Tra gli esordi candidati al Premio Opera Prima quest’anno c’è Benevolenza Cosmica di Fabio Bacà, uscito proprio di recente per Adelphi. Il romanzo di Bacà si trova in ottima compagnia di altri esordi che abbiamo seguito e raccontato nel corso dell’anno su L’indiependente: Il libro dei vulcani d’Islanda di Leonardo Piccione, Napoli Mon Amour di Alessio Forgione, Il giorno della nutria di Andrea Zandomeneghi, o Hamburg di Marco Lupo. Di sicuro mette una certa curiosità provare a capire come mai una casa editrice come Adelphi – che raramente scommette su nuove voci italiane – abbia deciso di puntare su uno scrittore esordiente come nel caso di Benevolenza Cosmica. Ma tutto è chiaro fin dalle prime pagine: c’è qualcosa di forte nella penna di Bacà, una scrittura funambola, viva e divertente — sottolineo questo aspetto di divertimento intelligente perché è piuttosto raro. Eppure è difficile trovare tracce di Fabio Bacà persino su google — e in diretta controtendenza ai tempi. Si sa che è marchigiano, che è insegnante di ginnastica dolce per anziani, e che ha vissuto un periodo di depressione che lo ha portato a immaginare l’altra faccia della medaglia degli accadimenti umani: cosa succederebbe se tutto andasse bene oltremisura?, se fossi vittima piuttosto di una benevolenza cosmica, di natura karmica, che sfugge a ogni genere di legge e probabilità statistica? – non sarebbe forse altrettanto straziante? È questo il nucleo tematico del romanzo di Bacà: una trama di grande ambizione ambientata in una Londra agitata, caotica, esasperatamente preda di attacchi terroristici. Un protagonista che seduce il lettore con momenti di avido divertimento, e uno stile che letteralmente travolge già dall’inizio.
« Mi tolsi la giacca e me la drappeggiai sulla spalla sinistra, reggendola con le dita a uncino nella classica iconografia del seduttore da quattro soldi. »
Ci immergiamo subito nella vita di Kurt O’Reilly, mezzosangue italiano dalla vita apparentemente perfetta, tanto che per un attimo sarete tentati di azzardare paragoni con David Bell, protagonista di Americana di di Don DeLillo. Sarebbe sbagliato: sebbene Kurt sia un uomo realizzato sulla trentina, che lavora come dirigente all’ufficio nazionale di statistica a Londra e ha una bella moglie scrittrice, non c’è traccia di sogno americano in questo libro. Per mesi il protagonista sarà perseguitato dalla buona sorte, ma comincerà subito a vivere la faccenda come un dolce incubo. Non è il senso di colpa nei confronti del resto dell’umanità a tarlare la sua testa, quel che è peggio da sopportare per Kurt è piuttosto la stravagante constatazione di una messa in discussione di tutte le certezze accumulate per una vita intera. Immaginate di aver studiato la probabilistica in tutti i suoi aspetti, ovvero di essere immersi pure in un mondo di rigido scetticismo a qualsiasi esperienza che abbia a che fare con il trascendente: siete scienziati, atei, dunque escludete assolutamente che possano verificarsi una serie di eventi e coincidenze favorevoli che posseggono qualcosa di miracoloso. Eppure questi eventi continuano a ripetersi, e non potete fare a meno che prenderne atto, accettarli. O’Reilly cede allo scetticismo e inizia addirittura a riflettere sul karma. Di punto in bianco.
La nuova vita inspiegabile da benevolenza cosmica di Kurt O’Reilly è scandita da una serie di eventi dalla natura insolita come improvvisi guadagni di più di quarantamila sterline in un’operazione di borsa sulla carta fallimentare, un agente delle forze speciali che gli spara per sbaglio ferendolo di striscio (incidente per il quale ha diritto a un risarcimento di sessantacinquemila sterline), tassisti londinesi che continuano a offrirgli corse e sconti, donne che si gettano ai suoi piedi, e via dicendo. Siamo catapultati insieme a lui in queste vicende, e con lui proviamo a farci delle domande. Per esempio: sarebbe davvero così pessimo vivere non un periodo semplicemente fortunato, ma una successione cadenzata di eventi assurdi che finiscono inevitabilmente per il meglio? È probabile che tutti noi ci siamo ritrovati a sognare un periodo di benevolenza cosmica, ma O’Reilly arriva fino alla paranoia del sospetto – che poi si fa certezza – di quanto sia terribilmente perverso questo meccanismo dove tutto finisce per forza di cose per il meglio.
Realizzare l’esistenza di una benevolenza cosmica fa somigliare la vita a una trappola. Un colpo di dadi non abolirà mai il caso – scriveva Mallarmé; ma la benevolenza cosmica sì, aggiungerebbe O’Reilly. Così quella del protagonista diventa la lotta straziante di un individuo che prova disperatamente a liberarsi della buona sorte. Siete davvero sicuri che non finireste per fare la stessa cosa? Ritornare a riabbracciare la vita in tutto il suo mistero, la sua umanità: riemigrare tra le braccia rassicuranti di Mallarmé. Così ci dirigiamo alla ricerca di una risposta verso il finale del libro, divorando le pagine di Bacà e perdendoci tra i numerosi dialoghi — e del finale non diremo niente tranne che fa un effetto un po’ netflix (ma si sa che i finali son sempre controversi). Quel che resta sono le immagini e le parole che lo scrittore marchigiano è riuscito a dipingere e sparigliare qui e là, vere e proprie pennellate.
« Per quanto mi riguardava, a spaventarmi erano più gli effetti psichici di migliaia di ore trascorse in adorazione di un apparecchio a elevata radianza di cretinate. L’intera popolazione occidentale sembrava aver insignito il proprio cellulare della sacralità di cui un viaggiatore medioevale investiva il crocifisso di legno al collo. Era preoccupante. »