Fernando Pessoa definiva la letteratura come “la confessione che la vita non basta”, Franz Kafka diceva che “è un assalto alla frontiera”. Vestire la letteratura di un abito che aderisca alle sue forme senza costrizioni di sorta, è assai complicato. La letteratura è in continua evoluzione. È il racconto imperituro del cammino di un’umanità inesausta, descritto da punti di vista, angolazioni e intelligenze differenti. Eppure ci si prova e ci si riprova, finché non capita, congiunzione astrale, caso divino, lucide menti, che due punti di vista, due angolazioni, due intelligenze non coincidano. Se non del tutto, almeno in parte. È questo ciò che ho pensato intervistando Alessio Cuffaro: inaspettatamente può succedere che delle prospettive si incontrino, e tutto pare avere un senso. Per certi versi ciò che mi ha detto mi ha ricordato le asserzioni circa la letteratura di Stephen King, per altri quelle di Haruki Murakami.
Alessio Cuffaro è nato una prima volta a Palermo e una seconda volta a Torino, quando è entrato alla Holden di Alessandro Baricco. È editor ed editore della Autori Riuniti, ha collaborato con Rizzoli ed Einaudi e ha scritto un romanzo, delicato e innovativo, La distrazione di Dio. Abbiamo parlato di scrittura e di editoria, e ne è venuta fuori una bella chiacchierata.
Ti occupi di scrittura a trecentosessanta gradi. Credi che il modo di fare letteratura stia cambiando? Avverti un’evoluzione – o involuzione, se preferisci –?
Vorrei tanto che il modo di fare letteratura cambiasse, ma non vedo segnali incoraggianti. Siamo ancora costretti a confrontarci con trame inconsistenti quando non anche circondariali. Costretti a subire il romanzo di turno che cavalca il tema del giorno, portando la balistica della narrazione al corto raggio della cronaca, quando gli sarebbe dovuta l’ampia gittata della letteratura. So di essere pessimista, ma dubito che potremo venirne fuori finché prevarranno nel discorso intorno alla letteratura gli sguardi tutti rivolti al passato, un elitarismo durissimo a morire, l’orrore per le istanze del lettore, la paura di intrattenere e poi lo sgomento del cornuto quando si scopre che il lettore è uso fornicare più volentieri con le serie tv che con i libri.
Quali sono le differenze sostanziali nella produzione letteraria tra il lavoro di editor e quello di scrittore? Ci sono delle responsabilità diverse e specifiche nei confronti dei lettori?
Quando scrivo sento la responsabilità verso il lettore, verso la storia che sto raccontando e verso la mia idea di letteratura. Quando edito ho un passaggio in più: devo sempre arrivare al lettore, ma devo farlo nel miglior modo in cui la scrittura del mio autore può farlo, che non è affatto detto coincida con il mio. Devo rispettare la storia che il mio autore ha messo in campo, anche se mai io le avrei dato la luce come autore. Devo fare tutto questo rispettando il modo in cui il mio autore ha scelto di abitare il ruolo di scrittore, il posto che ha scelto di occupare in questo lungo cammino collettivo che è la letteratura. Non so dire quale delle due attività sia più difficile. Quando scrivo vorrei un altro me stesso a editarmi. Quando edito devo tenere a bada il me stesso autore perché non abbia a interferire con una scrittura non sua.
E per quel che riguarda l’insegnamento, invece? Credi che la scrittura si possa insegnare? Che romanziere non si nasca, ma ci si diventi?
Ne sono certo. Anzi trovo letteralmente scandaloso che si possa ancora dubitare della possibilità di insegnare la scrittura. Perché troviamo naturale che da un conservatorio possa nascere un compositore, da una scuola di danza un Roberto Bolle e non accettiamo che da una scuola di scrittura nasca un romanziere? La cosa è ancora più odiosa se si considera che la letteratura che più spesso è oggetto di ammirazione nel nostro paese è quella americana, scritta da autori che puntualmente, tutti, si sono formati ai corsi di storytelling delle università statunitensi. Con questo non voglio dire che sia sufficiente frequentare un corso di scrittura per diventare un grande romanziere. Del resto, quanti hanno studiato musica e poi non sono diventati Ennio Morricone? Di contro non si dà al mondo compositore che non abbia studiato musica prima di comporla.
Soffermiamoci sul tuo lavoro di editor e di editore. Ogni casa editrice ha le proprie regole, opera sui testi seguendo una linea caratterizzante. Qual è il modo di lavorare della Autori Riuniti, in tal senso?
Cerchiamo di scovare libri capaci di stupire, di far pensare, di ammaliare con l’affabulazione e di esercitare il lettore alla compassione tramite la trama. Pretendiamo dai nostri autori che tutto questo sia fatto con una voce riconoscibile, o comunque con la migliore scrittura che l’autore è in grado di mettere in campo in quel momento preciso del suo percorso di crescita. Lo stile, quello vero, è l’elemento più soggetto all’evoluzione. I temi ricorrono, gli ambienti tornano, i personaggi hanno strutture di personalità analoghe, ma lo stile cambia di continuo, si affina, diventa più solido, impara pian piano a dominare il campo della narrazione. Lo stile cresce al crescere dell’autore.
Si è molto parlato di Brave con la lingua, la raccolta di racconti della Autori Riuniti interamente al femminile che, specie considerando la scarsa attenzione dedicata dai lettori ai racconti brevi, ha avuto un’ottima risonanza. Com’è nata l’idea per un progetto del genere? Qual era lo scopo della pubblicazione?
Lo scopo era quello di capire un fenomeno. Se esiste (e non ho dubbi che sia così) un modo sbagliato di relazionarsi alle donne da parte degli uomini, allora la narrativa sarà in grado di renderlo plastico, di spiegarne le cause scatenanti e i meccanismi. E così è stato. Ogni autrice ha trovato la sua metafora per indicare un modo in cui il linguaggio chiude le donne in gabbie semantiche e butta via la chiave. La narrativa è spesso la miglior saggistica di cui disponiamo.
Credi che il mondo della scrittura sia sessista?
No, assolutamente no. Al contrario le autrici, italiane e straniere, sono le più contese dalle redazioni. C’è un bisogno enorme di sguardo femminile. I lettori sono in maggioranza donne e Dio solo sa quanto agli uomini farebbe bene venire a patti con la propria parte femminile. I professionisti dell’editoria sono in gran parte donne. Altra cosa è capire perché spesso questo non si traduca in successi editoriali (c’è la questione Elena Ferrante che fa eccezione per troppe ovvie ragioni perché qui se ne possa parlare). Le autrici che hanno successo oggi sono quelle che non temono di abitare a pieno titolo tutta l’ambizione che è necessaria alle grandi narrazioni. Evitano l’alveo sicuro e rassicurante della sfera intimistica e, giustamente, accontentano la sete di conflitto del lettore; rinunciano a dipingere a tinte tenui laddove il lettore vuole un affresco caravaggesco. Credo che la via da seguire sia esattamente questa.
Quanto vale nella decisione sulla pubblicazione di un testo il suo potenziale di vendita? E da editor, cosa cerchi in uno scrittore – specie se esordiente –?
Il potenziale di vendita per noi di Autori Riuniti vale poco o niente. Lo so, può sembrare falso e ipocrita, ma dovete crederci. Non siamo interessati al libro del vip, vogliamo che un perfetto sconosciuto diventi vip a merito della sua scrittura, che è cosa ben diversa. Il giorno in cui cercheremo la via facile, lo youtuber, il personaggio televisivo avremo perso definitivamente. Per fortuna, se anche dovessimo perdere la testa, ci saranno editori con più cassa a rubarci l’errore e darlo alle stampe. Cosa chiedo a un esordiente? Coraggio. Perché non esiste opera più coraggiosa di un esordio e niente di ciò che seguirà sarà mai altrettanto libero.
Parliamo adesso del tuo lavoro di romanziere. Su cosa si focalizza la tua scrittura?
Cerco di dirlo ogni volta che posso, che si tratti di un’intervista come questa o di una delle cinquanta presentazioni che ho fatto de La distrazione di Dio: cerco di scrivere storie capaci di avvincere il lettore debole con la trama e di far pensare il lettore forte con la stratificazione di significati, lasciando che il primo legga d’un fiato e il secondo legga piano, assaporando ogni piano di lettura possibile. Mi piacerebbe far finta che questa sia una mia innovativa idea della scrittura, ma è semplicemente quello che vedo accadere da vent’anni con le migliori serie tv.
Attraverso la narrazione, cerchi di comunicare un messaggio, trattare un tema o raccontare uno spaccato della società?
Di sicuro non mi interessa per adesso raccontare uno spaccato della società. Non credo che un romanzo debba diventare il vettore di un cambiamento sociale o politico. Quella è una visione figlia degli anni settanta che non credo abbia ancora ossigeno sufficiente a far deflagrare alcunché. Il tema è importante, e lo è tanto più è irrisolto al momento della scrittura. Ma ciò che mi spinge davvero a scrivere è la possibilità di mettere in scena la tragicità dell’esistenza umana. Chiamo il lettore a un esercizio di compassione, gli chiedo di riconoscersi le stesse fragilità dei miei personaggi, ambisco ad allenarne il muscolo dell’empatia. Ogni narrazione è, a suo modo, una preghiera verso un Dio distratto.
Qual è il ruolo della tua letteratura? Il ruolo che riveste per te e che vorresti che rivestisse per i tuoi lettori, intendo.
Il ruolo principale è emozionare il lettore. Questa per molti addetti ai lavori è eresia. Ecco spiegato perché si legge sempre meno.
Tornando a una generalizzazione della narrativa contemporanea, credi che i cambiamenti sociali e politici, l’avvento dei populismi in Europa e negli Stati Uniti, il fenomeno migratorio, le agitazioni sociali, si rispecchino in qualche modo in letteratura? Cultura e società sono ancora intrecciate? Voglio dire, chi si occupa di cultura, chi fa letteratura, cerca ancora di raccontare la società e la società, a sua volta, si rifugia ancora nella cultura?
Vargas Llosa parlando di Victor Hugo ricorda le critiche che furono mosse allo scrittore francese. La realtà non si dà come un romanzo di Hugo, dicevano. Nessuno è puro come Jean Valjean. Ai tempi questo veniva considerato sovversivo. E Vargas Llosa riconosce questo potere sovversivo nella scrittura di Hugo e poi nella letteratura in genere. Quello che penso è che il modo che ha la letteratura di incidere sul reale è di incidere sul singolo. Ma non dando cittadinanza nei romanzi al populista o al nostalgico della falce e martello, lo fa dicendo al lettore che altre vite sono possibili. La letteratura è allenamento ad altre forme del vivere che non sono ancora, ma che potrebbero essere. Questo fantasticare, questo non accontentarsi del reale e cercare altro nella finzione è, ovunque lo si applichi, sovversivo.
Come interpreti i dati – sconfortanti, aggiungerei – sulla lettura in Italia? Perché si legge così poco e si tende a pubblicare, e a scrivere, quindi, così tanto?
Un po’ ho risposto prima, ma provo ad articolare. Il lettore medio non vuole fregature. In questi anni mi è successo spesso di sentirmi dire: leggerti mi ha riavvicinato alla lettura. Non c’è complimento più bello che si possa ricevere. Ma cosa cela? Cela la noia provata nel leggere opere che si autodefiniscono alte e poi sono solo anedonici esercizi di stile. Cela la delusione generata dalla lettura di best seller che sono tali prima ancora di aver venduto la prima copia e che per mezzo della scrittura sciatta di cui sono fatti mortificano la ricerca estetica del lettore. Si pubblicano tanti titoli per un circolo vizioso del processo distributivo italiano. Provo a riassumerlo sperando di non annoiare con un tecnicismo: edito un libro lo do al distributore che a sua volta lo dà ai librai. Arriva del denaro all’editore. Ma i librai non vendono tutto ciò che ordinano ed ecco che nel giro di pochi mesi rendono indietro i libri al distributore che a sua volta li rende all’editore chiedendo indietro parte del denaro dato in precedenza. Per coprire questo denaro che dall’editore va verso il distributore si danno alle stampe sempre più libri, generando così un meccanismo perverso che è identico a chi cerca di puntare sempre di più sulla roulette per recuperare i soldi persi in precedenza. Gli editori piccoli che cascano in questo meccanismo spesso vanno in fallimento, i grossi gruppi editoriali hanno casi di successo che coprono gli ammanchi e danno ancora un po’ di tempo alla bolla prima che scoppi.
Per concludere: hai qualcosa in cantiere? Dei progetti di cui vorresti parlarci?
C’è un nuovo romanzo di cui però è prematuro parlare. E poi ci sono alcune novità di Autori riuniti che vedrete in libreria a inizio del nuovo anno in cui crediamo molto. Stiamo organizzando diversi corsi di scrittura in molte città d’Italia. Vogliamo ribaltare lo schema classico: portare il docente verso gli allievi e non convogliare a tutti costi gli allievi verso la città dove ha sede la casa editrice. Anche questo, a suo modo, è sovversivo.