Avevo già finito l’Università quando ho capito che una legge può essere iniqua, ma ero una studentessa di Giurisprudenza quando immaginavo grigi gli spazi non regolamentati, quelli dove il legislatore non si impelagava per il gran numero di interessi in gioco. La storia della società europea è la scalata verso il coraggio e la sapienza di affondare le mani in quegli spazi, senza tralasciare le sfumature. Tenendo presente questo, cosa succede se un artista usa le parole, da sole o in musica, per mettere in luce uno spazio grigio e fare in modo che tutti vedano quanto è profondo? Un esempio su tutti: in Italia nel 1975 Oriana Fallaci suscita clamore con Lettera a un bambino mai nato, entrando a gamba tesa nel dibattito sull’aborto. Non esiste ancora una legge che legalizzi l’interruzione volontaria di gravidanza e la Fallaci affronta l’argomento in maniera dirompente. Lo raccontavamo qui.
Un anno dopo, nel 1976, Francesco Guccini attizza il fuoco della polemica sociale: l’album Via Paolo Fabbri 43 contiene Piccola storia ignobile, una canzone sull’aborto clandestino. È la storia di una ragazza che, ignara del proprio corpo e della propria sessualità, si ritrova incinta e distesa su un tavolaccio a rischiare la vita per troncare una gravidanza già bollata come una vergogna. Una sola canzone fissa l’esperienza di centinaia di donne che sfioravano la morte perché la legislazione italiana non consentiva loro di interrompere una gravidanza e di disporre del proprio corpo, che diventava all’occorrenza strumento di piacere altrui e recettore di imbarazzo generale. Un fatto per niente moderno, lontano dalla medicina e dalla sanità quale servizio essenziale, che acclara l’identità di una società impaurita e tremante, zotica. Il cantautore emiliano ha spiegato di aver nutrito molti dubbi sull’opportunità di intervenire su un tema così delicato: “Avevo timore di dire cose non giuste, e non ho inventato allora un tema ed una storia, ma ho messo assieme tante storie che mi hanno raccontato cercando di ricavarne una storia tipica, esemplare”.
Urgeva che il legislatore si assumesse la responsabilità di offrire alle donne percorsi alternativi alle mammane, alle infezioni, alle morte per dissanguamento, alla solitudine. La legge sull’aborto entra in vigore nell’ordinamento italiano nel 1978, dopo un dibattito sociale e politico senza precedenti e del quale non dovremmo smettere di leggere, vedere, ascoltare storie.
In Francia nel 2000 Annie Ernaux, una delle voci più apprezzate della letteratura moderna, alla quale manca solo il Nobel tra i primi di prestigio ricevuti, pubblica L’événement, in italiano L’evento, tradotto da Lorenzo Flabbi nel 2019 per L’orma editore (ne ha scritto qui Simona Ciniglio). Il libro è autobiografico: a Rouen, in Francia, tra il 1963 ed il 1964, una studentessa universitaria di ventitré anni aspetta solo che le venga il ciclo, ed invece, scopre di essere incinta. Il referto medico la getta nello sconforto, in preda a dubbi e paure.“Ho scritto a P. che ero incinta e non volevo tenerlo. Ci eravamo salutati incerti sul seguito del nostro rapporto e provavo una certa soddisfazione nel turbare la sua indifferenza, anche se non mi facevo nessuna illusione sul profondo sollievo che gli avrebbe arrecato la mia scelta di abortire. Una settimana dopo, Kennedy è stato assassinato a Dallas. Non era già più qualcosa che mi poteva interessare”. La protagonista finisce in un pozzo dal quale solo la fine alla sua condizione di gestante la solleverà. Il percorso per arrivarci è un resoconto crudo e scioccante che Annie Ernaux ha taciuto a lungo, sepolto in fondo alla memoria e che ad un certo punto ha avvertito il bisogno di rievocare, a mo’ di testimonianza sociale. La scrittrice si fa voce tra le voci e trasforma un’esperienza intima in un manifesto politico. Come ci riesce è il segreto della sua grandezza, quella magia per cui un io diventa automaticamente un noi. L’autofiction è un sentiero minato ma anche una forma di narrazione per la quale da lettrice nutro rispetto. Non è vero che solo la finzione è sinonimo di perizia autoriale, è una questione di lingua giusta ed Annie Ernaux ha trovato la sua ogni volta.
“Da anni giro attorno a questo avvenimento della mia vita. Leggere in un romanzo la narrazione di un aborto mi fa trasalire, mi getta in uno sbigottimento senza immagini né pensieri, come se istantaneamente le parole si facessero sensazione violenta. Allo stesso modo, ascoltare per caso La javanaise, J’ai la mémoire qui flanche, qualunque altra canzone mi abbia accompagnata in quel periodo, mi lascia sconvolta” scrive Ernaux.
Quello che vive la Ernaux poco più che ventenne è così doloroso, così potente ed intenso che segna uno spartiacque nella sua esistenza. Prima e dopo l’aborto: ogni ricordo viene classificato a partire “dall’evento”. Con uno sguardo lucido e benevolo verso quella ragazza smarrita ma coraggiosa, che ha rischiato di morire dissanguata tagliandosi da sola il cordone ombelicale nel bagno dello studentato, l’autrice non tace particolari. La ricerca di una mammana, lo sdegno altrui, gli arnesi con cui una donna a Parigi le ha tormentato le viscere per provocarle un aborto, il feto rigettato dal suo corpo al terzo mese, il cordone ombelicale che pendeva dalla sua vagina e che ha reciso, zitta, chiusa in bagno, finendo ad un passo dalla morte. L’evento è un libro che con la canzone di Guccini ha in comune l’essere il riflesso di un dolore collettivo, l’eco di una voce, ancora strozzata dai tabù. Ed è un libro che a distanza di anni dialoga perfettamente con Lettera a un bambino mai nato: i due testi sono capisaldi di un percorso di riappropriazione della memoria. Ci ricordano com’era brancolare nell’oscurità, senza garanzie normative, quando dire aborto era un oltraggio e non un diritto.