Non troverete qui di sotto una biografia ragionata o un’analisi esclusiva delle lyrics e dei beat che compongono la struttura sottoterrena, e i campionamenti segreti, di Hunger of the Pine. Non staremo nemmeno a dare peso alla questione cosa sarebbe successo se Gwil Sainsboury, cuore pulsante di An Awesome Wave, fosse rimasto. In media, se facessero una ricerca, una persona nel mondo si innamora degli Alt-J all’ora e per la settimana successiva è quasi certo che non ascolterà altro. Una malattia diversa da quella che contagia i deejay italiani durante l’estate e sentono l’esigenza di mandare i balli latini più volte possibile, meglio ancora se è sempre la stessa hit.
Mi è capitato solo una volta di sentire un pezzo degli Alt-J sulle frequenze medie, da quel piccolo miracolo sopravvissuto chiamato K-Rock Station che prende solo fra Reggio, Modena e Parma prima, almeno, che Left Hand Free arrivasse a Virgin Radio e perdessimo un po’ in quell’entusiasmo della prima volta. Parliamo in termini personali, quindi, e di un legame affettivo difficile da mettere in crisi, ma anche di suggestioni, scene più o meno patetiche e della musica di questa band. Non un romanzo rosa, quanto una colonna di infiniti appunti presi tra live, momenti in cui avvenivano gli ascolti e, precisamente, quello che dovremmo chiederci fra qualche anno. Ma partiamo dall’inizio e da Leeds, presto capirete perché.
La mia unica esperienza in Inghilterra è stata Londra e quella specie di sobborgo di Battersea, lo stesso di Animals dei Pink Floyd, pertanto, non volendo portarvi una traduzione da Wikipedia, tutto ciò che ho sull’idea di Leeds si basa sulla faida Clough-Revie de Il maledetto United e parte del terzo capitolo di Red Riding Trilogy che non sono riuscito a finire. Ovvio, quindi, che l’immaginazione ne risenta, diventa più facile immaginare una città industriale, grigia e fredda, fatta di uomini maschi e duri come quelli raccontati da David Pierce. Ma Leeds, come tutte le altre città inflesi più grandi e più urbanizzate ha una lunga tradizione musicale, strade per il post punk dei Gang of Four o l’elettronica post rock dei Vessels. Nel 2007, mentre Gwil Sainsbury, Joe Newman, Gus Unger-Hamilton e Thom Green formavano gli Alt-J, al Bramham Park si esibiscono Interpol, Maxïmo Park, Arcade Fire e The Smashing Pumpkins, che si collegano, piuttosto che in termini di causa-effetto, a un contesto più grande che riguarda l’approccio alla musica degli inglesi. Naturale vista la quantità di proposte e di stimoli di cui dispongono. Poi bisogna raccogliere, certo. Ritornare alle origini del gruppo è fondamentale per comprendere This is All Yours e quello che sarà, probabilmente, Relaxer, o almeno la parte anticipata dal trittico 3www – In Cold Blood – Adeline. Sarà più facile capire come An Awesome Wave e This is All Yours siano due album differenti ma non per questo opposti (sic). Due anime all’interno della medesima persona e che, prima degli Alt-J, corrispondevano ai nomi di Dalijit Dhaliwal e Films.
Qualcuno mi ha detto che la memoria cancella le tracce non necessarie alla sopravvivenza, anche se spesso mi chiedo se non sia l’esatto contrario. Certo son le storie più mitologiche quelle di cui si sa poco e così gli Alt-J hanno praticamente nascosto il loro passato ed è realmente difficile ricostruire il loro percorso fra un disco e l’altro. Ogni tanto capita di trovare tracce sparse, all’improvviso, di storie a cui non avevano fatto cenno, siano le canzoni o le colonne sonore che per caso trovi su Youtube e non avevi mai sentito prima. Giorni positivi, quando accade. I Films registrano un EP nel 2009 in maniera piuttosto diretta, gli effetti si distorcono parecchio ed è la parte più folk a risaltare, nonostante emergano già quei passaggi elettronici che li trasformeranno in Alt-J. Ascoltare oggi l’EP dei Films significa in qualche modo tornare indietro quando tutto era ancora un suonare insieme e scrivere sotto l’effetto degli allucinogeni, ai dormitori dell’università di Leeds dove non potevano fare rumore ed erano costretti a lasciare i volumi degli amplificatori al minimo. Dentro ci finirono Matilda, Léon, Portrait e Something Good, due di loro costituiranno l’ossatura di An Awesome Wave, gli altri caratterizzeranno l’altro svolta, quella dei Dalijit Dhaliwal.
Dalijit Dhaliwal era una conduttrice di BBC World News, finita al Late Show di Letterman dopo essere stata inserita da People e l’Esquire fra le donne più belle del mondo. Letterman fu talmente, e platealmente, stupito dalla sua bellezza che le chiese a chi doveva rivolgersi perché lavorasse con lui, in una puntata del suo programma. Non se ne sa più nulla, ora, tranne che ha divorziato, e non sappiamo se sia stato per questo che gli Alt-J decisero di cominciare a farsi conoscere così. Dei Dalijit non abbiamo che la pagina della band su Leedsmusicscene.com e una registrazione da Motorola Razr di un loro concerto, utili comunque per comprendere meglio This is All Yours. Hiroshima, l’unico inedito che conosciamo di questo progetto, è un pezzo molto folk in cui l’elettronica rimane in secondo piano. Una piccola correzione rispetto all’EP precedente, perché anche Léon diventa, infatti, meno carica di beat elettronici, quasi una folk song acustica. Il secondo album assume per queste ragioni un valore diverso, da interpretare in maniera più personale rispetto al clamoroso disco di debutto. La terza traccia dei Dalijit era, probabilmente, Portrait, forse l’ultima resistenza di quella vocazione folk, più legata a Newman. Non è un caso, dunque, che This is All Yours, con l’addio di Sainsbury, insista su certi aspetti più postfolk, nonostante il tratto dei Films sia ormai parte imprescindibile delle loro composizioni.
Nel dicembre 2011 firmano per la Infectous Music che gli permette di registrare il primo demo eponimo come Alt-J, in cui saranno inserite Matilda, Brezlebrocks, Hand-Made (poi secret track del disco di debutto) e Tessellate. Il 28 maggio dell’anno seguente usciranno con An Awesome Wave. Da qui la storia la conosciamo, il Mercury Prize, il tweet sull’abbandono di Sainsbury, tuttora avvolto nel mistero, e praticamente ogni dubbio sul fatto che potessimo aver perso una delle band più interessanti della nostra generazione, una di quelle da passare ai nipoti per ricevere la stessa sorpresa di quando trovavamo qualcosa dei Kraftwerk o di Bob Dylan nelle collezioni dei nostri genitori.
Ciò che colpisce di An Awesome Wave sono proprio quei colpi, il mettere al massimo i bassi della macchina e vedere lo specchietto che trema, senza per questo perdersi la particolare vocalità di Newman. Incastrarsi, cioè, nella quotidianità post-adolescenziale di uno come me, e forse di tanti altri, per motivi, situazioni ed età diverse. A una durezza elettronica corrisponde una voce calda, quasi spezzata come nelle preghiere, dalla scomparsa nella macchina dell’uomo in Kid-A all’insopportabile condanna all’umanità di Nick Drake. In certi brani (Ms, Dissolve Me) rimangono i passaggi precedenti, certo meno elettronici, dell’esperienza dei Dijialit, proprio quando il basso di Sainsbury scompare. Certo sarebbe facile fermarli a questo punto, ancora in quattro. Sono ancora abbastanza di nicchia, e poi diventeranno così importanti come avremmo capito a Milano, nel febbraio del 2015, quando entrare nella prima metro era diventato praticamente un’impresa da Indiana Jones. Qualcosa di diverso, poi, sembrava arrivare in Buffalo, brano del 2012 inserito nella colonna sonora di Silver Linings Playbook. Una tendenza ad allargare le atmosfere, a una strutturazione più eterea che ritmata, che rinuncia per la prima volta al basso di Sainsbury, che lascerà la band nel gennaio del 2014, cinque mesi prima che venga rilasciato This is All Yours.
È quello che dicevamo. Due anime, non necessariamente in contrasto, ma che forse si sono scontrate e poi lasciate. This is All Yours non è stato, probabilmente, capito per come è realmente. “Non è An Awesome Wave, semplicemente perché non ce ne possono essere due ed è meglio così”, ci diciamo perché non sappiamo essere sinceri nemmeno con noi stessi. Forse lo avremmo voluto, ma poi saremmo rimasti comunque delusi. This is All Yours è la necessità di tornare a respirare prima di consumarsi definitivamente. Gli Alt-J si sono salvati con le relative perdite, sfruttando tutto in termini di narrazioni sonore, una sorta di viaggio verso il proprio yuami, volontariamente più esteso verso questa Nara, disegnata dai sussurri della voce e i battiti scanditi dalla batteria di Green. Estensione cinematografica, da un campo largo a uno slomo in primo piano. Dopotutto il legame denso con il cinema non è mai stato un segreto per gli Alt-J, non solo per l’ovvio riferimento alla coppia Léon-Matilda di Besson o ai suoni di chiusura di certe canzoni, ma per la sua resa diretta, nella scelta dei video come nella realizzazione delle colonne sonore. Se salviamo The Sea of Trees dal terribile periodo di crollo artistico di Gus Van Sant è probabilmente perché ha affidato a loro l’intera colonna sonora, in grado di aumentare l’impatto emotivo della conversazione McConaughey-Watanabe sul senso della vita e della morte, non uno degli argomenti più leggeri. Stiamo parlando di due linguaggi, uno diverso dall’altro, che si separano così labilmente. Le mucche di Left Hand Free, il modo di sperimentare sentimenti differenti nel ragazzo e la ragazza di Every Other Frickle, la stessa canzone per due ricezioni diverse, o ancora la leggenda messicana di In Cold Blood, tratti che da felici diventano improvvisamente tristi. Si tratta di un cambio di panorama difficile da immaginare altrimenti, e gli Alt-J lo rendono possibile quasi senza farci soffrire. La capacità di immergersi completamente in ciò che fanno, con gli strumenti, per trasmettere delle suggestioni a chi ascolta sarà uno dei nodi di Relaxer. Non più l’immediata confidenza al suono di An Awesome Wave, non più la leggerezza di This is All Yours, un terzo passaggio all’interno di quel labirinto della percezione, del modo in cui si connettono certe terminazioni nervose e non puoi limitare. Un effetto placebo e una richiesta di calma. Come quando metti la loro discografia mentre le immagini di Baraka scorrono in sottofondo. Un’improvvisa pace momentanea, per cui tutto può incastrarsi in una canzone degli Alt-J.