a cura di Marianna Abbate
Siamo tutti ragazzi di quartiere. Dal quartiere si fugge, ma la verità è che ti sceglie dalla nascita, ti forma, a volte ti definisce in maniera inesplicabile. Puoi nascere a Garbatella, a Lambrate o nel Bronx e ottenere sempre lo stesso risultato: l’anonimato, in bene o in male, di una vita qualunque di una persona qualunque. Ma a volte capita che tra le tante banalità della vita quotidiana, gli amici, l’università, il lavoro in un bar per arrotondare, la ruota smette di girare nel verso che hai sempre conosciuto. Potrebbe addirittura succedere che a 29 anni diventi la più giovane deputata del Congresso statunitense. Sembra paradossale, ma questa è la storia di una storia vera che si chiama Alexandria Ocasio-Cortez.
La giovane, conosciuta anche con la sigla AOC, ha destato subito curiosità e ammirazione, aggiudicandosi l’appellativo di volto nuovo della politica americana; per tanti è l’anti-Trump, diametralmente opposta a tutto quello che l’attuale presidente rappresenta. Le divergenze tra i due, in termini di agenda politica nonché spesso protagonisti di accesi confronti, aumentano in vista delle prossime elezioni presidenziali del 2020. Si sa, tutto è lecito in guerra e in amore, così come in clima elettorale. Il Presidente, infatti, nei giorni scorsi non ha trovato altro modo di replicare alle fiere avversarie, le quattro donne che lui stesso definisce “deputate democratiche progressiste”, se non attraverso i suoi famosi tweet suggerendo di «tornare indietro e aiutare a rimettere in sesto i luoghi distrutti e infestati dal crimine da cui provengono». In parole povere, tornatevene nelle vostre baracche e caspita quanto suona familiare anche in Italia.
Soggetto di quel “torna a casa tua” non è solo dunque AOC: l’invito è rivolto anche alle altre tre deputate democratiche, tutte donne e nessuna bianca, Rashida Tlaib, Ayanna Presseley e Ilhan Omar. Buffa la questione quando su quattro candidate, tre sono in realtà nate negli Stati Uniti. L’unica è Omar, nata in Somalia ma naturalizzata statunitense. Nessun paese in cui ritornare, insomma. Appare sempre più di frequente che la politica s’indigni e armeggi i forconi dell’hate speech contro giovani donne, minoranze etniche e qualsiasi cosa possa essere diversa dalla loro agenda politica. I commenti lasciano ovviamente il tempo che trovano, ma per capire la serietà del non tanto velato razzismo e della dilagante misoginia che imperversa nell’attuale sistema politico americano (e non) bisognerebbe analizzare una a una le parole di Donald Trump. E poi, a dirla tutta, il posto di cui parla è più vicino di quanto creda.
Alexandria — ci permettiamo di chiamarla per nome e darle del tu — è nata e cresciuta in uno dei quartieri più complessi di New York City, il Bronx. La grande mela le ha donato i natali e il destino vuole che siano proprio gli stessi di Mr. President: diverso distretto, questo sì, ma stessa città. Allora se non stiamo parlando di New York, qual è il presunto luogo a cui l’attivista e politica democratica dovrebbe ritornare? Si parla, forse, di Puerto Rico dove è nata la madre di AOC. Analizzando il percorso di AOC, si spiega il perché Trump sia così avvelenato nei suoi confronti. Ocasio-Cortez cresce politicamente nelle fila di Bernie Sanders e la loro politica è dichiaratamente democratica-socialista. Appoggiano con fervore l’idea di una sanità pubblica gratis, di un’educazione statale altrettanto gratuita, la regolamentazione delle armi, l’eliminazione delle carceri a gestione privata. Tutti i punti critici del governo Trump. In più, se Trump si ritira dall’accordo di Parigi sul clima, Ocasio-Cortez presenta il Green New Deal, una proposta di legge che mira al raggiungimento di un’economia a zero emissioni. Se il Presidente vuole costruire un muro al confine tra Stati Uniti e Messico, Ocasio-Cortez è a favore dell’immigrazione, vedendola come una grande risorsa per il paese.
La vera forza della democratica, oltre alla validità della sua agenda politica, risiede però in quella parola tanto inflazionata quanto giusta: empatia. Alexandria è infatti empatica in tutto quello che fa. Sembra l’amica che conosci dal liceo, quella che ha smesso di aspettare che qualcuno faccia qualcosa per lei e ha iniziato a farlo da sola. Agli insulti risponde a tono. Alle provocazioni non ci casca. Alla vigilia del suo giuramento alla Camera, ad esempio, era stato diffuso un video atto a dimostrare la sua inadeguatezza a “sedere al tavolo dei grandi”; il video ritraeva AOC, ai tempi del college, in cui balla sul tetto del campus universitario. La giovane deputata ha risposto a suon di video, un altro per l’appunto in cui balla nel suo nuovo ufficio al Congresso con tanto di copy «se i repubblicani pensano che una donna che balla all’università sia scandalosa, aspettino di scoprire quanto può essere scandalosa una donna che balla nel Congresso».
AOC ha mantenuto l’apparenza di ragazza di quartiere anche in un ambiente che di per sé snaturerebbe chiunque. Come ogni millenials che si rispecchi, i suoi profili social sono sempre aggiornati (e seguiti da milioni di persone). La sua popolarità ha persino indotto la piattaforma di streaming Netflix a produrre un documentario sulla sua campagna per le elezioni di metà mandato. La sua strategia, che come tutte è ben studiata a tavolino, ha però il pregio di apparire spontanea e fresca, il che è molto accattivante per l’elettore stanco della vecchia classe politica. Prima di entrare in politica, Ocasio-Cortez era sconosciuta, esattamente come tutti noi, nata e cresciuta in un quartiere. Il 26 giugno 2018 AOC si presentava ai suoi elettori sul suo Twitter come «a girl has no name», la ragazza senza nome (— e no, non parliamo di Arya Stark). Adesso un nome ce l’ha e non ci resta che aspettare e vedere i frutti che darà il suo lavoro.