“la mia memoria mescola tutto quello che è venuto prima e quello che è venuto dopo, mastica e macina tutto…”
A distanza di vent’anni dalla sua uscita con Sironi, per la collana diretta da Giulio Mozzi, torna in libreria grazie a Terrarossa edizioni uno dei romanzi più apprezzati di Giacomo Sartori. Non è un caso, infatti, se proprio in questo periodo Anatomia della battaglia, appaia come un libro più che mai attuale. Probabilmente era molto in anticipo sui tempi funesti che viviamo oggi, ma anche sulle mode letterarie, ai tempi della sua uscita nei primi anni del duemila.
Anatomia della battaglia è una sorta di lessico famigliare di un padre fascista e della sua famiglia, tutto declinato dagli occhi del figlio che più degli altri ha deciso di avversare questa dinamica paterna. Dalle prime pagine siamo subito catapultati in un contesto alpino, negli anni dell’incidente di Chernobyl, miccia narrativa per cominciare a raccontare la tigna con la quale il padre del narratore affronta la vita. Era l’epoca delle radiazioni che contaminavano i cibi e gli orti, ed invece il padre del protagonista si ostina a cibarsi solo dei frutti del suo raccolto.
Scorrendo le pagine troviamo continui termini in stampatello che delimitano, come nella novella di pollicino, punti intermedi del racconto che diventa percorso a ritroso. Stelle polari della comunicazione familiare che si tramandano come codici in grado di tenere insieme una famiglia e al contempo di respingere i vari componenti. Verbi come crepare o resistere, sono l’alfa e l’omega di esistenze attraversate dalla storia ma che al contempo ne attraversano le pagine importanti del Novecento.
Per questo motivo, la storia di un figlio che fa i conti col fascismo nella sua famiglia dove l’appartenenza a quei valori non è solo un qualcosa da nascondere in soffitta e di cui parlare sottovoce ma è un vessillo da tenere alto come ultima ancora al degrado che il mondo sta prendendo, è una storia quantomai attuale in un periodo storico in cui nessuno sembra aver più timore di inneggiare al ventennio e al ritorno a quei valori. Scopriamo però, col passare delle pagine, che l’iniziale repulsione del figlio verso la figura genitoriale granitica forgiata dai discorsi del Duce è meno contraddittoria di quanto possa sembrare. Il disgusto e l’avversione si diradano, col passare del tempo, in comprensione. La radice sociale degli imperativi categorici paterni si disvela pagina dopo pagina in un sentimento di riconoscimento intimo tra padre e figlio in cui il lettore viene accompagnato. Non c’è mai un chiarimento diretto solo un progressivo percorso di (ri)conoscenza.
Questo viaggio intimo si intreccia con la vita del narratore che attraversa la storia del dopoguerra dal lato inverso a quello paterno. Opposti che si attraggono, fascismo e terrorismo rosso, fino a convergere in un punto che è il letto di morte del padre. Non conta quanto ci sia di biografico in questo libro, conta il percorso a ritroso nella storia personale e in quella del nostro paese. Spesso si pensa che le parabole personali abbiano un’evoluzione coerente col mondo che ci circonda ma non è sempre così.
È nelle esistenze fuori tempo che si trovano gli spunti narrativi migliori, questo è il caso di anatomia della battaglia, un libro che restituisce senza sconti un percorso di auto riconoscimento che in questi anni appare, se non fondamentale, quantomeno desiderabile per cominciare a districare i molti nodi intimi e sociali che sembrano annerire il cielo sopra le nostre teste.