Tra i libri che ho letto ad agosto ce n’è uno meraviglioso. Si tratta di Andarsene (Sur editore, traduzione di Giulia Zavagna) di Rodrigo Hasbùn, scrittore boliviano, classe 1981, selezionato dalla rivista Granta tra i migliori autori ispanofoni. Andarsene è un romanzo breve, corale, nel quale le voci narranti (declinate in prima, terza e seconda persona) si intersecano e tratteggiano la storia.
Siamo tra gli anni Sessanta e Settanta, in Bolivia. Hans Ertl è un cineasta tedesco asservito al nazismo e a La Paz trova rifugio con la sua famiglia (una moglie e tre figlie). La nostalgia di casa, le peculiarità di una città e di un paese lontani anni luce dall’Europa post bellica, l’insofferenza domata come un morbo ma impossibile, alla fin fine, da contenere, allargano le distanze tra i componenti della famiglia Ertl. Quando Hans Ertl decide di partire per una missione alla scoperta di una leggendaria città inca, gli equilibri saltano e le storie dei personaggi si riscrivono. La moglie di Hans si chiude in un silenzio opprimente, mentre le figlie diventano tre donne diverse. Una di loro, Monika, raccontata dagli occhi delle sorelle e del suo amante, entra nella guerriglia guidata da Che Guevara, rompendo con un’educazione perbenista e con i dettami familiari.
Le esistenze dei protagonisti si dispiegano in un contesto storico ben noto, che rievoca anni di battaglie, di violenze, di scelte. Anni di piombo e di sangue, tra le minacce di un governo militarizzato e fughe perenni. La memoria, privata e collettiva, è il grande tema del libro. Negli anfratti dell’anima prendono forma gli ideali, si riorganizzano i ricordi, ci si innamora, si mette la parola fine a quel che è andato.
Scrive Hasbun: “Non è vero che la memoria è un posto sicuro. Anche lì le cose si deformano e si perdono. Anche lì finiamo per allontanarci dalle persone che più amiamo”. I risvolti narrativi vengono affidati ai ricordi, alle percezioni, ai sentimenti. È un ricostruire fatti attraverso gli occhi degli altri questo libro. Accanto alla matassa emotiva si prende il suo spazio il tema del partire, dell’andare: un motivo conduttore caro allo scrittore, che ha vissuto in città diverse, da Cochabamba a New York.
La scrittura è un gioco a levare, uno scoprire i particolari mano a mano, in mezzo al non detto. Ed è la scrittura, sublime, a fare preziosa questa vicenda di legami di sangue e di passioni civili e sentimentali. Ogni capitolo è una stanza, che sta in piedi da sola, quasi fosse un racconto. I punti di vista dei personaggi, ripresi in punti differenti del passato narrativo, reggono una tela narrativa eccezionale, cara ad ogni lettore esigente. Le sfumature intimiste, esistenziali si legano a quelle sociali e storiche. Come questo avviene è da ricercare nelle scelte stilistiche di Rodrigo Hasbùn, che ci dona un’opera memorabile.
Nota di servizio: sul blog di Sur editore c’è un racconto di Hasbùn, potreste leggerlo qui per farvi un’idea.