha scelto l’oblio, la dimenticanza, l’indifferenza. I protagonisti scelgono la pillola rossa e sono circondati da persone che prendono senza esitare quella blu. Questo solco invisibile scavato tra chi abita le pagine di Anni Felini e chi invece resta sullo sfondo delimita un perimetro all’interno del quale vive la coscienza di uno scrittore e tutto quello che ne resta fuori è perduto.

Come la città delle chiese abbandonate, indiscussa co-protagonista delle pagine di questo libro. Sappiamo tutti di quale città si parla ma evitiamo di chiamarla per nome – perché questo nome profuma ormai di irreversibile oleografia e di perdizione autoassolutoria. I libri di Forgione descrivono una città dalle viscere puzzolenti lontane anni luce dalla capitale del regno delle due Sicilie e che ormai è diventata il simbolo della mercificazione turistica più spietata. Non a caso riconosciamo il luogo narrato dai nomi dei suoi figli divenuti vittime, Ciro Esposito ad esempio e poi Davide Bifolco e Annalisa Durante. I nomi rendono visibile l’invisibile e noi scopriamo definitivamente Napoli attraverso i suoi figli perduti. Ecco come entra il mondo nei libri di Forgione. Entra e fa male, quando fino a pochi secondi prima non lo ritenevi possibile.

Ma non pensiamo che l’intento di queste pagine sia una filippica contro le semplicistiche rappresentazioni oleografiche della città del golfo, non c’è tempo per questo, perché la vita accade e reclama attenzione come un gatto che ti salta sulle gambe mentre stai provando a scrivere qualcosa col tuo laptop, e quindi l’io narrante si muove tra una revisione e l’altra di un libro che sarà pubblicato di lì a poco, il suo amico Daniele impasta e rimesta suoni e armonie senza trovare una quadra soddisfacente per il suo disco. Viviamo così in queste pagine il making of della copertina de Il Nostro meglio, e seguiamo l’autore mentre abbozza altri capitoli della sua futura produzione. Siamo davanti alle note di regia che ci trasportano in una dimensione di meta scrittura. Perché possiamo vivere le sensazioni e osservare i modi in cui uno scrittore cova le sue trame e scrive le sue pagine ma soprattutto possiamo apprendere nel modo più diretto possibile quanto la scrittura sia un modo di agire sul mondo che si vede crollare pezzo dopo pezzo e quanto tutto quello che succede attorno a chi scrive si riverbera in modi inaspettati nelle sue pagine.

Scrivere e leggere di gatti ci riavvicina ad una sensibilità sopraffatta dal tran-tran quotidiano. Proviamo a riconoscere quanto questo mondo che abitiamo sia spietato e schiacciato dalle sovrastrutture economiche e di classe grazie allo sguardo di Giorgino, gatto miracolato e depositario di una saggezza ancestrale. Con lui Totorro e Ziggy che intessono una storia d’amore e Faccia tonda e Quello nero che fanno semplicemente quello che gli riesce meglio, essere sé stessi, dei gatti.

Non si arriva alla fine di questo libro per trovare una soluzione, credo si arrivi alla fine di libri come Anni Felini per sentire di esserci ancora, di essere ancora fuori posto, di poter provare a fare o dire ancora qualcosa di sensato che ci riabiliti, a prescindere dal tempo che abbiamo e dalla possibilità di correggere la rotta di questa nostra esistenza.

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