«So perché ci sforziamo di impedire ai morti di morire: ci sforziamo di impedirglielo per tenerli con noi. So anche che, se dobbiamo continuare a vivere, viene il momento in cui dobbiamo abbandonarli, lasciarli andare, tenerceli così come sono, morti.» Joan Didion — L’anno del pensiero magico
La vita, istruzioni per l’uso. Non stiamo parlando del romanzo di Georges Perec pubblicato nel 1978 ma della serie televisiva britannica After Life, creata, diretta e prodotta dal comico Ricky Gervais, distribuita da Netflix proprio a marzo di quest’anno. Perché Tony, il protagonista della storia, si ritrova a guardare i video registrati dalla moglie prima che morisse di cancro: lei gli spiega come imparare a vivere di nuovo, gli ricorda il codice dell’allarme, e di divertirsi, dar da mangiare al loro cane (che sì – sarà costretto a mangiare anche una scatola di fagioli in mancanza di altro). Sono tutte azioni semplici, spontanee come respirare, ma quando perdi qualcuno (l’amore della vita, quello che tutti cercano) tutto si blocca e diventa terribilmente difficile anche solo rimanere in piedi. In questi sei episodi che durano meno di un primo tempo di una partita di calcio veniamo catapultati nelle diverse fasi del lutto. Per lo più vediamo quanto Tony sia stronzo nei confronti di tutti e di quanto nessuno lo sia con lui (psichiatra a parte). Lui pensa di avere un superpotere: quello di sfanculare la gente senza pensare alle conseguenze perché ormai non ha più niente da perdere, e poi quando le cose si metteranno davvero male potrà sempre ripiegare nel suicidio.
Il tema del suicidio è ricorrente. Tony ci prova molte volte, nella vasca da bagno, in oceano, con l’eroina, ma non ci riesce. E come gli confessa una donna durante un primo appuntamento al buio, è lui che non vuole morire o l’avrebbe già fatto. Basta poco. L’ex marito di lei si è ucciso, Julian (dipendente da eroina) è morto di overdose. Basta poco, ma forse solo se non hai nessuno — e Tony non è solo, non lo è mai stato. Il cane sembra quasi il pretesto per rimanere ancora in vita. È lì che abbaia quando cerca di affogarsi nell’oceano o quando lo guarda perché vuole da mangiare.
Oltre al cane una collezione di personaggi circonda Tony: l’infermiera del padre Emma, la professionista del sesso Dafne, il nipote George, la donna del cimitero Anne, il cognato Matt e tutta la combriccola del giornale locale per cui lavora. Il padre di Tony è il personaggio più divertente che ci sia. Un padre pervertito che si vorrebbe fare ogni infermiera e ogni anziana del ricovero e non ha paura a dirlo. Interpretato da David Bradley, conosciuto soprattutto nel ruolo di Gazza in Harry Potter, soffre di Alzheimer e ogni volta si dimentica che Lisa è morta. Inevitabile che al figlio faccia male dover ricordare anche a sé stesso che lei non c’è più. Inevitabile che risponda male anche a lui, tanto che Emma (l’’infermiera che se ne prende cura) gli rinfaccia di essere un po’ come i troll su Twitter, rimproverandogli che solo perché lui è triste non lo devono essere per forza anche gli altri. La figura dello psichiatra è quella più inutile ma anche quella che ti fa venire voglia di andare fin dentro il suo studio e prenderlo a schiaffi. Qualcosa di buono gli riesce comunque, perché con i suoi atteggiamenti inutili ha fatto capire a Tony che nella vita bisogna spezzare i legami con quei rami secchi che ti fanno sentire uno schifo.
«Nel profondo credi che valga la pena vivere. Ciò che hai perso è quello che può farti smettere di soffrire.» È quello che gli dice Anne quando lui non vuole andare ad un appuntamento perché “preferisce essere da nessuna parte con Lisa che da qualche parte senza di lei”. Anne è quella signora anziana e saggia che tutti vorrebbero avere nella propria vita perché dispensa consigli dati col cuore in mano. L’amica che non può mai mancare quando la vita ti prende a pugni in faccia. Quella persona che è sempre pronta ad offrirti una spalla su cui piangere perché sa quanto vali e non smette di ricordartelo.
«Non ti sei mai arreso con me. Deve essere stato come provare a liberare un ratto ferito e arrabbiato da una trappola. Lo fai per il suo bene ma lui non lo sa perché non si fida più di nessuno e inizia ad attaccare. Non puoi cambiare il mondo, ma puoi cambiare te stesso. Voglio provarci stavolta. Resterò nei paraggi.»
Dopo aver raggiunto questa consapevolezza riuscite a immaginare le buone azioni che ha compiuto dopo? Da momenti tristi dove vorresti solo piangere fino a finire una confezione intera di fazzoletti a quelli comici trascorsi soprattutto con il collega Lenny – che mangerà del budino naturale fatto con latte materno – la serie riesce a farvi rimanere incollati allo schermo, senza cadere nei soliti clichè, e a farvi affezionare a ogni singolo personaggio (psichiatra a parte, ovvio). After Life ricorda che la vita è fatta di momenti tanto belli quanto brutti ma che se non sei solo puoi trasformare il posto triste in cui pensi di vivere in un luogo un po’ più bello.