Giovane graffiante debutto per il gruppo post-punk irlandese.
Roberto Carlos Lange ti avvolge in un caldo loop di suoni.
Adrianne Lenker è sempre più una cantautrice totale.
Qualcosa che si fissa nella testa e non se ne va più: collaborazione trascendentale.
Un lungo suggestivo viaggio indietro nel tempo: Diamond Jubilee per vagabondare.
Waxahatchee: un modo complicato di dire garanzia.
Passano gli anni e Kim Gordon continua a sperimentare e divertirsi.
Beyoncé ascende al country per innestare elementi di sovversione.
C’è tanta classe in questo disco di Hannah Frances: Keeper of the Sheperd sa di ripida poesia.
Gli Hovvdy dal Texas danno vita a una lunga divagazione per serate nebbiose.
Ci avventuriamo oltremanica per un disco che risveglia il cuore spento con gorgheggi e chitarre.
Non il migliore dei dischi di St. Vincent, ma un disco di St. Vincent.
Additivo e sognante album di debutto, come piace agli avventurieri.
Desert rock blues dal Niger: con questo suono ci perdiamo lontano, dove gli stranieri si riconciliano.
Ahmed Abdul-Malik pioniere del jazz di frontiera.
Sperimentale, lo-fi, intimista: claire rousay ci risveglia dal sonno.
In memoria di Steve Albini, epitaffio da un mondo perduto: chitarre infettate, suoni di ruggine, fiammate di abrasivo noise.
Una regina della notte che canta via l’ovatta.
Un disco intimista, che a turno s’adombra in rauche strettoie sinfoniche, e poi s’illumina di gioiose cavalcate folk.
Ogni cosa che nasce da Bill Callahan è illuminata. Prezioso album live.
Il cantautore americano Sturgill Simpson prende il nome di Johnny Blue Skies e dà prova di classe.
Smarriti per le vie di Dublino con un Romance in testa.
Il dio di Nick Cave non poteva che suonare selvaggio. Tracce di Bad Seeds dappertutto.
Fresco suono da chiusura d’estate. Il talento di Nilüfer Yanya.
Fuochi d’artificio a bassa dimensione nel cantautorato sopraffino di MJ Lenderman.
Nala Sinephro è belga, vive a Londra, fonde mondi ambient, jazz, suona avanguardista, abbatte frontiere.
Sempre dolce ritrovare gli Eels nell’autunno che sa di seta e arancio.
Per un’adorazione di Hania Rani premere play.
Cascata elettronica in formato diluviano.
Non fissare troppo a lungo la copertina di questo disco.
Ascolto
Scorre lento, sottopelle, di chiaroscuri.
Il ritorno del David Bowie del rap.
Il suono rock dei Moin è emerso da un sotterraneo dove si sono incontrati il duo elettronico Raime e la batterista Valentina Magaletti.
Elettronica che viene dall’Uruguay e ascende tra i club spaziali.
I Godspeed You! Black Emperor sono i soliti fuoriclasse. Il titolo tiene traccia del numero dei morti a Gaza fino al 13 febbraio.
Il mondo perduto dei Cure è popolato di sonorità, notturni, sussurri. Un gran ritorno.
Semplicemente estatico.
Non si spreca mai tempo con Jaar.
Joshua Tillman si dilunga e fa il bisbetico indomato cantautore.
Senza preavviso, così de botto e senza senso, il ritorno del Re che ha riscritto le regole del rap.
Una cattedrale di suoni: Phil Elverum alla massima potenza.
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