Non si muore per la politica, almeno non più, ma si può morire di politica. Deve averla pensata così l’ottantasettenne Giorgio Napolitano, una vita passata in quell’ambiente, davanti all’opportunità di fermare il trasloco dal Quirinale. Gli anziani, si sa, preferiscono la routine ai cambiamenti e i cantieri avranno un osservatore in meno. Eleggere un presidente della Repubblica non è mai stata cosa semplice, ci vollero 21 scrutini per eleggere Saragat, addirittura 23 per Leone, a Napolitano ne sono bastati sei, per essere rieletto una seconda volta.
La rielezione di Napolitano non deve sconcertare gli italiani, si tratta soltanto della conferma di quello a cui non si voleva credere, del fatto che la politica italiana, arroccata nei suoi palazzi, può agire disinteressandosi dei suoi cittadini. Perché la vittoria di Napolitano, in primo luogo, va a colpire le speranze di chi credeva che ci sarebbe stata una nuova stagione. Si è preferito continuare sulla stessa direzione, giocando una partita tra soliti noti e a carte scoperte. Siamo davvero così sicuri che tutto questo non faccia parte di un piano già architettato da tempo? Da delle condizioni che si sono formate soltanto per dei franchi tiratori? E, soprattutto, è solo un caso che quei 101 democratici che mancano all’appello abbiano agito ognuno con un proprio pensiero? Quando Grillo parla di golpe, in realtà, confonde la retorica con la realtà, trattandosi soltanto della perfetta riuscita di un piano machiavellico e nemmeno troppo difficile da attuare, almeno in Italia:
Non fu mai savio partito fare disperare gli uomini, perché chi non spera il bene non teme il male.
(N. Machiavelli, Istorie fiorentine)
Berlusconi ha vinto, spezzando le già fragili ossa del Partito Democratico. Grillo ha vinto comunque, perché si è dimostrato una valida alternativa e che convincerà sempre più sostenitori ad abbandonare i democratici. I capetti delle correnti del Pd hanno vinto. Bersani è stato immolato come una vergine all’altare del potere, la sua testa è caduta, per la poca fermezza e dei giochetti interni che non ha saputo gestire. Ad aver perso, invece, sono sempre gli stessi.
La realtà è che un Presidente della Repubblica non dovrebbe far vincere nessuno, perché dovrebbe rispecchiare l’intero paese e riuscire a raccogliere su di sé la fiducia dei cittadini. Napolitano, forse, rispecchia benissimo l’Italia vecchia e di potere, quella della prima e della seconda Repubblica, che invece di costruire ha sparso solo macerie, indifferenza e voglia di andarsene. Ma, di questo, se n’è già abbondantemente parlato.
L’Italia è un paese strano, le elezioni ci sono state a Febbraio e non sappiamo nemmeno chi ci sta governando o cosa stiano facendo, impegnati come siamo a discutere della lotta tra renziani e bersaniani che ha, finalmente, raggiunto un risultato. In Italia, i delegati dei cittadini, scrivono sulle schede “Rocco Siffredi”, “Valeria Marini” o “Mussolini”, fra le tante, dimostrando quantopoco rispetto ci sia per quel ruolo e quella sede. Si indossano magliette da stadio, si mangia e si scattano foto come in crociera. Che forse il vero problema non è l’elezione del Presidente della Repubblica ma la razza di politicanti che, in gran parte, lo elegge:
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
(Dante, Purgatorio VI)