Artista poliedrica, Margherita Vicario. Attrice di teatro, nonché di cinema, ma anche cantautrice. Dopo l’arrivo in INRI e a cinque anni di distanza dal suo primo album, Minimal Musical, è tornata finalmente a lavorare su un nuovo progetto, preceduto dall’uscita del singolo Abaué (Morte di un trap boy). L’abbiamo raggiunta telefonicamente per farle qualche domanda su questo suo ultimo pezzo, orecchiabile quanto coraggioso, e su cosa ci riserva il suo futuro in campo musicale.
Partiamo subito dal tuo ultimo singolo: Abaué (Morte di un trap boy). Coraggioso cantare la morte della trap in un periodo in cui, complice anche l’arrivo di Achille Lauro a Sanremo, la trap sta svegliando le curiosità di molti. Cosa ti ha spinto a scrivere questo pezzo?
Io ascolto tantissimo la musica che mi circonda, anche perché so che ha comunque un’influenza sulla società, così come è accaduto in tutte le epoche. Anche se magari non è riconosciuta dalla vecchia scuola e quindi molti adulti non sono a conoscenza della sua esistenza, la trap è stata presentissima negli ultimi anni. Io mi sono fatta una mia idea e ho scritto una canzone: è una storia che riguarda un ragazzino, ma poi come allegoria riguarda la trap tutta. Non è però una canzone contro la trap, assolutamente.
Pensi che ci sia quindi una criticità legata ai testi e alla figure di riferimento musicali dei ragazzi? Mi viene da pensare anche alla campagna #oracantoio di Parte del Discorso che ha puntato i riflettori sulle discriminazioni di genere non soltanto all’interno delle dinamiche dello spettacolo ma anche all’interno dei testi di cantanti in voga, perlopiù rapper.
Un po’ c’è, ma quella parte riguarda anche una parte ridotta di artisti che magari hanno un successo di pubblico, ma che secondo me non rimarranno. E’ un tipo di musica che secondo me non rimarrà.
Poi sicuramente ci sono delle canzoni aberranti, che quando uno le ascolta pensa: veramente sta dicendo queste cose? Però quello che voglio dire è che ci sono tantissimi altri artisti – ho avuto modo di approfondire un po’ i miei ascolti, e quindi ho anche sentito rapper che parlano d’amore, di storie d’amore; che parlano delle proprie donne e delle proprie esperienze d’amore profonde che vengono tradotte in poesia. Il fatto che ci siano tantissimi uomini rimane comunque un problema, perché spesso l’altro punto di vista, quello delle donne riguardo all’oggetto del desiderio maschile, alle storie d’amore, resta sempre un pochino sommerso. Ci sono molte meno voci femminili che parlano di questo mondo. Comunque sì, ci sono tanti artisti, con tanti ascoltatori adolescenti, che spesso hanno dei contenuti scadenti, ma secondo me non rimarranno alla storia.
Il singolo, soprattutto ascoltato guardando l’ottimo video che avete realizzato, riesce a essere molto potente. Sempre in bilico tra tragedia e la voglia di riscatto e speranza, ben rappresentata da alcuni ritmi africaneggianti. Il tuo resta un messaggio positivo.
Assolutamente. Soprattutto è un messaggio che dice che bisogna guardare altrove, anche farsi arricchire la fantasia da culture diverse dalla nostra. Quindi sì, semplicemente è una canzone estremamente ottimista che dice: forse anche per colpa della musica e di alcune tendenze musicali, e per il fatto di mitizzare la tristezza o il buttarsi via, il drogarsi, cose così, possono succedere delle cose tragiche.
In questo caso, la canzone parla di un ragazzino che va in depressione perché si droga, e poi finisce male. Però la canzone in realtà è anche positiva perché, come Abaué che è una parola senza senso ma di fondo ottimista, si ritrova un po’ di distrazione, di felicità, di danza.
Il video è davvero molto bello: com’è stato lavorarci? E cosa si prova, da attrice e cantante al tempo stesso quale sei, a interpretare i propri testi davanti la macchina da presa?
Bellissimo, per me è la cosa più emozionante, quella a cui voglio tendere. In questo caso il regista, Francesco Coppola, ha proprio preso in mano la situazione, ha pensato un video che mettesse al centro sia la mia immagine ma anche il contenuto veicolato dalle immagini. Ha fatto venire a galla le parole della canzone, dando loro una forma.
Io passerei tutta la vita a fare videoclip, però servono un sacco di soldi.
Tu hai avuto esperienza anche dietro la macchina da presa, quindi alla regia?
Nella mia vita sì, ho fatto delle regie di qualcosa, di un mio cortometraggio, oppure del mio primo video, Per un bacio. Però mi sono resa conto che posso dare di più stando davanti la macchina; la mia parte creativa va bene quando scrivo e quando interpreto, poi la regia è un altro sport ancora, quindi credo che sia molto meglio lasciarlo ad altre persone da cui farsi arricchire.
Avendo un percorso artistico molto ampio e su più strade (musica, teatro, tv), come riesci a giostrarti tra i vari progetti? Hai mai il rimpianto del non poterti focalizzare solo verso una direzione o convivi tranquillamente col gestire tutto di volta in volta?
Sinceramente mi sento un po’ inquieta a dovermi dividere tra le varie cose, però è anche vero che fa parte del mio percorso e della mia formazione. Io ho studiato all’accademia di teatro e ho iniziato facendo l’attrice, poi lì mi sono resa conto che avevo anche delle cose da raccontare su forma musicale e che quindi volevo dedicarmi anche a quello. Però ho sempre “campato” e pagato le bollette con il mio lavoro da attrice. E’ una cosa che mi piace molto ma ogni tanto ho un po’ sofferto il fatto di dover rinunciare a qualcosa o perdere un po’ il filo del discorso su me stessa. Anche se adesso voglio concentrarmi e scrivere il più possibile.
Minimal Musical – tuo primo album, uscito ormai nel 2014 – raccoglieva una serie di bravi che spaziavano nelle sonorità, ma sempre molto immaginifici. E’ facile infatti visualizzare nella propria mente tutte le scene che canti di canzone in canzone.
Stai lavorando a un secondo album: cosa dobbiamo aspettarci da questo secondo progetto?
Sicuramente una libertà totale. Nonostante io sia sempre molto attenta a quello che piace e a quello che la gente è abituata ad ascoltare, non riesco comunque a imitare nessuno, quindi bisogna aspettarsi una libertà individuale. Poi anche delle canzoni con un sound più contemporaneo, meno acustiche, ma più prodotte. Infine, uno sguardo, così com’è stato già Abaué, che sia un po’ più spostato dal mondo interiore, personale, femminile, e così sentimentale; uno sguardo sì, sempre femminile e personale, ma più rivolto al mondo esterno.
Ci saranno anche dei testi in inglese? So che hai già un repertorio in lingua pronto da tempo.
No, devo fare un disco in italiano. Per carità: si potesse fare un disco misto, lo farei, però ora devo concentrarmi sull’italiano. Anche perché è un momento storico perfetto per scrivere in italiano.
Per le canzoni già pronte, quelle per me sono dei miei piccoli classici, quindi sono sicura che a un certo punto impiegherò le risorse anche per produrre quelle canzoni. Per adesso voglio assolutamente far sentire la mia voce, che è anche una voce femminile e ce ne sono molto poche.
Sei appena entrata in INRI, la tua nuova etichetta. Com’è stato il tuo arrivo?
Bellissimo. Sono delle persone che si dedicano molto ai propri artisti, e nel mio caso INRI, attraverso la figura di Davide DADE Pavanello, mi sta anche producendo musicalmente. Sta iniziando un bel viaggio.
Sono molto personalmente molto legata ad alcuni tuoi duetti con Bianco. Ci saranno altre collaborazioni in futuro, non solo con lui? E, in generale, quanto sono stati e sono tuttora importanti per te i momenti di condivisione con altri artisti?
In tutto quello che ho scritto fino adesso, dal punto di vista della scrittura e dell’ideazione dei brani, non ho mai sentito la necessità di spartire il lavoro. Per quanto riguardo il suonare e lo stare sul palco e condividere l’esperienza, il fatto di farlo insieme ad altri musicisti o di affezionarsi anche al repertorio degli altri è fondamentale. Io sono arrivata a tanto pubblico anche solo per aver cantato insieme a Bianco la sua bellissima canzone, quindi ora non so se nel disco ci saranno delle partecipazioni. Mi rendo conto che in questo momento va molto di moda unire le forze e fare dei pezzi insieme; sicuramente sono curiosa e volenterosa di farlo, però ancora non ho ben individuato il partner. Già lavorare con Davide DADE per me è una grande collaborazione: mi sto proprio affidando a lui, sta producendo i pezzi. Io gli mando delle idee e lui li arrangia. Però per quanto riguarda altri artisti con cui cantare, ancora non so.
Qual è il tuo rapporto con i live e con il pubblico? Quella dei live e dei festival è una dimensione che ti piace o preferisci altre circostanze per esibirti?
Io non vedo l’ora, mi sogno la notte i concerti! Sono felicissima quando suono davanti al pubblico perché mi sembra, molto più di Spotify, la destinazione di quello che uno fa. Il palco e i concerti sono la destinazione finale.
Ora sto un po’ cambiando l’assetto del live, quindi sarà diverso dal mio primo repertorio: ho in mente dei live molto divertenti. Voglio proprio mettere su dei concerti, dei piccoli set, quasi da ballare. Alternati poi a dei momenti “ninna nanna” che sono poi la mia specialità.
Abaué in effetti si presta molto al ballo.
Sì, si presta molto. Io la immagino anche riarrangiata: può avere il pezzo del ritornello che dura tre minuti invece che quaranta secondi. Immagino un live molto ricco, in cui una canzone può diventare anche un po’ diversa, perché ci si concentra sul voler far divertire. Insomma, non vedo l’ora di esibirmi, però prima bisogna finire il disco.
Chiudo chiedendo quali sono i tuoi prossimi impegni, e come possiamo scoprirli?
Per scoprire gli impegni, conviene sempre seguire le pagine instagram, sia mia che di INRI, oppure facebook, perché tanto lì metto sempre tutti al corrente. Poi sono entrata anche in DNA e sono sicura che organizzerà delle belle cose.