Anna Calvi – Hunter

Alla fine, gli antichi romani ci avevano visto lungo ancora una volta. La sapienza antica aveva affidato a Diana, una figura femminile, il compito di rappresentare la caccia, vedendo nel temperamento delle donne la perfetta raffigurazione della cacciatrice. L’anima di Diana, agguerrita e abile tiratrice con l’arco, schiva e amante della solitudine, protettrice delle donne, sembra aver terminato il suo viaggio alla ricerca della forma perfetta in cui rinascere in Gran Bretagna ed essersi reincarnata nella cantante di origini italiane Anna Calvi. La metempsicosi trova la sua dimostrazione più evidente nel tentativo della cantante di far rivalere il suo diritto a essere identificata con la cacciatrice per eccellenza, come ci suggerisce il nome del suo terzo, attesissimo album, Hunter. E ascoltando il nuovo lavoro, non vi sono dubbi che la cacciatrice a cui è intitolato l’album e attorno a cui ruotano le tracce di un disco che, per tematiche e obiettivo, potrebbe essere quasi definito un concept-album, è la stessa Anna, ormai paladina non solo di un modo di fare musica che la inserisce in un solco innovativo e affascinante inaugurato da Saint Vincent, ma anche di un determinato modo di essere legato alla cultura LGQBT che incarna pienamente.

La carriera musicale di Anna Calvi è sempre stata segnata da incontri decisivi con musicisti e producer che hanno contribuito in maniera determinante alla definizione del genere e dello stile che la cantante ha abbracciato e che ha appassionato fan e critica. Non è banale poter avviare la propria carriera solista avendo come mentore e maestro Brian Eno (che collaborerà a due brani nel primo disco della Calvi), così come non può che incidere a livello stilistico l’essere stata supporter nei tour di Johnny Flynn e, soprattutto, degli Interpol e dei Grinderman di Nick Cave. Nel 2011 Anna Calvi pubblica il suo primo album omonimo, apprezzato dai fan di tutto il mondo, seguito dalla critica e acclamato da artisti di alto calibro, tra cui David Byrne che deciderà di collaborare a Strange Weather, un EP di cover ri-arrangiate dalla cantante britannica.

L’esordio della cantante mise subito in chiaro, oltre al suo talento come cantante, il livello di sensibilità e di determinazione della musicista, la sua capacità di far coesistere l’aspetto autobiografico, introspettivo dei suoi testi, con l’esplosiva voglia di fare di se stessa in un manifesto per gli altri. Trasformare se stessi in uno specchio affinché gli altri potessero rivedersi in un modello di perfetta raccolta di imperfezioni. Nessuna manifesta superiorità, solo la voglia di accettarsi e definirsi in quanto donna libera.
Il secondo album e i suoi live hanno definito Anna Calvi come personaggio ben oltre il semplice mondo musicale, facendola diventare (assieme alla già citata Saint Vincent) paladina della libertà fuori da ogni schema categorizzante e al di là di ogni etichetta (un’inafferrabilità che si ritrova anche nella difficoltà che si deve affrontare cercando di incasellare la musica della cantante all’interno di un genere determinato).

Anna Calvi – Foto di Sara Buonomo

I cinque anni che hanno separato il secondo album dal nuovo lavoro di inediti hanno contribuito a creare un’aspettativa importante attorno alla musica di Anna Calvi che non si è fatta, però, trovare impreparata, sfornando un lavoro originale, sicuramente distante dal suo album d’esordio ma, come ci si poteva aspettare da lei, in parte spiazzante nel cambio di direzione stilistica.

Hunter è un disco intenso, in cui Anna Calvi cerca di mettere tutta se stessa, forse in maniera più schietta di quanto non avesse fatto nel precedente One Breath. L’album è un ottimo progetto dal punto di vista dei testi e dei temi, in cui la figura della cacciatrice incarna una doppia sessualità e riesce a giostrare in maniera sapiente, come una vera alchimista, ogni aspetto della moltitudine che lei (come ciascun essere umano) è: dall’anima dolce a quella furiosa, dall’indole determinata a quella spaesata. L’originalità e la (bella) crudezza della composizione dei testi non è, però, sempre compensata da quella musicale, a volte eccessivamente citazionista o troppo vicina allo stile di Saint Vincent a discapito di quel sound totalmente nuovo che ci aveva stupito all’esordio. Se l’ottima carica ritmica, propiziata dalle percussioni e dalla chitarra di Anna che, lenta come un coltello che vuol far più male possibile, lascia andare i suoi accordi carichi di passioni, sostiene la traccia di apertura As a Man, un pezzo che ci lancia subito nel pieno del gioco uomo-donna alla base del progetto, la parte cantata sembra figlia della one shot History Repeating di qualche anno fa. Una vicinanza che si lascia perdonare dalla potenza del brano e dal crescendo che regala delle dinamiche interessanti e crudeli, in un’atmosfera quasi “jamesbondiana”.

Hunter è un brano reso grande dalle tastiere di un musicista che ha saputo fare delle atmosfere sospese e riflessive un marchio di fabbrica, infatti Anna Calvi può contare su Adrian Utley dei Portishead per descrivere la sua vita come una lotta alla sopravvivenza delle sue personalità quando esce di casa vestita di pelle con i fiori nei capelli (a simboleggiare la doppia anima: trasgressiva e dolce). Bisogna trovare un modo per sopravvivere, per lasciarsi essere in un mondo in cui nulla rimane e tutto scivola. La recita delle maschere si ripete proseguendo con l’album: Don’t Beat the Girl Out of My Boy. La voglia di far coesistere gli opposti emerge dalla musica di Anna Calvi anche a livello stilistico in una canzone che sembra avere una doppia anima: il tipico rock della Calvi che si tramuta in un’elettronica à la Fever Ray in un flusso ininterrotto e continuo di immagini e pensieri musicali (sebbene in questo pezzo vi sia un eccessivo arabesco vocale che rende pesante l’intro del brano).

Il citazionismo si esprime nell’immedesimazione con David Bowie, nei costumi, nel desiderio ambiguo che permette ad Anna di mettere il cuore sul disco e lasciarlo sanguinare sul lettore mentre gira.

Indies or Paradise è, probabilmente, il miglior pezzo dell’album in cui le percussioni si oppongono al sussurro della Calvi che invoca Dio (“God” è la prima parola del brano, isolata dal resto nella speranza di ritrovarsi in un paradiso all’insegna della bellezza). L’oscurità dell’atmosfera iniziale, quella legata alla richiesta di un contatto con Dio, si contrappone al refrain angelico e celestiale creato dalla voce alta e, ancora una volta, dalle tastiere. Oscurità e luce, alto e basso trovano il loro compimento nel durissimo assolo della cantante-chitarrista, metallico ed esagerato nel suo essere perfettamente inserito all’interno delle oscillazioni vocali del brano. La camaleontica anima della musicista trova la perfetta rappresentazione armonica nelle voci di Anna, nei personaggi, nel richiamo alla bellezza da un mondo di dannazione che emerge in tutta la sua forza in brani come questo.

La musicista vuole rappresentare un mondo privo di direzioni, senza categorie oppure, ancora meglio, in cui le categorie convenzionali sono rovesciate, come in Alpha. Il brano tendente al noise, intervallato da suoni che sembrano frustate, fa emergere la parte più strafottente della musicista che esprime il suo diritto a essere considerata alpha e woman, allo stesso tempo, anche oltre il piano della parità dei sessi. Swimming Pool è il pezzo in cui meglio vengono allo scoperto le magnifiche potenzialità canore della Calvi. Il brano sembra scritto all’insegna del desiderio e della lussuria in un crescendo vocale che pare il frutto di un ascolto e di un continuo studio delle armonie di Morricone. Swimming Pool è la perfetta canzone di chiusura di una colonna sonora in cui sembra apparire per la prima volta la possibilità della ricongiunzione degli opposti, in cui sembra esserci un raggio di sole a trafiggere le nuvole invernali, proprio come la voce di Anna riesce a squarciare la base melodica del brano. La traccia di chiusura, Eden, segna l’ennesimo tentativo di vedere il mondo in una luce diversa attraverso il racconto di una notte paradisiaca in cui sparisce l’esterno, inghiottito dalle lenzuola croccanti di un placido letto. Le sonorità più pop rese miti dall’utilizzo degli archi ci lasciano convinti che, nel turbinio di visioni che la Calvi ci presenta, lei riesca in quanto dominatrice delle sue visioni a essere serena e a trovare in se stessa una dimora pacifica.

Hunter è sicuramente un disco riuscito che difficilmente lascerà scontenti i fan della musicista Anna Calvi, così come rimarranno soddisfatti gli amanti del personaggio. Al netto di una minore originalità musicale rispetto al passato e dell’eccessiva tendenza al tributo, l’album è riuscito e trasuda emozioni, passione e uno sfrenato desiderio per le vite che ciascuno di noi può far sue. Come un’agente del caos, Anna si diverte a farci immergere nella sua realtà, si diverte a mostrarci ogni sfaccettatura del diamante che è l’io. Non esistono io, ma solo interpretazioni. Questo sembra essere il messaggio nascosto nel progetto di Anna Calvi con l’intento di farci comprendere come può essere bello, seppur burrascoso, trovarsi a proprio agio in ognuna delle Anna che possiamo essere. Nella solitudine della sua introspezione, proprio come Diana, Anna riflette su di sé e si riscopre cacciatrice in una realtà intricata alla ricerca del suo prossima personalità-trofeo da esporre in salotto.

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