La sala è piena di quelle stesse persone che probabilmente sarebbero accorse incuriosite anche solamente per uno dei tre artisti in programma: Lys Morke, Kalandra e A.A. Williams. Tre progetti interessanti, riconoscibili, colmi di talento, uniti in un trittico oscuro e vincente. Con un “tre-per-uno” degno del miglior Black Friday nella fantomatica Black City, ci si ritrova una lineup che ha collocato il Magazzino sul Po al centro di molte agende torinesi.
La strada viene spianata dalla bellissima apertura di Lys Morke, progetto personale di Irene Talló, produttrice e artista visiva di Barcellona praticamente impossibile da catalogare nella gabbia dei generi musicali. Le mura in pietra del Magazzino sembrano stringersi intorno alla platea, a mano a mano che ogni posto in piedi e sulla balconata laterale viene occupata per i Kalandra, quartetto norvegese che, stando in perfetto equilibrio su un filo teso tra ambient-folk e metal, riesce a creare uno scenario illusorio, ma da brividi.
La voce di Katrine Stenbekk è portentosa. Viene da pensare che sia una benedizione poter lavorare con lei in studio, dato che sicuramente registrerà tutto al primo take. Perché non ne sbaglia una, mai. La sua performance è perfetta, ma non in quel modo fastidioso che crea distacco con la sensazione di assistere a qualcosa dal vivo. Al contrario: la sua espressività vocale cattura, la sua estrema pulizia nell’esecuzione ha il potere assertivo del “qui e ora”. I compagni di band non devono far altro – non che questo vada sminuito – che costruire intorno alla sua voce quel mistico caleidoscopio sonoro che unisce il gusto per il pop alternativo e le atmosfere tipiche del metal nordico.
Si tratta di uno show da co-headliner, ma quando sul palco sale infine A.A. Williams aleggia una sensazione da resa dei conti, da gran finale. C’è una solennità di un poema di Robert Browning, di una profezia ineluttabile già nelle sue premesse, che esaspera i toni già gravi vissuti nell’ascolto in cuffia. Non è una di molte parole, la nostra A., piuttosto lascia che sia la sua poetica drammatica a stabilire una connessione inscindibile con la platea del club di Torino. Non è un caso che gli Sleep Token – al momento tra i più papabili candidati per il vertice della catena alimentare alt-metal – l’abbiano voluta in tour, scegliendola quale preambolo del loro irresistibile nuovo culto.
Ancora una volta è la mistura di metal e folk a dare contesto alla serata, qui agghindata con chitarre doom e tastiere minimali, atte a creare un affascinante sound funesto, gotico, da rituale pagano e metafisico. Il talento di A.A. Williams nel mettere i suoi studi classici al servizio del post-rock è secondo a nessuno: si potrebbe dire che la differenza tra lei e alcune colleghe ben più illustri stia solo nel tempo, forse anche nel tempismo, ma la prova dal vivo conferma che qualche anno d’esperienza e qualche chilometro in più, con palchi più grandi e setlist più longeve, potrebbero porre la giovane cantautrice londinese ai vertici della sua preziosa nicchia di mercato.
Le luci si accendono un po’ troppo presto, lasciando quell’insoddisfazione paradossale di chi si è appena goduto un momento di piena catarsi e non ne ha abbastanza. Ma in fondo è anche giusto così, che A.A. Williams lasci il palco con lo stesso mistero con cui l’ha calcato.