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Interrail nel vecchio continente a caccia di racconti

Italia. Francia. Bosnia. Lo spazio di consigli di racconti questo mese vi porta a fare un breve Interrail di primavera tra regioni del vecchio continente. E così abbiamo fatto un biglietto di sola andata che porta verso i racconti di Elsa Morante, Marguerite Yourcenar e Aleksandar Hemon. Buona lettura e buon viaggio.

Elsa Morante – Prima della classe

Elsa Morante in due età

 

Tra il 17 giugno 1939 e il 20 gennaio 1940 Elsa Morante tenne, sul settimanale «Oggi», una rubrica dal titolo «Giardino d’infanzia». Uno spazio in cui fissare in parole aneddoti e ricordi della propria infanzia e prima giovinezza, inclusa la sua immensa e precoce propensione per la letteratura e per la scrittura. Questi articoli sono confluiti, poi, nella raccolta postuma Aneddoti infantili, pubblicata da Einaudi come tutta l’opera di Morante.

Mia madre raccontava, traboccante di legittima baldanza, che all’età di due anni e mezzo, girando intorno alla tavola, avevo composto il mio primo poema in versi sciolti. Ed io covavo un empio rancore contro di lei, che aveva partorito un simile prodigio.

Si tratta, da titolo, di «fantasie infantili»: racconti brevi, brevissimi, fulminei e bellissimi. In apertura c’è Prima della classe, un piccolo manifesto di Elsa Morante nei confronti della vita e del mondo. Elsa bambina aveva coscienza di essere intelligente e lo sapevano bene anche le sue compagne di classe che, all’occorrenza, le riempivano le tasche di regalini, oggettini, coccetti per farsela amica. In realtà non l’amavano per niente, e questo lo sapeva pure lei. La verità è che, in cuor suo, non riusciva ad amarsi neanche Elsa Morante.

Se credevano di adularmi, con quel rispetto e quelle mosse, come se io fossi stata la vicedirettrice, si sbagliavano. E se mi domandavano: – Che farai da grande? – sperando di sentirsi rispondere: «Farò poemi», commettevano un errore ancor piú grossolano. Difatti, ad una simile domanda, io dispettosa rispondevo: – A te che te ne importa?

Mi sembra di sentirla ancora adesso, quella risposta. A te che te ne importa? Dentro, c’è tutta Morante. Tutto il suo mondo, quella tensione eterna che caratterizza la sua letteratura. Quel riserbo che, a un tratto, si fa dispettoso e pungente e che, da scrittrice ormai adulta, le permette di puntare i riflettori sulla bambina prodigio che era stata e su determinate particolarità – il magico giradito a cui seguiva sempre la richiesta di toccare l’unghia, per saggiarne in qualche modo l’anomalia, e l’incubo che le veniva quando aveva la febbre –, veri e propri fatti che l’hanno resa da sempre (e per sempre) diversa dalle sue coetanee. Un racconto diretto e schietto, come tutti i racconti contenuti in questa meravigliosa chicca morantiana.

Federica Guglietta

Marguerite Yourcenar – Anna, Soror…

Marguerite Yourcenar in due età

Non andò oltre i primi versetti. Il libro le scivolò di mano e, riversa sullo schienale della sedia, stupita di essersi mentita per tanto tempo, ascoltò sussultare il suo cuore.

Scritto nel 1925 dopo un soggiorno a Napoli, Anna, Soror… – uno dei tre racconti pubblicati da Einaudi nel 1982 con il titolo Come l’acqua che scorre – sorprende per l’eleganza formale, la maturità della scrittura e la profondità psicologica e storica infusa ai personaggi – che si muovono nel Regno di Napoli tra la città partenopea e le campagne di Agropoli all’epoca della Controriforma – dall’autrice francese allora appena ventiduenne. E ventenni sono anche i protagonisti di questa storia chiaroscurata che unisce e travolge due fratelli, Anna appunto e Miguel, figli di un funzionario spagnolo, cresciuti fra le spesse mura di Castel Sant’Elmo, bambini somiglianti tra loro con i “capelli [che] si frammischiavano sulle pagine” di Cicerone e Seneca, che, crescendo, saranno turbati e travolti da una passione segreta, distante, sfiancante e proibita.

Anna, soror… è un racconto fatto di sfumature, di atmosfere sature di desideri inconfessabili e rimescolamenti del sangue, che prende corpo sul fondale del Sant’Uffizio e di riti quaresimali cupi e suggestivi; cesellatura perfetta di premonizioni e rimandi, di attese procrastinate e incontri sottintesi. È la storia di una passione incestuosa e ineluttabile, di una felicità rubata all’ordine e al dovere, ma anche di un’inevitabile condanna davanti allo sguardo di Dio e della propria coscienza. È altresì il racconto di una donna destinata a vivere per le corti europee stringendo al petto il ricordo perpetuo di “cinque giorni e cinque notti di una felicità violenta [che] riempivano della loro eco e del loro riflesso tutti i recessi dell’eternità”, in grado di conservare lungo l’arco della sua esistenza la passione e l’amore senza rimorsi e rimpianti, come un vessillo capace di donarle, a un tempo, forza e identità, difendendola dal presente e annodandola alla parte più autentica di sé.

Due giorni dopo, all’alba, sentirono il fruscio della seta. Addii e lacrime si rinnovarono, simili a quelli dell’antivigilia, un po’ come talvolta si ripete un sogno. Ma forse né l’uno né l’altro credevano piú alla eternità degli addii.

Fabio Mastroserio

Aleksandar Hemon – Le nobili verità del dolore

Aleksandar Hemon in una particolare età

Gli scrittori si riconoscevano dall’incoerenza che spumeggiava sulle loro superfici annodate in una cravatta macchiata.

La sofferenza è sempre un “alto privilegio”, come scriveva Emily Dickinson. Lo è perché senza non saremmo che pupazzi bidimensionali, esseri abitati unicamente da vacua superfluità e feroce egoismo. Sull’altare degli dèi della poesia, a guardar bene, non manca mai l’ironia. Aleksandar Hemon ne dà prova in un racconto che unisce poesia e ironia, descrivendo l’alto e il tragico – e l’immensamente idiota – che caratterizza lo scrittore alle prese con altri scrittori, tra frustrazione e complessi, devozione e ridicolo.

Di passaggio nella natìa Sarajevo, invitato dall’ambasciatore americano della Bosnia-Erzegovina per il ricevimento in onore di Richard Macalister, Premio Pulitzer e scrittore acclamato, il narratore senza nome non perde occasione per farsi notare, penosamente ubriaco, tragicamente divertente, seriamente intenzionato, tra una gaffe e l’altra, a fare amicizia col Premio Pulitzer, mentre inopportuno si insinua nella conversazione sprizzante fascino che il serafico Macalister intrattiene con una bellissima sconosciuta, rispondendo alle citazioni buddiste di lui con ragguardevoli koan improvvisati del tipo: «C’è una pioggerella e c’è della merda su cui piovere, ma non c’è cielo». La breve amicizia tra il radiante Pulitzer e il maldestro narratore è un incontro tra mondi inconciliabili, visioni opposte del vivere e dell’arte. «Conoscevo Macalister da due ore soltanto ma già sapevo che non si arrabbiava. Come si può scrivere un libro -come si può scrivere anche solo una cazzo di frase- senza arrabbiarsi? Io mi arrabbio in sogno, e mi sveglio furioso». Finirà per fargli provare l’irresistibile cucina bosniaca in un pranzo condito da una sequela di dimenticabili scene di disagio familiare.

Narratore dello sradicamento, Hemon da Sarajevo si rifugiò negli Stati Uniti poco prima dell’esplosione della guerra che si sarebbe portata via per sempre, assieme alla lingua quotidiana e all’identità, il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, altre tappe disperatamente, ironicamente condivise, in quello struggente e vivido viaggio di formazione che è la raccolta Amore e ostacoli.

 

Simona Ciniglio