Ogni editor ha i suoi segreti. Una storia personale e molte che ruotano tra i libri pubblicati e i testi ancora da leggere. L’editor è l’ingranaggio che fa funzionare la macchina, che seleziona e migliora, che sceglie e pubblica. Un ruolo di responsabilità, che regala grandi soddisfazioni. Con un passato da docente universitaria, Alice Di Stefano è il direttore editoriale della casa editrice Fazi, nonché responsabile della narrativa italiana. Nel 2012 ha ideato e fondato la collana “Le Meraviglie” dedicata alla letteratura umoristica.
In quest’intervista che ha gentilmente concesso, Alice Di Stefano getta una luce su uno dei mestieri più enigmatici e appassionanti, raccontando la sua vita da editor, le sue esperienze e i suoi progetti per il futuro.
“Fazi” è una delle realtà dell’editoria indipendente più vivaci. Nel corso degli anni la casa editrice ha investito molto su autori internazionali del calibro di Hilary Mantel, Elizabeth Strout, Stephenie Meyer, ma è sempre andata a caccia di esordienti, che non di rado si rivelano grandi successi. Anna Giurinkovic Dato, Aldo Simeone, Claudio Lagomarsini, Sandro Frizziero sono solo alcuni degli scrittori italiani che hanno esordito negli ultimi tre anni con Fazi. Cosa vi spinge oggi a investire su una letteratura italiana “giovane” e impegnata?
Fin da quando insegnavo all’università ho sempre sognato di veder pubblicati testi per così dire “difficili”, di ricerca, sperimentali che puntassero più alla letteratura che ad assecondare il mercato. Se questi romanzi, in più, avessero fatto breccia sul grande pubblico e avessero avuto anche il piacere delle vendite (che vuol dire più pubblico, più lettori e quindi più attenzione) sarebbe stata una vera festa e un successo doppio per tutti. Appena ho cominciato a lavorare in editoria, accanto a testi più commerciali, ho sempre sostenuto lavori più ambiziosi con dietro un’idea forte, che possibilmente includesse una visione del mondo, o un impianto formale robusto. La Fazi, accanto a una produzione mainstream, coltiva da sempre una narrativa più giovane, letteraria, e lo fa pubblicando anche molti esordienti che, nel tempo, hanno dato grandi soddisfazioni alla casa editrice vincendo premi importanti ed essendo tradotti all’estero in diverse lingue. Quest’anno, Sandro Frizziero, che aveva esordito con noi nel 2018 con Confessioni di un NEET, è stato tra i cinque finalisti al Campiello con Sommersione e altri nostri autori sono stati pubblicati all’estero e i loro libri opzionati per il cinema.
Fazi è una delle poche case editrici che consente l’invio spontaneo dei manoscritti in due periodi specifici dell’anno. In quanto tempo riuscite a smaltire i testi degli aspiranti scrittori? Da quali canali giungono la maggior parte dei testi che potrebbero entrare nel vostro catalogo?
Due volte l’anno, apriamo la nostra “casella manoscritti” e chiunque può mandarci l’incipit del suo romanzo (o 30 cartelle a scelta) insieme a una breve lettera di presentazione. Ogni volta arrivano circa due/tremila manoscritti e non è semplice passarli in rassegna tutti ma piano piano, con l’aiuto di buoni lettori, ci siamo sempre riusciti. Quest’anno, abbiamo due ragazze che si occupano di filtrare i testi che, devo dire, in genere sono da scartare per il 98%, per mancanza di trama o sciatteria nella scrittura. Eppure, dalla casella manoscritti, negli anni sono emersi molti nostri autori come, ad esempio, Dario Levantino e Aldo Simeone che hanno pubblicato i loro libri con un ottimo successo di critica e di pubblico, traduzioni all’estero e vendita di diritti cine-tv.
Il canale principale da cui provengono i romanzi che pubblichiamo, specie stranieri, sono le agenzie letterarie ma per gli italiani i canali ovviamente si moltiplicano: a parte la casella manoscritti, ci sono i blogger, che qualche volta ci segnalano talentuosi giovani scrittori, i social, i giornalisti, i critici letterari, gli amici, gli amici degli amici, ecc. Quando c’erano ancora i festival, le fiere e le altre occasioni d’incontro pubblico legate ai libri non era infrequente conoscere aspiranti autori che venivano a proporsi direttamente con il manoscritto allo stand o in libreria. Poi ci sono i contest e le riviste online da cui qualche volta attingiamo anche noi, dove i giovani autori si cimentano con racconti o piccole narrazioni da cui talvolta si possono intuire le loro potenzialità.
Quali sono gli errori più comuni che trovate nei manoscritti? E quali caratteristiche ricercate in un testo inedito che risultino decisive per un’eventuale pubblicazione?
A mio parere, l’errore più comune è quello di proporre un manoscritto che non sia stato riletto a sufficienza e che si presenti come un testo linguisticamente ancora imperfetto, e quasi sciatto, o troppo squilibrato nella struttura. Anche un amico o un parente, purché sincero e “spietato”, a volte, potrebbe suggerire all’autore come aggiustare alcuni passaggi prima dell’invio a un editor che, sì, dovrebbe aiutare a sistemare un testo, purché già compiuto. Gli autori spesso mandano libri mai letti da nessuno a parte loro stessi e spesso questi testi sono manchevoli in troppe parti. Una casa editrice non può sostituirsi a una scuola di scrittura né a un’agenzia letteraria: cerca testi completi e possibilmente già adatti a una pubblicazione.
Per me, le caratteristiche principali che un testo dovrebbe avere per arrivare alla pubblicazione sono semplici ma anche difficili da trovare. Per prima cosa, serve una buona scrittura (sembra scontato ma scrivere bene è difficile e a volte non basta avere un’idea per un romanzo o avere una trama robusta in testa), una scrittura possibilmente ispirata a modelli italiani, visto che la lingua in cui si pubblica è la nostra. In secondo luogo, è molto importante l’originalità della voce, un timbro proprio, unico, che porti il segno di chi scrive. Poi, certo, bisogna saper costruire una storia e tenere avvinto il lettore e queste sono due cose molto difficili da ottenere ma ovviamente essenziali.
Negli ultimi anni Matteo Cellini e Giorgio Nisini sono stati selezionati tra i dodici finalisti al Premio Strega, “L’ultima estate” di Cesarina Vighy è entrato nella cinquina. Come vive, da editor, ogni anno la partecipazione di un testo edito dalla Sua casa editrice al premio letterario più importante d’Italia?
Allo Strega sono particolarmente affezionata visto che un libro a me molto caro, L’ultima estate di Cesarina Vighy, è entrato nella cinquina finalista nel 2009 dopo aver vinto il Campiello opera prima nello stesso anno. Nel tempo, abbiamo candidato diversi nostri autori che a volte sono entrati nella dozzina finalista. Lo Strega è un premio troppo importante per non essere riconosciuto come uno dei principali traguardi per uno scrittore italiano. Ogni anno in casa editrice riflettiamo se sia il caso o meno di candidare qualche nostro libro e a volte sono gli autori stessi a chiederci di partecipare perché, specie negli ultimi anni, la dozzina è diventata la vetrina più efficace per farsi notare dal pubblico dei lettori. In ogni caso, data la sua visibilità e l’autorevolezza che gli si riconosce, il Premio Strega (insieme al Campiello) rimane l’obiettivo principale per ogni scrittore che si rispetti e l’ambizione più grande per ogni giovane esordiente.
Com’è cambiato il lavoro dell’editor da quando ha cominciato a oggi? E quanto ha influito la chiusura delle librerie e il lockdown in generale sul suo lavoro, sulle vendite e sulla pubblicazione dei nuovi libri?
Un po’ è cambiato ma è cambiato soprattutto il mondo dell’editoria. Quando ho iniziato io, i social non avevano l’importanza che hanno oggi e i giornali, dopo la tv, erano il canale principale sul quale si veicolavano i libri. Il lancio di un romanzo avveniva in una maniera molto diversa da quella attuale e anche il numero dei libri pubblicati era più basso e si aveva più spazio di manovra per farli arrivare al lettore. Anche per i premi non c’era la concorrenza che c’è adesso, c’era una maggiore selezione in entrata e le candidature erano contate e oculatamente pensate.
Il lavoro dell’editor un tempo forse era più invasivo. Qualche volta si cercava addirittura di “costruire” un testo insieme all’autore, una pratica che adesso mi sembra poco frequentata, dato il proliferare di scritti e scrittori.
Il periodo della quarantena (da marzo a maggio dello scorso anno) ha pesato indubbiamente sulle vendite ma, per fortuna, non appena si sono riaperte le librerie i lettori hanno reagito in maniera virtuosa e, devo dire, inaspettata. La Fazi, anche grazie a titoli molto forti che erano già in programma e a un’attenzione particolare verso i lettori sui social, è stata quasi premiata nella fase successiva al lockdown. Gli autori italiani, è ovvio, sono quelli che hanno sofferto di più, anche perché la mancanza di occasioni d’incontro con i lettori ha pesato sul lancio dei loro libri. Festival, presentazioni e Saloni del libro, appuntamenti cruciali specie per gli emergenti, sono saltati e questo ovviamente ha comportato tutta una serie di inconvenienti proprio a scapito degli autori meno conosciuti.
Il lockdown è stata un’esperienza destabilizzante per tutti, ma la risposta della letteratura italiana è stata incerta. Molti autori hanno scritto in quel periodo, ma hanno preferito non trattare l’evento in sé. Secondo Lei, quando (e se) si cominceranno a vedere le prime mascherine nelle pagine dei romanzi italiani? Quale tipo di approccio Lei prevede sull’argomento?
Secondo me una narrativa valida sulla pandemia arriverà solo a distanza di molti anni dal suo inizio. Negli ultimi mesi, la realtà ha superato di gran lunga la fantasia e a interessare i lettori sono stati per lo più i libri di saggistica o le notizie di cronaca sull’argomento più che i libri di narrativa, testi evidentemente più attraenti rispetto a un romanzo inventato che tentasse di rielaborare i fatti a così breve distanza di tempo. Una narrativa distopico-catastrofica (anche sui virus) è sempre esistita e ha sempre avuto i suoi estimatori: per uscire dal genere e produrre il vero romanzo sul Covid, però, ci vorranno anni e ci vorranno anni anche per trovare il pubblico adatto a quel libro o a quei libri. Sinceramente non credo a un filone narrativo sul Covid-19, che sicuramente si produrrà ma che sarà necessariamente un fenomeno legato a questo momento. Per il capolavoro, secondo me, bisognerà aspettare che il trauma collettivo si sia sedimentato e soprattutto bisognerà capire se la pandemia finirà con il 2021 o ci saranno ulteriori sviluppi.
L’editor è anche uno scrittore, almeno in parte. Ci sono tanti casi di editor che decidono di mettersi nei panni dello scrittore, come Alberto Rollo o Rosella Postorino. Il Suo è un caso simile, perché nel 2013 ha esordito con “Publisher” (Fazi). Che esperienza è stata e come si riesce a far convivere le due anime? Pensa di scrivere ancora in futuro?
Il mio è stato un esperimento azzardato e anche un po’ presuntuoso visto che non mi ritengo una scrittrice né ho mai pensato di diventarlo. Publisher è stato il tentativo di descrivere il mondo dell’editoria dall’interno, un mondo che mi affascinava e che ho cercato di descrivere con estrema ironia tracciando allo stesso tempo la biografia (romanzata) dell’editore Fazi. La scelta di lasciare nomi e cognomi reali e di trattare il tema con la massima libertà ha un po’ sconcertato e anche stupito i lettori.
In futuro non credo di voler pubblicare ancora, ma la voglia di scrivere è rimasta e secondo me l’idea di creare qualcosa di proprio deve sempre essere viva, specie in persone che fanno questo lavoro che altrimenti rischierebbero di inaridirsi e considerare il proprio mestiere una semplice routine dimenticando la magia del processo creativo che è alla base di ogni forma di espressiva.
A proposito di futuro. Quali sono le opere di prossima pubblicazione alle quali ha lavorato come editor?
Libri tutti diversi per genere e pubblico di destinazione. Per primo, il romanzo di un’esordiente 89enne, La signorina Crovato, che è un fiume in piena di ricordi da parte dell’autrice, un romanzo energizzante, in grado di trasmettere allegria e buonumore; poi, il nuovo legal thriller di Michele Navarra, un autore che quest’anno abbiamo pubblicato con grande successo con Solo dio è innocente, storia di avvocati e tribunali e riflessione sui meccanismi della giustizia italiana. Successivamente sarà la volta del nuovo romanzo di Desy Icardi, autrice di una serie di commedie intelligenti e piene d’inventiva sui cinque sensi e sui libri (stavolta toccherà all’udito), un libro dalla scrittura piacevolissima, capace di invogliare alla lettura. Tra i testi più ambiziosi, il romanzo di un’autrice piena di talento come Giorgia Tribuiani che con Blu esplora dal di dentro il mondo di un’adolescente vivendo le sue giornate e guardando al suo disagio esistenziale direttamente con i suoi occhi. Sempre nell’ambito di una narrativa d’autore, il romanzo di un giovane scrittore e sceneggiatore, di cui è troppo presto per parlare, mostra grandi capacità di scrittura, davvero originale, in un romanzo unico nel suo genere.