Anche se il digitale uccidesse il libro il tango potrebbe sopravvivere

All”inizio di uno straordinario capitolo, l’arcidiacono Frollo del Notre-Dame de Paris di Hugo lancia un lamento disperato ammirando la cattedrale: ”questo ucciderà quello”, alludendo a come i libri (la stampa) avrebbero sostituito l’architettura (la pietra). Oggi Frollo è qualcuno come Steve Jobs, che reggendo nelle mani un iPad al posto di un libro ci comunica che qualcosa è profondamente cambiato. Già, ma cosa è cambiato in questa rivoluzione così breve, e cosa si dovrebbe fare durante una rivoluzione per sopravviverle? Non se ne sa mai niente dei contemporanei della rivoluzione: come vivevano a Parigi durante il breve Terrore di Robespierre? Erano impauriti, preoccupati, sollevati, animati da grandi speranze? Raramente si interpella lo stato d’animo delle persone sui libri di storia, e sarà difficile che verrà riportato il vostro stato d’animo sui futuri e-book di storia a proposito della rivoluzione digitale. Di cosa ne pensassero sul serio le persone di Facebook mentre stavano aderendo a far parte del social network a nessuno fregherà granchè: quello che si dirà è, i social network provocarono grandi cambiamenti nelle persone. Il dibattito molto spicciolo tra l’odore della carta dei libri e il lettore per e-book non varrà niente un giorno, quello che si dirà è: un tempo le persone usavano leggere libri di carta. Del resto mi sembra che tutto il ”dibattito” sia appiattito tra due scuole di pensiero: i gloriosi tecno-entusiasti e i grandiosi conservatori. Non c’è molto spazio per sollevare obiezioni a entrambi, o per capire cosa stia succedendo sul serio. Fermarsi non è più possibile, ma andare avanti con un senso magari sì.

L’idea che un ragazzino che vive in Kenya, che probabilmente oggi soffre di fame (o digital divide), un giorno avrà più possibilità di leggere Hugo grazie ad internet in un certo senso mi entusiasma. L’idea della diffusione di contenuti è l’aspetto che più mi piace di questa piccola ossessione rivoluzionaria. Ovviamente, sarà lo stesso difficile, ma ci arriveremo per gradi a dare quella chanche in più di crescita a quel ragazzo. Che se ne fa di Victor Hugo un ragazzo kenyota che non sa come mangiare? Ammettiamo che da Victor Hugo cominci a leggere, a informarsi, a costruirsi come uomo, a confrontarsi con il resto delle possibilità del mondo, a studiare insomma, a guardare fuori dal circondario. In un certo senso con questi testi gli capiterà di fare qualcosa che l’ingiustizia del caso gli ha negato: viaggiare, e sapere. Magari gli capiterà di confrontarsi con qualcuno, e porterà nuove idee in quel gruppo di persone; e può darsi che questo gruppo di persone sia stimolato insieme da idee nuove a fare qualcosa di reale per cambiare le cose; magari questo gruppo di persone riesce a tirare fuori dalla disperazione un intero villaggio; non è così necessario aderire a tutte le regole della new economy per non morire di fame, e anche se lo fosse potrebbero addirittura avere gli strumenti per impararla, la new economy. Questa possibilità totalmente ottimista non riesce a non entusiasmarmi. Ma tutti sanno come vanno le cose nella realtà. Più probabilmente non riuscirà mai ad accedere a contenuti di qualità, perchè costeranno troppo. Il digital divide è riproduzione di ingiustizia, ma anche un sentimento di esclusione dai grandi giochi.

La sensazione è che con la migrazione dalla parola scritta al digitale leggeremo di meno mentre leggeremo più cose: un tweet e un romanzo di Don DeLillo, un romanzo di DeLillo interrotto da un retweet, un saggio sulla produzione di musica leggera interrotto da una notifica Facebook o un augurio di compleanno. Non che il mondo sia cambiato, anche prima eravamo disturbati: il mondo è rumore, e questa è una salvezza. Però avremo tutto nello stesso formato dello stesso strumento, a tutte le ore: il lettore di libri e il lettore di giornali, il lettore di email e il gioco online. Posso vincere partite a poker mentre studio la coscienza di Zeno. La rivoluzione di Steve Jobs è stata un gran fake per il resto degli oggetti, ne escono sconfitti, tranne quelli che causano dipendenza (sigarette e alcool restano fuori da un Pad). Cosa ne pensiamo di tutto questo non ha molta importanza, sta solo succedendo ogni giorno.

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Immagino come deve essere stata l’apparizione di un treno in cittadine che si muovevano a cavallo: finalmente le persone potevano muoversi, spostarsi, trasportare qualcosa da una parte all’altra, spedire con una certa velocità, e finalmente le magnifiche merci si emancipavano dal locale. Il movimento delle cose e delle persone, l’azione, London e Kerouac che scrivono romanzi sui viaggi in treno, l’emigrazione, gli spostamenti, i viaggi di piacere, quelli di cura, i confronti, le lingue che si incontrano, i francesi che scendono in Italia per innamorarsi a tempo determinato, le traduzioni di versi orientali. Tutto più facile, tutto meno faticoso. Probabilmente se fosse nato prima il Pad e poi il treno (è impossibile ma questo non è un saggio) oggi saremmo così entusiasti di viaggiare da una parte all’altra del mondo a vedere le cose per come sono, e ancora a comprare un libro di poesie in Russia, a inseguire una storia d’amore e tango in Argentina.

Lo so, quando si legge qualcosa a proposito della rivoluzione digitale è difficile immaginare di ritrovarsi a parlare di tango, ma è questo l’effetto che avrà sulla scrittura questo modo di pensiero. Per questa ragione ora vi parlerei di tango se solo ne sapessi qualcosa. E invece scusatemi, ma ho una notifica da leggere.

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