Il Mediolanum Forum di Assago è gremito di formichine impazzite alla ricerca della visuale perfetta per una serata che sull’agenda di molti dei presenti era segnata nero su bianco ormai da settembre. C’è chi, nel caos che precede e accompagna ogni concerto di questo tipo, si muove sotto il palco procedendo a zig-zag e chi, invece, in tribuna, spintona per un posto a sedere.
Fuori piove, una leggerissima e fastidiosa spolverata di umidità si alterna a piovaschi più decisi e densi, ma l’arena del capoluogo lombardo si è già trasformata nel luogo più accogliente e asciutto nel raggio di chilometri e a nessuno importa veramente cosa stia succedendo all’esterno. Più di diecimila persone attendono con trepidazione che sul palco salgano gli Alt-J, la giovane band inglese che dopo la pubblicazione di soli due album, vanta brani che già hanno il sapore di evergreen.
L’inverno milanese sembra quasi meno rigido quando i connazionali Gengahr e Wolf Alice portano un po’ di tepore tra la folla, ma il ghiaccio comincia a sciogliersi solo nel momento in cui la formazione di Leeds si posiziona sotto i riflettori. Sono da poco passate le nove e mezza post meridiem di sabato 14 febbraio, quando tra la nebbia e gli abbaglianti fari rossi vengono pizzicate le prime note di Hunger of the Pine, singolo che ha anticipato a giugno scorso l’uscita del loro secondo disco, This Is All Yours.
Mentre il pubblico alterna stati di eccitazione a momenti in cui pare opportuno trattenere il respiro, dagli spalti le espressioni sui volti dei quattro musicisti britannici sono indistinguibili, semplici sagome nere tratteggiate con il carboncino, sempre più calcate e fosche con l’ondeggiare dei lampi che vengono scagliati in sala. Nell’aria c’è elettricità, al fondo del parterre una ragazza balla lontana dalla ressa, facendo volteggiare un magico hula-hoop dal potere ipnotico, in tribuna ci sono altri solitari danzatori con cocktail in mano che innaffiano i vicini più di quanto riescano effettivamente a bere.
L’acustica del Forum è ottima per lasciarsi trasportare dal flusso dei pensieri, ma lo show è fatto anche di luci e di suoni potenti che colpiscono come frecce infuocate. Chi pensava che l’ambiente più raccolto e intimo dell’Alcatraz sarebbe stato più consono si è dovuto ricredere: anche i cori del pubblico su brani celebri come Matilda o gli scrosci canori di Fitzpleasure o Tessellate sembrano perfettamente amplificati. Passano troppo in fretta i minuti su Taro, soprattutto quando sul finale Joe Newman pare entrato in loop sulla stessa vocale, così come quando l’arena si trasforma in un tappeto di accendini sull’eco di Warm Foothills che non è solo una dedica per chi ha festeggiato San Valentino.
Dopo un’ora e mezza di live e venti brani suonati senza pause, gli Alt-J hanno danzato sotto la pioggia, scrivendo emozioni che rimangono impresse a caratteri cubitali negli sguardi, nelle mani che si stringono e sulle guance che si sfiorano. Chiunque se li fosse persi o volesse fare il bis, il 14 giugno saranno ancora in Italia, questa volta nella Capitale al Rock in Roma, preferibilmente sotto un tetto di stelle e non di pioggia.
Fotografie di Ilaria Del Boca e Maurizio Vaccariello
Setlist:
Hunger of the Pine
Fitzpleasure
Something Good
Left Hand Free
Dissolve Me
Matilda
Bloodflood
Bloodflood pt. II
Leon
Interlude I (The Ripe & Ruin)
Tessellate
Every Other Freckle
Taro
Warm Foothills
The Gospel of John Hurt
Lovely Day
Nara
Leaving Nara
Breezeblocks