Questa sera penso a Jacopo Incani. Alle sue quasi due ore di set e un ruolo forse inconsapevole, forse no, di celebrare un ritorno. Penso a Luigi Tenco, a quelle parole così dolci, così drammatiche che suonano nel parco, a come la nostalgia possa raccontare bene questi ultimi due anni. Penso anche alle persone dei concerti che ho finalmente rivisto senza conoscerne nessuna, ai colori dei loro teli appoggiati sull’erba, alla coda al bar, a chi arriva in bicicletta o macinando chilometri sulle strade di città vicine e di quelle sconosciute, come se fosse il primo dei primi appuntamenti, quella stessa attesa e quei dubbi su come andrà che scompaiono improvvisamente quando la normalità fa il suo corso. Penso allora alle trasformazioni, a come siano state dappertutto, dalle mura ferraresi ora diventati alberi, dalle sonorità di DIE plasmate in Tanca per aprire gli enormi spazi di Hiver. Penso anche a tutta la forza sui synth, alla difficoltà di ascoltare IRA da seduti quando ogni suo tratto sonoro sembra indicare una strada più fisica e più primitiva che agli applausi preferisce il sudore, alla sorpresa lo stupore.
Questa è la storia del concerto di Iosonouncane al Ferrara sotto le stelle 2021. Ne è una parte determinante che ne prevede tante altre, ma è forse la prima, la più pressante, per raccontare quanto tutto questo ci sia mancato.
Stiamo tornando e ci raccontiamo le prime impressioni. Le parole che ci saltano più fuori riguardano l’impatto fisico del live. La cassa dritta, il costante oscillare fra suoni con punte acide e stati di calma improvvisa. È davvero una sensazione di stanchezza buona, il cervello intontito, i muscoli che si rilassano dopo ore in tensione. Le sonorità di IRA richiedono un ascolto serrato, uno sforzo concreto per non perdere neanche un bit, un accordo, una parola. Ipnotico, diciamo, di quel tipo lisergico che, per quanto possa stancarti, non riesci ad abbandonare. Ed è qui che ci ricordiamo di come l’ascolto sia un esercizio profondo, che richiede tutte le accortezze del caso, per raggiungere quella bellezza inafferrabile che partorisce opere come questa.
C’è poi un aspetto ulteriore. Del modo in cui Iosonouncane pretenda questa fede in chi lo ascolta, di come pone l’ascoltatore in una posizione di costante messa in discussione, lo spinga a scoprire a porsi delle domande. È un senso di inquietudine, un qualcosa di incompiuto che costringe alla risoluzione. A chi pensava di trovare le lande luminose ed estive di DIE, Iosonouncane al Ferrara sotto le stelle ha portato qualcosa su cui riflettere, dalla questione musicale a quella sociale, di noi, tutti insieme, finalmente nello stesso luogo. Ed è così che lo ascoltano tutti, senza parole, rapiti dal ritorno che è tutto nuovo.
Avrà riarrangiato anche i pezzi vecchi? Come suonerà dopo tutto questo? Tutto questo disorientamento riguarda un po’ tutti noi e Iosonouncane decide di aggiungere un proprio capitolo in questa narrazione d’avventura, non accompagnando con dolcezza i suoi ascoltatori, come farebbe un Caronte qualunque, all’interno di un ambiente di suoni ed emozioni riferite al ‘prima’ ma portandolo nella confusione più totale, perché da lì esca, come la chiusura improvvisa e l’impossibile ritorno sul palco. Dice, ora siete voi, nell’argot che si mescola a francese, spagnolo e italiano, siete voi a dover capire. Gon, Man pas encore, Seul, Son, Born pas encore. Una terapia d’urto che a giorni di distanza non siamo ancora in grado di comprendere e che forse non capiremo mai.
L’impatto dell’ira racconta tutto questo, di tante ire differenti, di nuovo da sperimentare e portare a casa. Bentornati live, bentornato FSLS, ci siete mancati.
Tutte le foto sono di Sara Tosi, courtesy of Fsls 2021 ©