Con quella sua voce stridula, acuta, sostanzialmente sofferta, lo si ama o lo si odia, Stefano Rampoldi, e quel suo modo sempre unico e diretto di essere sincero, costi quel che costi. Qualità questa (almeno per chi la ritiene tale) che ha come premessa di non scendere mai a compromessi e fare sempre e solo di testa propria.
Sono passati dieci anni dal ritorno sulle scene di Edda e, in ogni album che ha confezionato, l’ex frontman dei Ritmo Tribale non ha mai sbagliato un colpo. È riuscito, anzi, a ritagliarsi un personalissimo percorso musicale che da intimo e ostico (la naturalezza disarmante di Semper Biot e l’elettricità ostica e graffiante di Odio i Vivi) si è fatto sempre più colorato e vivo, con l’avvicinamento alla forma canzone tradizionale di Stavolta come mi ammazzerei? fino al pop etereo e delicato di Graziosa Utopia.
Nel quinto capitolo, Stefano non si smentisce e, lasciando intatte l’intimità e la follia che contraddistinguono le sue canzoni, sposta ancora più avanti l’asticella verso il pop, omaggiando magnificamente la musica leggera, quella che ascoltava da bambino e che, volente o nolente, appartiene al bagaglio culturale italiano.
“I Fru fru sono i wafer, l’unico biscotto che mi sento di raccomandare in quanto privo di uova. Ma è anche un termine che indica la leggerezza con la quale mi piacerebbe affrontare la vita” dichiara Edda e, come i wafer anche i brani del disco provocano una certa dipendenza.
Capita così che ascoltando e canticchiando a squarciagola queste nove canzoni, di ritrovare incisi familiari, stacchetti al limite della disco music, riferimenti sfacciati alla canzone italiana degli anni sessanta, che però traghettano sulle loro spalle le liriche schiette e assolutamente mai banali, a cui ci ha sempre abituato, sempre vissute a metà tra maschile e femminile, sempre cosi dirette eppure cosi profonde.
La premessa dello spumeggiante singolo E Se, in cui Stefano serve su un piatto d’argento una serie di affermazioni molto sconcertanti per poi ritrattarle una per una, introduce a meraviglia l’affresco di lucida follia che sarà il leit motif anche di quest’album. “I suoni sono molto importanti e anche se non ce ne rendiamo conto, influenzano in modo determinate la nostra esistenza. Vanno scelti bene” dichiara Edda.
E infatti protagonisti assoluti delle canzoni sono i meravigliosi arrangiamenti di Luca Bossi che pescano dal sound colorato degli anni settanta, accompagnando, con ritmiche funky e chitarre graffianti, il flusso di coscienza delle parole, quell’universo per adulti cinici dipinto in ogni frase, tra verità e non sense.
È pur sempre un cantore delle piccole cose, Edda. E, in quanto tale, ogni cosa è un pretesto per tirare fuori un canzone. Così l’ostacolo insormontabile delle versioni di latino al liceo diventa la scusa per cantarne quattro a Ovidio e Orazio e l’acquisto di un Abat-jour (unico regalo a potersi permettere) diventa un racconto sul bisogno compulsivo di sentirsi appagato, così come una vecchia canzone dell’Equipe 84 può ispirare la bellissima Vela Bianca.
A farla padrona è sempre e comunque la melodia, tanto cara al nostro, così sfacciata e orecchiabile che si attacca addosso e non ti lascia più. E per omaggiare ancora di più la tradizione della musica leggera italiana, Stefano si ritrova a trasfigurare celebri refrain un po’ qua e un po’ là, come nell’irresistible Italia Gay, dove l’universalità dell’amore viene sbattuta in faccia a un paese sempre un po’ più sordo degli altri
« Quello l’amore è di tutti
Lo sanno anche i curdi che baciano i turchi
Un’ora sola ti vorrei
Vorrei l’Italia fosse tutta Gay. »
La commovente Edda, dedicata alla madre che, come dice lui, ha lasciato il suo corpo di giovedì (stesso giorno in cui la canzone è stata incisa) riformula anch’essa un inciso popolare della musica leggera italiana
« Ma l’amore no, amore no non si può,
distruggi con il tempo tutte le cose
ma l’amore no, l’amore mio non può
distruggi con il sesso anche l’amore »
ed è uno dei capolavori dell’album, insieme alla straordinaria Samsara che si fa beffa delle nostre necessità materiali citando l’insegnamento di un grande maestro spirituale e tirando in ballo anche due santi italiani
« San Francesco sta parlando agli animali,
sante le sue mani
Sant’Agostino invece mangia gli animali
Piango con le mani »
Facile capire quale dei due sia cordialmente odiato da Stefano.
Se dovessi provare a descrivere la musica di Edda con un unico aggettivo non c’è dubbio che sarebbe “denso”, perché così ricca di significati e interpretazioni e così poco convenzionale, tanto che bisogna immergersi dentro per trovarci ogni volta un senso diverso.
Fru Fru è un disco fatto solo di alti, dove, pur volendo, non si riesce proprio a trovare un episodio di caratura minore e che dimostra, come già fatto con Graziosa Utopia, come sia possibile scrivere un disco pop, senza scadere nella banalità e senza trascurare la leggerezza. L’ennesima opera ricca di personalità e vitalità, un flusso di coscienza personale e istintivo.
Trascendentale.