Down and out in New York City. 3 opere (e 3 decadi) per arrivare all’Hip Hop. 1/3

Pochi fenomeni culturali – e parlare di genere musicale sarebbe riduttivo, se non improprio – hanno avuto una genesi e uno sviluppo complicato quanto l’Hip Hop. Proprio come il sampling, il campionamento, che ne è il marchio di fabbrica, l’iconografia di questo mondo si è costruita nel tempo, per stratificazioni sonore e non: l’emarginazione sociale made in America unita all’orgoglio afro di Fela Kuti, l’ostentato machismo della Blaxploitation con l’ambiguità sessuale di Prince, l’asprezza del funk sovrapposta lirismo pacchiano della disco music, la retorica di Bruce Lee a imbastardire quella di Malcolm X.

C’è un Mondo, là dentro. E come ogni pianeta che si rispetti, le contraddizioni che ne costituiscono le fondamenta hanno impiegato anni ad amalgamarsi tra loro, a trovare una coerenza, un modo per convivere in pace. Se volete godervi il risultato finale, lasciate perdere questo pezzo e date un’occhiata a Big Fun In The Big Town, un documentario olandese(?) che è la migliore introduzione possibile all’epopea di Grandmaster Flash e dei suoi seguaci. Ciò che troverete qui è, invece, la strada più lunga, che attraversa un libro (Uomo invisibile), un documentario (What happened, Miss. Simone?) e una serie tv (The get down). Niente pausa-sigaretta, mi dispiace. Queste tre opere, così diverse tra loro per stile e profondità, sembrano però formare, insieme, un’(inconsapevole) guida per chi volesse comprendere quali eventi, ma soprattutto quali sentimenti, hanno portato alla nascita della doppia H in quegli anni, a New York, nel Bronx.

 

1. L’abbandono. Uomo invisibile – Raphael Waldo Ellison (1952)

La metropoli è il punto d’arrivo, il (non-)luogo in cui dall’unione tra la totalità della massa e il nulla dell’anonimato nasce sempre qualcosa. Spesso, però, bisogna arrivarci da un punto lontano, totalmente opposto, per capirne l’essenza.

È questo il caso del protagonista senza identità del romanzo di Ellison, spedito a New York dal Sud dell’America, informalmente schiavista, per aver rivelato la condizione dei propri concittadini ad un facoltoso (e ovviamente bianco) finanziatore del suo college. Dopo aver sperato, invano, di trovare il proprio posto nella società (ovviamente bianca) dal suo interno, obbedendo alle due regole auree dell’american dreamduro lavoro, che non gli rimedierà altro che un elettroshock, e rispetto delle istituzioni, qualunque esse siano –  l’Uomo Invisibile sembra trovare finalmente la sua strada all’interno delle meccaniche marxiste della Confraternita afroamericana di Harlem. Ancora una volta, però, si tratta di una tragica illusione: nella comunità che dovrebbe difenderlo dai soprusi della società bianca, trova alla fine una nuova prigione, ancora più oppressiva, perché è stato lui stesso a costruirla, stavolta. La comunità che accoglie con tanto entusiasmo i suoi sermoni lo fa per ciò che raccontano o per il colore della pelle di chi li pronuncia? Se al Sud la sua identità coincideva con l’essere nero, arrivato a New York, il protagonista di Ellison si trova di fronte ad un dilemma nuovo: capire come poter essere sé stesso, pur essendo afroamericano. La via, drastica, che sceglie di seguire è scomparire completamente dalla società, nascondendosi tra le case in fiamme di Harlem. Ma non abbandonandole.

Io sono un uomo invisibile. No, non sono uno spettro, come quelli che ossessionavano Edgar Allan Poe; e non sono neppure uno di quegli ectoplasmi dei film di Hollywood. Sono un uomo che ha consistenza, di carne ed ossa, fibre e umori, e si può persino dire che posseggo un cervello. Sono invisibile semplicemente perché la gente si rifiuta di vedermi: capito?

E quelle dell’Hip Hop sono state spesso voci di uomini invisibili, sfiduciati, sia nei confronti della società “politica”, che li ha regolarmente traditi, arrivando persino ad assassinare i suoi leader, così come della propria comunità, che con il movimento underground ha sempre avuto un rapporto ambiguo, di attrazione e repulsione. L’Uomo Invisibile dell’HH, erede dei bluesmen e dei beboppers, racconta cosa significa essere soverchiato dal peso della propria identità, con cui deve fare i conti, molto spesso, da solo e contro tutto ciò che lo circonda.

Io non sono mai stato odiato di più di quando ho cercato di essere onesto.

Ralph Waldo Ellison, 1952

That’s as blunt as it gets, I know you hate me, don’t you?

Kendrick Lamar, 2014

 

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