Albert Hammond Jr. – Momentary Masters

Quando Spotify ancora non esisteva, Myspace era il social network più utilizzato tra musicisti e musicofili e gli aggiornamenti e le notizie sul destino delle band filtravano soprattutto attraverso questa rete che allora sembrava estremamente all’avanguardia. In Italia il progetto così come era stato inizialmente concepito è durato poco più di tre anni, ma tante sono state le formazioni che hanno potuto mettersi in vetrina ottenendo visibilità e spesso consensi da parte del pubblico. Anche l’ex chitarrista degli Strokes, Albert Hammond Jr., che il 31 luglio scorso è tornato con il suo terzo album Momentary Masters, era tra i più assidui frequentatori di questo canale in cui erano raccolti gran parte dei suoi brani e dove molti scoprirono il b-side degli Strokes.

Dopo Yours To Keep, ¿Cómo te llama? e l’ep AHJ, per Hammond è arrivato il momento di cominciare davvero la propria carriera solista, buttandosi alla spalle annate burrascose e troppi confronti con la band che l’ha visto crescere. Certe sonorità rimangono inalterate, forse maggiormente influenzate dalla cultura musicale degli anni ‘80, ma in realtà sono poche le differenze sul fronte acustico. Le chitarre rimangono il punto di forza di Hammond che sperimenta il proprio lato schizofrenico in Caught By My Side o in Razors Edge per poi virare verso riff più composti, ma ugualmente virtuosi come in Drunched In Crumbs.

Pronto a salpare verso un nuovo capitolo della sua vita, Hammond si mette a nudo come dimostrano molti dei testi contenuti in questo disco. Leggendo i suoi appunti di viaggio e ascoltando la sua voce che racconta angherie, avventure ed emozioni ci accorgiamo che si tratta in realtà di un album concentrato non tanto sul passato, ma sul presente e in alcuni punti sul futuro. Nonostante ci siano episodi come Losing Touch o Side Boob ancorati al vecchio stile degli Strokes, ci sono frammenti più originali come Born Slippy con le sue screpolature pop e sintetiche, la cupezza di Power Hungry o Don’t Think Twice, un’apprezzabilissima cover di Bob Dylan.

In queste dieci tracce Hammond cerca per la prima volta di costruirsi un’identità e di distinguersi dagli Strokes, sebbene rimangano ancora molti arrangiamenti chiaramente riconoscibili. Non si tratta dell’album della maturità, ma la direzione è quella giusta per poter uscire dagli schemi di una band e considerarsi magari un giorno un cantautore.

 

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