a cura di Nunzio Bellassai
In principio furono i cannibali. Si potrebbe dire oggi, riferendosi a quel gruppo di autori che sono emersi negli anni ’90, mossi dall’influsso di Pulp Fiction e della letteratura americana, destinati a mutare le forme narrative contemporanee e il linguaggio con inedite coloriture giovanili, termini gergali, neologismi, scarsa punteggiatura. I “nipoti di Tondelli”, gli sregolati emergenti che hanno fatto il loro avvento nella letteratura che conta in un’antologia di racconti destinata a rimanere nella storia. “Gioventù cannibale”, a cura di Daniele Brolli, edita dalla neonata collana Stile Libero di Einaudi, ha permesso a molti autori di mettersi alla prova e farsi conoscere. È il caso di Aldo Nove, pseudonimo di Antonio Centanin, che esordisce prima come poeta e poi con una raccolta di racconti emblematica dello stile splatter e pulp dei cannibali, “Woobinda”, per Castelvecchi nel 1996, poi ripubblicata per Einaudi con nuovi racconti appena due anni dopo. Celebre l’incipit-manifesto della raccolta:
“Ho ammazzato i miei genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo, Pure & Vegetal. […] ma io uso Vidal e voglio che tutti in casa usino Vidal” (da Il bagnoschiuma in Superwoobinda, Einaudi, Torino 1998).
Violenza, sangue, comicità. Racconti brevi, oggi introvabili in formato cartaceo, esposti con la velocità dello zapping in prima persona da personaggi squilibrati, influenzati dal fascino della televisione, dai mass-media, in un’alternanza di tono comico e tragico. Racconti come Vermicino e quello di Marta Russo sono lo specchio di un paese turbato, che alimenta il culto delle merci e rende i suoi cittadini ansiosi spettatori televisivi, tutto ancor prima dell’avvento di internet. Aldo Nove si è liberato del linguaggio, della sintassi, di ogni condizionamento interno, racconta la realtà, un’iperrealtà. Frutto di questa concezione sarà “Puerto plata market”, la storia di Michele, nevrotico consumatore, disoccupato e scapolo, deciso a trovare amore e fortuna a Puerto Plata. Anche Michele è assuefatto dai media, è sempre vissuto nel “Paese dei Balocchi e delle Merci”, nel consumistico McMondo, fatto di non-luoghi. Pur essendo un romanzo, Aldo Nove predilige la forma del racconto, che emerge nelle narrazioni degli improbabili personaggi che Michele incontra a Puerto Plata.
“Veramente quello che non capisco è perché mi sento così continuamente questa mattina male come se mi viene da piangere se sono triste oppure questo fatto del sole adesso in spiaggia sono solo è meglio che vado da Silverio Messon.” (da Puerto Plata Market, Einaudi, Torino 1997)
Un allontanamento dagli eccessi del “cannibalismo” si registra qualche anno dopo, nel 1998, con “Amore mio infinito”, simbolo della maturità dello scrittore di Viggiù. Il protagonista Matteo spiega di avere “quattro cose da dire”, che corrispondono alle quattro macrosezioni in cui si evolve la narrazione. “Un’educazione sentimentale dei nostri tempi”, in cui convergono i riflessi degli ultimi decenni del Novecento, dove tutto è cambiato, secondo Nove.
Vent’anni dopo “Woobinda”, Aldo Nove ha raccontato gli effetti di quei mutamenti, le catastrofiche conseguenze di quel consumismo sfrenato, della spettacolarizzazione di ogni aspetto della vita quotidiana con “Anteprima mondiale” (La nave di Teseo, 2016). Un giudizio critico che non risparmia nessuno, un sorriso amaro. Ma, in contrapposizione all’esperienza narrativa, Nove si è affermato come una delle voci più vivaci e interessanti della poesia contemporanea. Non è l’unico caso di poeta che nasce dal movimento dei “cannibali”, anche Tiziano Scarpa ha seguito un percorso simile. Alcuni sono scomparsi, altri, come Ammaniti, sono tornati nei ranghi della letteratura canonica.
Scoperto dal grande poeta milanese Milo De Angelis, Nove esercita “una poesia massimalista” che racconta la sua generazione e si cimenta nei grandi temi della vita e della morte. Raccolte come “Fuoco su Babilonia!”, edito da Crocetti nel 2003, le einaudiane “Maria” (2007) e “A schemi di costellazioni” (2010) raccontano una poesia crepuscolare, lo scrittore multiforme che è Nove, come è stato recentemente definito. Capolavoro è sicuramente “Addio mio Novecento”, raccolta divisa in due sezioni, una omonima e l’altra “Un matrimonio”. Essa pare muoversi sulla stessa scia di “A schemi di costellazioni” e segna la fine degli inganni, delle illusioni con la consapevolezza del valore della memoria e del tempo che scorre, che è passato e non può tornare, pur espressa nelle forme di una “continuità rassicurante”.
Quest’anno Aldo Nove è tornato a stupire con la raccolta “Poemetti della sera”, che raccoglie testi composti a partire dal 2015, dove la forma prevalente è proprio quella del poemetto, una forma più ampia con maggiori margini di libertà. Non manca anche qui lo spirito creativo di Aldo Nove, che produce in questo caso con versi rapidi e frenetici “una sorta di preghiera laica a metà fra il salmo e il rap”.
Io sono un bambino
che gioca a nascondino
con Dio, cioè con se stesso.
Sono l’adesso.Sono l’ombra di un cipresso,
le nuvole che ne tracciano le forme.
Sono le vostre orme.
Sono ovunque camminiate.
Sono le stagioni passate
e le future.Sono le vostre avventure.
Le vostre paure.Io sono un bambino
che gioca a nascondino
con Dio, cioè con se stesso.
Sono l’adesso.(da I poemetti della sera, Einaudi, Torino 2020)
L’elemento più interessante della produzione di Aldo Nove è proprio la commistione di elementi eterogenei derivanti dalla fusione del Nove poeta e del narratore, che si uniscono in un processo di creolizzazione, che presuppone imprevedibilità. Il confine tra i due universi concettuali non è diviso, anzi attinge commistioni, elementi al fine di generare prodotti ibridi, geniali, unici. Proprio per questo i testi di Aldo Nove conservano la loro unicità, un desiderio di implodere in se stessi, di raccontarsi senza uscire allo scoperto. Uno scrittore apocalittico tanto quanto profetico.