Evoca atmosfere e stati d’animo febbrili, tra cinismo, incompiutezza e sogni che non spiccano il volo, Napoli mon amour (NN editore), il primo romanzo di Alessio Forgione, già salutato dalla critica e da Raffaele La Capria in persona (Forgione, tra l’altro, lo ha conosciuto) come il nuovo Ferito a morte. E se di rievocazioni deve trattarsi, almeno un poco per ragioni comunicative, a me, leggendo questo romanzo, sono venuti in mente anche L’ultima estate in città di Gianfranco Calligarich, Le mille luci di New York di Jay McInerney e persino Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi. Il protagonista e voce narrante di Napoli mon amour è Amoresano, un trentenne napoletano, gran lettore, che con due lauree ed anni di esperienza lavorativa sulle navi, non riesce a ricollocarsi e a trovare un pizzico di tranquillità economica. Appena può, scrive racconti. Il suo più caro amico, Russo, è compagno fedele di bevute e di chiacchierate. Una vita da ventenne nei panni di uno più grande di dieci anni, con i soldi contati in tasca e la città che gli si manifesta nelle sue sfumature, a volte benevole, altre molto meno. Ma per fortuna ci pensano il calcio e la squadra azzurra (il Napoli, ovvio) a tamponare i malumori. Nina, che è l’amore con una bella bocca e due occhi da cerbiatta, arriva nella vita di Amoresano come un amplificatore di limiti e impossibilità: sarà la felicità, sarà l’eterno in una mano, ma saranno anche lacrime e dolore. Sullo sfondo e al centro di tutto, c’è Napoli, c’è il mare, c’è casa. La scrittura di Forgione è elastica, immediata, penetrante. Un mix di ironia e cinismo, però assai umano, con un che di dolce in coda.
Abbiamo fatto qualche domanda ad Alessio. Buona lettura!
Quando hai iniziato a scrivere il romanzo e come sei giunto a NN editore?
Ho cominciato nel dicembre del 2016, a Napoli, ed ho finito la prima stesura a giugno del 2107, a Londra. A luglio ho inviato il manoscritto a NN, perché erano i miei preferiti, sia per la qualità delle loro pubblicazioni che per la cura che ci mettevano. Mi hanno risposto a fine settembre, ci siamo incontrati ad ottobre a Milano e da lì ho ripreso a lavorare, assieme a loro, al romanzo, fino a metà luglio del 2018, cioè fino al giorno prima di mandarlo in stampa.
Amoresano agogna l’età adulta, e quindi, anzitutto, un lavoro ben retribuito. Un desiderio che secondo la tua esperienza diretta, ma anche indiretta, sta diventando utopia?
La precarietà di Amoresano è una precarietà innanzitutto esistenziale: nulla è certo nella sua vita, figuriamoci il lavoro. Il mio intento era quello di raccontare la storia di questo singolo, quasi adulto ma non del tutto, preso in mezzo, e lo credevo piuttosto isolato dal resto del mondo. Invece, è parte del mondo: una componente, forse, riottosa ma pur sempre componente. In molti mi hanno scritto dicendomi che il mio romanzo parlava anche di loro, della loro condizione, dei loro inseguimenti, di questo lavoro che gli sfugge dalle mani e di questa loro precarietà che si estende toccando anche i sentimenti. Per me, in Italia, è stato impossibile e parlo per me e da quello che le persone mi fanno leggere, oggi, mi sembra che la situazione sia molto difficile per tutti.
Il tuo protagonista si immerge in una Napoli notturna, fatta di drink, birre ed aspiranti artisti. Una Napoli che è parte del suo mondo, perché è quello dei suoi amici, dei suoi coetanei. Vi si addentra, ci passa in mezzo, ma non se ne sente parte, almeno nella fase in cui lo conosce il lettore. In quale luogo – fisico o emotivo – Amoresano si sente veramente a casa?
In Curva B, in piedi sui sediolini, con le mani in tasca, senza cantare ma sentendosi un attimo sollevato.
Citando, non alla lettera, una scrittrice italiana che a me piace tanto, Rossella Milone: il problema non è tanto incontrare una persona, ma trovarsi allo stesso punto quando la si incontra. Nina ed Amoresano a che punto si trovano, nei loro percorsi di vita, quando si incontrano?
Loro due partono da due punti diversi ed hanno traiettorie diverse. Lei è giovane, è bella, è cinica e presuntuosa. Lui è stanco. Lei vuole il mondo, lui vuole lei. Lei ha il tempo e i mezzi per investire su se stessa, lui no: ha solo lei. Lui sa ch’è un gioco a perdere e si butta, pur di giocare. Lei non gioca nemmeno perché anche vincere non le darebbe nessuna gioia. Lui cammina lento, lei corre veloce.
Che cos’è l’amore per Amoresano?
Quello ch’è per tutti: una sventura, fino a prova contraria.
Da Hemingway ai Rolling Stones, da Bennato a Nabokov, da La Capria a Nick Cave: il tuo romanzo è zeppo di letteratura e di musica. Poi ho sentito alla radio Quello che non ho di De Andrè ed ho pensato che comunica bene il mood di tutta la storia che hai scritto. Che ne pensi?
Tutte quelle citazioni credo che nascano dall’urgenza di concentrarsi sulle cose belle, nonostante le cose brutte che, costantemente, accadono. E credo che questa canzone di De André che dici parli di uno che non è disposto a dire sempre di sì. Mi sembra che Amoresano conosca quel che gli piace e soprattutto quello che non gli piace e che non ha voglia di dire di sì quando pensa di voler dire di no. E così lui dice no, spesso.
Hai conosciuto La Capria, hai letto e riletto Ferito a morte, al cui incipit ho ripensato leggendo la conclusione del tuo romanzo, con la descrizione dell’escursione subacquea alla Gaiola e alla riserva. Dove inizia il tuo romanzo del cuore, là finisce la tua opera prima. Questa cosa è una mia visione o esiste una specularità?
Non è una cosa esattamente voluta. Quello che volevo era che questa vicenda di Amoresano finisse con lui che guarda il Vesuvio e poi schiaffeggia l’acqua. Però è anche vero che non esiste il caso e che molte cose accadono inconsciamente. Senza Ferito a morte non avrei scritto, del tutto, non semplicemente questo romanzo, e sicuramente dovevo fare i conti con questa cosa. Forse questo è stato il mio modo. Ho letto Ferito a morte, per la prima volta, ch’ero a Procida, da appena licenziato. Mi spazzò via. Per la forma, incredibile, e per quello che mi suggeriva. È stato come se mi dicesse di non nascondere questa paura che avevo del futuro ma di dirla, ad alta voce, quanto più chiaramente potevo. Ed io ho obbedito.
Parlaci di libri: leggi molto? Cosa stai leggendo in questo periodo?
Leggo quanto più posso. Più persone mi hanno detto che il mio modo di portare avanti le cose all’interno della narrazione gli ricorda Bret Easton Ellis e di lui avevo letto solo American Psycho, almeno dieci anni fa e mi era piaciuto, stilisticamente, ma non totalmente per quando riguarda la morale, perché mi sembrò che quel romanzo volesse avere una morale. Così, ora, sto leggendo lui, per controllare. Meno di zero e poi Le regole dell’attrazione. Sono due romanzi stupendi, potenti, però non vorrei che Amoresano venisse scambiato per uno dei sui personaggi. Perché quelli di Ellis sono paralizzati dal fatto che non gli importa di niente, mentre il mio è paralizzato dal fatto che gli importa di tutto. Letti quelli, rileggerò American Psycho e credo che poi attaccherò con Lo scandalo Wapshot di John Cheever e poi ho Gilles e La commedia di Charleroi di La Rochelle. Questi che t’ho detto sono le mie urgenze principali in quella che è una bella pila di libri. Nella mia mente di lettore compulsivo, le cose che leggo le leggo con un ordine preciso.