Distruzione, frantumazione, schiacciamento, Crushing. Il secondo album di Julia Jacklin si chiama così, Crushing, e nonostante la prepotenza del nome la sensazione è quella di stare in piedi, con le braccia aperte, in mezzo alla strada ad assorbire i raggi del sole con gli occhi chiusi e le ginocchia sbucciate.
Il disco inizia sotto voce, come una cantilena dolorosa ma anche liberatoria nel brano che apre l’album, Body. Batteria e basso si muovono insieme lentamente, creando una tensione quasi inquietante mentre la voce si srotola in modo intimo, in una narrazione ossessiva che si interrompe lasciando un senso di incompleto.
A cloud of smoke, thumb still on the light
You looked so proud
Couldn’t wait to call a friend
We had to fly back home
Chi si è innamorato dell’album di debutto della Jacklin nel 2016, Don’t Let the Kids Win, troverà in questo nuovo disco la continuazione di quell’atteggiamento alternativo e delle influenze vintage che tanto caratterizzano l’artista australiana. E una sottile atmosfera vintage che ricorda un po’ Wes Anderson hanno anche i video che accompagnano le canzoni già in rotazione: lei una ragazza di 28 anni che racconta se stessa, con il mondo intorno che si accorda alla sua voce, alla sua storia.
I testi e il canto vulnerabile e quasi rassegnato sono i protagonisti principali di una serie di storie che raccontano una rottura, tanto nel senso di perdita tanto nella voglia di rivalsa verso se stessi. Con Head Alone e Pressure to Party il morale torna momentaneamente alto: sarà per la chitarra allegra o per il tono più scanzonato ma verrebbe quasi voglia di ballare con le braccia sciolte lungo i fianchi e la testa che segue il ritmo. Ma l’ascolto di questo album è un continuo andare in alto e tornare giù, piangere per una fine e un attimo dopo gioire per la libertà; perdersi nelle emozioni che sono sempre così difficili da razionalizzare.
La malinconia dell’indie incontra una voce rotta in Don’t know how to keep loving you, la storia straziante di una relazione in caduta libera, un declino che distrugge la sicurezza in se stessi, tanto che Julia sembra volerci provare a salvare le cose ma anche rassegnarsi alla fine.
A chiudere il racconto ci pensa la traccia più delicata dell’album, Comfort. La sua voce riecheggia in uno spazio aperto, con la delicatezza di una ninna nanna inizialmente rivolta a qualcuno “You’ll be ok”, poi direttamente a se stessa, cantata da una voce sempre ondeggiante che si posa dolcemente sugli arpeggi di chitarra.
I’ll be okay
I’ll be alright
I’ll get well soon
Sleep through the night
C’è un dolore, un’onestà, una purezza, un vero senso del blues in questo disco che colpisce dritto al cuore. E con gli occhi ancora chiusi viene voglia di farsi cullare in questo dolore dolceamaro a cui spesso è difficile dare forma. Julia, però, ci è riuscita benissimo.