“L’abbandono era il mare e il mio cuore era Nisida”
C’è un posto bellissimo a Napoli, sospeso tra la terra ferma ed il mare. È squassato dal vento e baciato dal sole, ben visibile dal Parco Virgiliano a Posillipo. In questo luogo, che è Nisida, sorge, per antitesi, il carcere minorile, emblema delle responsabilità sociali di un’intera comunità. Qui batte il cuore di Almarina (Einaudi), il nuovo, atteso, romanzo di Valeria Parrella. La voce narrante è di Elisabetta Maiorano, insegnante di matematica cinquantenne, che dopo anni al Nord, giunge nelle aule del carcere minorile partenopeo, dove i ragazzi ad un professore chiedono più di una lezione. Dove insegnare non è solo insegnare, e questo stanca, prosciuga, consuma. La Maiorano non si risparmia. Da quando Antonio, il marito, è morto, cerca di riempire il tempo oltre le lezioni. Finché arriva Almarina, una detenuta romena di sedici anni, con alle spalle violenze inaudite da parte della famiglia.
Il destino di questa ragazzina sveglia e sola, che si interessa a Gramsci e si addormenta in classe, diventa il cruccio di Elisabetta. La professoressa si affeziona all’alunna e l’alunna si affeziona alla professoressa, in un ambiente che non è una qualunque aula scolastica. Tra le sbarre, le perquisizioni, gli addii improvvisi e il pensiero fisso di offrire un’alternativa a chi non è stato mai veramente bambino, nasce una forma di amore, un desiderio di accudimento, la speranza di potersi affidare. Un’interazione profonda, una sinergia fatta di sguardi, riflessioni condivise, parole dette o taciute.
Se la regola non scritta per chi insegna a Nisida è non affezionarsi, la Maiorano è spacciata. Lo sanno i colleghi, i custodi, gli amici. Almarina si lascia recuperare dal suo angolo e si aggrappa silenziosamente a quest’insegnante ruvida ma piena di umanità, ironica, capace di fronteggiare il dolore e di arrivare al cuore delle questioni, come tutti i personaggi femminili di Valeria Parrella (penso a Clelia di Lettera di dimissioni, ad Amanda di Enciclopedia della donna, aggiornamento o alla voce narrante di Tempo di imparare). È coraggiosa, Elisabetta, anche se le manca Antonio. A volte è distratta, a tratti buffa, molto molto femminile, consapevole di quello che le piace o meno. Ad Almarina consegna i suoi demoni affinché li scacci con la giovinezza e il bisogno di affetto che non reclama.
Nel libro c’è anche Napoli, con la fascinazione e l’estraneità che suscita, tra considerazioni esistenziali spolverate di sarcasmo ed interrogativi sociali: la storia dei personaggi principali si intreccia così a quella di una collettività e dei luoghi che abita. Nel testo compaiono alcuni elaborati che i ragazzi di Nisida hanno prodotto durante un laboratorio di scrittura creativa tenuto dalla Parrella, anni fa. Un elemento di realtà in una trama lontana dal vissuto della scrittrice e all’interno della quale si è mossa prediligendo l’io narrante, scelta stilistica che valorizza tanto la sua voce. Le parole sulle pagine sono corpose, impongono al lettore di fermarsi, di soffermarsi. Niente scorre, tutto resta. La ricerca che sta alla base dell’espressività di Valeria Parrella la rende inimitabile. Il modo di comporre le frasi, di strutturarle è un marchio di fabbrica. Qualcosa che i lettori conoscono bene e ricercano ogni volta che lei pubblica un nuovo testo. Questa dimestichezza con la lingua, unita alla capacità di affabulare, fanno della Parrella una narratrice brillante ed arguta. Parere di lettrice, augh.