In alto i bicchieri, la festa non si ferma | Bleech Festival

Fotografia di Marta Castaldo

Fotografie di Marta Castaldo e Michele Costa

Two is great, but so many wonderful things come in threes, recita un proverbio applicabile a situazioni e fatti che si ripetono almeno tre volte, lasciando un segno del proprio passaggio. È il caso del Bleech Festival, la rassegna dedicata alla musica indipendente e allo street food, che per il terzo anno consecutivo si è svolto al Parco della Cavallerizza di Piacenza. Dopo avervi raccontato quello che è successo durante la seconda edizione, abbiamo voluto approfondire la conoscenza di questa realtà, cercando di capire cosa accada dietro le quinte e domandando direttamente agli organizzatori quali siano gli elementi necessari per creare una manifestazione che ogni anno coinvolge tutti, giovani e meno giovani, gruppi di amici e famiglie, piacentini e turisti.

Quando agosto è ormai alle spalle e settembre è ancora tutto da scrivere, arriva il momento di affrontare il rientro dalle vacanze. Stress, affaticamento e malumore sono i sintomi di quella che gli inglesi definiscono post-vacation blues e che secondo le statistiche colpisce un italiano su due. I ragazzi dell’associazione culturale Propaganda 1984 hanno scoperto la formula per contrastare questa sindrome, addolcendo il ritorno nel capoluogo emiliano. Gli ingredienti principali per favorire la riuscita del festival sono prima di tutto una buona proposta musicale, adatta ad accontentare un pubblico variegato, composto da liceali e universitari, ma anche da adulti, bambini e anziani e in secondo luogo un grande spazio dove trovare un mercatino handmade e vintage, laboratori e workshop e un’offerta enogastronomica che sappia soddisfare ogni tipo di palato.

La tradizione culinaria italiana e internazionale è rivista in chiave street food, facilitando le persone a stare insieme e allo stesso tempo a risparmiare sui costi. Le sagre sono l’esempio più lampante del trionfo del cibo, sempre invitanti e piene di gente, praticamente istituzioni popolari destinate all’immortalità. Bleech Festival mescola folclore e innovazione, agita forte e prepara una selezione di food truck provenienti non solo dal Sud e dal Nord Italia, ma da tutto il mondo. Basta un weekend per lievitare e assaporare la felicità grazie a un viaggio tra i sapori, dal cotechino da passeggio di Piacenza alla salsiccia di Bra di Brambù fino ad arrivare al panino con il polpo alla brace di Da Mama e quanta varietà di gusti con i tacos messicani farciti di Skiathos e le arepas venezuelane di El Caminante. Per chi non ha avuto la possibilità di assaggiare questi piatti continuare la descrizione è un supplizio, per cui inutile andare avanti, potrete rimediare tra meno di 365 giorni.

Fotografia di Marta Castaldo

Venerdì 1 Settembre

Torniamo alla musica e all’edizione 2017. L’estate è ancora sulla pelle mentre la città si ripopola lentamente, le coppie si prendono per mano e le biciclette sfrecciano veloci sulla pista ciclabile di Stradone Farnese. La spiaggia è un flashback, un capitolo chiuso nell’album dei ricordi. Il Parco della Cavallerizza comincia a riempirsi prima del tramonto di profumi, voci e rumori e l’aria è ancora tiepida quando il cantautore torinese Liede sale per primo sul palco del Bleech. Le atmosfere dream-pop di Stare Bravi, il disco d’esordio di Francesco Roccati, si insinuano nel cervello come un martello pneumatico che batte e ribatte fino a premere più forte su una strofa di Corsica:

“Torino rimbomba / sotto i sandali di una turista / ci ho preso una birra / poi non l’ho più vista / tutto chiuso per ferie / tranne per chi non si arrende / e fa finta di niente / è quasi settembre.”

Segue a ruota Persian Pelican, il progetto del marchigiano Andrea Pulcini, che affonda le sue radici nell’acqua, tra i fondali marini e gli stagni di montagna. Imbraccia la chitarra come un menestrello post-moderno e racconta attraverso il suo terzo album Sleeping Beauty una dimensione intima. Chi si ferma ad ascoltare appoggiato alle transenne ne rimane folgorato. Dal folk al pop il passo è breve con gli headliner della serata. Si tratta dei Canova, la band milanese che ha ottenuto il successo con l’album d’esordio Avete ragione tutti, un prodotto fresco e orecchiabile, incastrato nelle playlist di Spotify e trasmesso dalle maggiori emittenti radiofoniche. Le prime file sotto il palco sono formate prevalentemente da ragazzine urlanti che superano i limiti di decibel consentiti per legge. C’è anche chi azzarda il lancio di un paio di mutande proponendo un Threesome, chiaro riferimento al titolo di una delle loro ultime canzoni. “Se Cesare Cremonini fosse indie suonerebbe più o meno così”, commenta qualcuno tra la folla. Cosa hanno in comune Marmellata #25 e Manzarek? Forse i testi facilmente memorizzabili e le melodie appetitose che invitano ad ancheggiare i fianchi. Il tempo e i gusti passano, ma ci sarà sempre bisogno di strillare ai concerti.

Fotografia di Michele Costa

Sabato 2 Settembre

In meno di ventiquattro ore l’estate ha lasciato il posto all’autunno con il vento, la pioggia battente e quindici gradi in meno. L’arcobaleno avvolge il cielo sopra Piacenza, le sfumature della natura cambiano colore e le gonne corte rimangono nell’armadio rimpiazzate dai jeans attillati. Preparandoci come per andare a Glastonbury attendiamo il miglioramento delle condizioni meteorologiche insieme a Giorgieness, all’anagrafe Giorgia D’Eraclea, unica presenza femminile in mezzo a una folta schiera di band e cantautori maschi. Le sue origini valtellinesi la aiutano ad affrontare le intemperie scaldando il pubblico infreddolito a suon di rock e gorgheggi graffianti. Dopo il fortunato disco La giusta distanza uscito l’anno scorso, quest’autunno sarà pubblicato un nuovo capitolo di cui la giovane, energica e social addicted Giorgia è fiera di parlare, tra l’esecuzione di K2, Non ballerò, Che strano rumore e Dimmi dimmi dimmi. Avvolta in un largo maglione che le arriva fin sopra le ginocchia, con i suoi codini spettinati e le calze a rete la guardiamo sparire dietro le quinte. Rimaniamo con il dubbio: dove le trova le energie questa moderna Lolita del rock?

Pochi minuti prima del live di Colombre incrociamo lui e la sua band in coda alla cassa di Eataly, determinato a far cessare la pioggia. Giovanni Imparato, che ha esordito quest’anno come solista con l’album Pulviscolo, è forte dell’esperienza con la band Chewingum ed è sicuro mentre affronta la folla che cresce. Il suo mondo è fatto di tastiere e arpeggi e il pubblico dimostra di conoscerlo mentre canta in coro con lui Blatte:

“Con questo freddo / che mi hai messo addosso / non mi riconosco / hai tirato fuori / proprio il peggio / credevo di potermi fidare / mentire ti riesce bene / non eri tu che volevi un amico / che fosse con te almeno sincero.”

Un cantautorato essenziale, senza sbavature che intiepidisce il cuore. Tutt’altro genere, invece, Carl Brave x Franco126 che al grido di più bire, più caciara infiammano un pubblico di giovanissimi. Il loro album Polaroid, pubblicato da Bomba Dischi piace perché è un crocevia di generi dal rap all’elettronica fino ad arrivare al cantautorato. Il Bleech Festival di quest’anno verrà ricordato anche per il lancio dell’intimo sul palco. Dopo le mutande scagliate sui Canova, anche per Carlo Luigi Coraggio e Franco Bertolini non mancano sostenitrici molto audaci. Una ragazza dalla lunga chioma bionda lancia addosso a un imbarazzato Carl Brave il suo reggiseno tra le note di Sempre in due e Pellaria. L’atmosfera è infuocata, non c’è nessuno che stia fermo al proprio posto, sono tutti pazzi per i ragazzi di Trastevere.

Fotografia di Michele Costa

Domenica 3 Settembre

La domenica è il giorno più triste della settimana perché il lunedì è appostato all’angolo con il suo carico di doveri. Quando finisce un festival di domenica non solo il giorno dopo è difficile tornare normalmente alla propria routine, ma ci si sente come alla fine della colonia estiva alle medie o dopo il viaggio della maturità alle superiori. La serata conclusiva del Bleech è aperta dai milanesi Revo Fever che ci trascinano nell’oscurità guidandoci per mano. Il viaggio è magico e richiama tutti sotto il palco, anche dei bambini che puntano il dito verso la luna piena che illumina la notte. Con la loro dose di psichedelia e di influssi r’n’b e soul cantano Martedì incoraggiando il pubblico a sentire il flow nelle vene. Dopo di loro arrivano i bolognesi Altre di B, girovaghi e avventurieri con la vocazione per il panorama internazionale. In attesa dell’uscita dell’album Miranda, si svelano sul palco del Bleech per quello che sono, schegge impazzite capaci di ardore punk infarcito di organetti e di cori con voci che si sovrappongono frenetiche.

I più attesi del festival sono gli Ex-Otago, ultimi a esibirsi per il pubblico di Piacenza. Con il loro album Marassi hanno girato l’Italia conquistando tutte e venti le regioni della penisola, chiamati a gran voce a raccontare non solo il quartiere genovese dove sono cresciuti, ma anche un certo modo di essere I giovani d’oggi. Gli Ex-Otago ci accompagnano da anni, anche se il grande pubblico è entrato in contatto con loro soltanto quest’anno. La strada che abbiamo percorso stasera per arrivare al Bleech si srotola in mezzo ai campi, con il sole alle spalle e il frinire delle cicale come sottofondo. Per venti chilometri la preparazione atletica si chiama In capo al mondo, il disco che dal 2014 non è mai uscito dal lettore cd dell’auto. Ed è a questo punto che smettiamo di tenere il conto dei concerti degli Ex-Otago che abbiamo visto, anche se ogni volta è come la prima volta, non sapendo mai cosa aspettarci dai nostri amici liguri.

Fotografia di Marta Castaldo

Ci vuole molto coraggio a non fermarsi mai, neanche in serate come questa dove un bicchiere fresco di Gutturnio – dice Maurizio Carucci, la voce della band –  è stato sostituito da una tazza di tisana al finocchio. Quasi un’eresia per chi come lui, oltre a essere un musicista, è anche un esperto di vini grazie alla sua azienda agricola in Val Borbera. Mai svalutare, però, i poteri benefici degli infusi. L’entusiasmo del pubblico si mescola a quella della band che, citando Gigi D’Agostino, esegue la cover storica di Corona, The Rhythm of the Night o pezzi come Mare che ci fanno attraversare con la fantasia la Val Trebbia e la Val d’Aveto fino a sorvolare i paesi della Riviera di Levante:

“Non è sempre vero che si sale in cielo / c’è chi sceglie il mare con le sue sirene / non è sempre vero che si sta meglio in cielo / c’è chi sceglie il mare e continua a nuotare.”

Con un tripudio di applausi e palloncini bianchi si conclude la terza edizione del Bleech Festival sulle note di Cinghiali incazzati. I sorrisi stampati, le mani che si sfiorano e si cercano, gli occhi che lampeggiano, sono questi i volti di coloro che non smettono di sognare nemmeno di giorno. Vincere una scommessa vuol dire anche non finire mai di tagliare nuovi traguardi. In alto i bicchieri, brindiamo ai rischi che si trasformano in solide realtà. God Bless Bleech Festival!

Gallery a cura di Michele Costa

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