Il tempo che rallenta e si dilata inesorabilmente, negli occhi la bellezza della Sala dei Giganti di Palazzo Liviano (Padova): un mercoledì sera bellissimo. Decido di non ascoltare nulla di Erlend Øye fino al giorno del concerto, fidandomi ciecamente della mia ragazza.
Andare ad un live al buio è come entrare nella casa di uno sconosciuto, togliendosi rispettosamente le scarpe difronte alla porta d’ingresso, per camminare all’interno della sua testa, ammirandone i pensieri appesi come quadri. La scelta di andare al concerto senza la minima conoscenza è una presa di posizione atta a dichiarare “sono un foglio bianco, sono aperto ad ascoltare senza alcun tipo di pregiudizio”, con Erlend Øye, si è rivelata perfetta. Tanto più con un live acustico, che ha quel quid, quel potere di ipnotizzare dolcemente l’ascoltatore, accorciandone le distanze intrinseche ai ruoli artista-pubblico, risulta in qualche modo più “umano”. L’effetto è amplificato se il cantato è, come in questo caso, intimo, dolce e sussurrato. Ci si spoglia dei propri pensieri per indossarne altri, almeno per una sera, si rivive il vissuto di un’altra persona.
Il concerto si delinea dolcemente, con l’aggiunta a mano a mano dei polistrumentisti provenienti da diverse parti del mondo (Perù, Sicilia), coadiuvati nel gruppo nato in Perù. Salendo sul palco portano con loro il sole, ed un’atmosfera peculiare. Durante tutto il live Erlend non manca di dichiarare più volte l’amore per la Sicilia, dove si è trasferito nel 2012, e per la bellezza dell’Italia, arruffianandoci un po’.
Il suo è un live da brividi, che ha convinto a pieno tutto il pubblico. Ne è prova inconfutabile la standing ovation alla fine della serata, merito anche dei pezzi provenienti dal repertorio maturato in Kings of Convenience e The Whitest Boy Alive, negli encore.
L’arduo (per la caratura del nome a seguito) compito di aprire il concerto, è stato affidato al cantautore milanese Andrea Poggio, accompagnato dalla violinista Yoko Morimyo. Siamo entrati immediatamente nel mood della serata. L’atmosfera presente nei brani di Andrea Poggio ha creato un ponte perfetto per quella cercata da Erlend Oye. Tra gli affreschi quattrocenteschi della Sala dei Giganti siamo tutti un po’ più piccoli, ma anche più umani.
a cura di Alessandro Spagnolo