Quando entriamo nella splendida cornice del castello Estense il cantante chitarrista dei V.O., incaricato di aprire la rassegna dell’edizione 2017 di Ferrara sotto le Stelle, ha quasi finito il suo set. Boris Gronemberger, che per seguire il tour europeo di Agnes Obel ha abbandonato momentaneamente l’originaria formazione belga, lascia il palco intorno alle 21.30 dopo aver scaldato il pubblico con il suo folk-pop semiacustico di cui fortunatamente riusciamo a sentire qualche ultimo pezzo.
Pochi minuti dopo le 22.00, quando l’aria di un caldissimo venti giugno inizia finalmente a rinfrescarsi, le luci si abbassano e, in fila, fanno la loro comparsa le tre polistrumentiste che accompagneranno il live di Agnes. Si posizionano e, con l’aiuto di violoncelli, batteria e tastiera, introducono la protagonista della serata che fa il suo ingresso subito dopo. Attraversa con grazia la distesa di strumenti che affollano il palco e, appena raggiunge il centro, inizia a intonare le prime note di Citizen of Glass, estratto dall’omonimo album uscito a fine 2016 per l’etichetta Play It Again Sam.
Le quattro ragazze, tutte vestite di bianco, con i loro capelli intrecciati, non possono fare a meno di ricordare le muse della mitologia greca, elegantissime e composte dietro ai loro rispettivi strumenti. Quando il pezzo di apertura volge al termine è la volta di Dorian (dall’album Aventine del 2013) ed è qui, sul finale, che la Obel dice le sue prime parole. Si presenta al pubblico con un timido “My name is Agnes” pronunciato con quella g dura che esige la grammatica nordica e che a noi suona sempre un po’ strana.
Come lei stessa anticipa, è di nuovo il momento di qualche pezzo recente e quelli che seguono sono infatti tutti estratti dal suo ultimo lavoro (It’s Happening Again, Golden Green, Familiar). Adesso, la luce arancione dello sfondo si spegne e lascia il posto a un’inquadratura del palco dall’alto, trovata intelligente per seguire meglio strumenti meno visibili come omnichord e dulcimer.
Agnes è a suo agio dietro la tastiera, sorride e tra un brano e l’altro si ferma spesso per ringraziare e sottolineare quanto sia felice di poter suonare in una location così suggestiva. Da qui in poi introdurrà quasi ogni pezzo con una breve descrizione, pretesto grazie al quale si prende ancora qualche momento per scherzare con il pubblico. “This song is about not giving a shit” dice ridendo prima di correggersi e specificare che in realtà è “about not doing what you’re told”.
Dopo Trojan Horses, passa per la prima volta al piano dove suona un breve brano strumentale prima di presentare la band e passare alla delicatissima Philharmonics. Dietro di lei lo sfondo sembra ora un iperspazio nel quale la sua immagine, e quella delle altre tre musiciste, si spezza e moltiplica in un ipnotizzante effetto prodotto da due prismi che ruotano senza sosta ai lati del palco. Qui esegue altri due brani (Fuel to Fire e Run Cried The Crawling) e con Red Virgin Soil ritorna al suo posto da dove suonerà altri quattro pezzi prima dell’encore. È Stretch Your Eyes, che la Obel dedica ai nostri “very bad european politicians”, a chiudere questa prima parte della set list.
Senza accorgersene più di un’ora di live è scivolata via velocemente e Agnes esce di scena per qualche minuto prima di ritornare e regalarci gli ultimi due brani, Riverside e On Powdered Ground. È giunto il termine, le quattro musiciste si alzano e si riuniscono prendendosi per mano davanti al palco da dove salutano con un inchino. Il pubblico che le ha seguite nel silenzio e nell’attenzione più totale per un’ora e mezza sembra non volerle lasciare e rimane immobile, speranzoso finché le luci accese non confermano la fine.
Con il live di Agnes Obel in apertura, Ferrara sotto le Stelle si conferma uno dei festival più qualitativamente vari (e alti) in Italia, capace di trovare spazio a un’artista che si rivela di una professionalità e bravura straordinarie e che ha regalato ai presenti una performance magnetica e, nella sua purezza e semplicità, indimenticabile.
Galleria fotografica di Alise Blandini