Il festival I Boreali nasce da un’idea della casa editrice Iperborea, e si tratta del più grande festival italiano dedicato alla cultura nordeuropea. Dal 21 al 24 Febbraio il Teatro Franco Parenti di Milano ospiterà l’edizione numero cinque: incontri con autori, eventi, concerti e proiezioni cinematografiche vi attendono per una vera e propria immersione nel cuore del Nord.
Abbiamo fatto una chiacchierata con Pietro Biancardi, editore della casa editrice specializzata in letteratura nord-europea e fondata nel 1987 dalla madre Emilia Lodigiani. Ci ha raccontato com’è nato il festival, come si è evoluto, e con quanta cura e passione si lavora a Iperborea. Siete tutti invitati al festival I Boreali — avventurieri, appassionati, curiosi.
Partiamo da I Boreali. Siamo alla quinta edizione del festival dedicato alla cultura nordeuropea, e non a caso l’idea nasce da una casa editrice come Iperborea. Ci raccontate le tappe che vi hanno portato a ideare il festival, e come lavorate all’organizzazione?
È stato un percorso graduale. Il primo festival piccolino è partito nel 2009 e si chiamava Caffè Amsterdam: l’idea era quella di invitare due, tre autori, proiettare un film, per farne qualcosa che andasse al di là del singolo incontro con l’autore. Piano piano da Caffè Amsterdam siamo passati a Caffè Helsinki, Caffè Copenaghen, Caffè Stoccolma, dei mini-festival dedicati alle singole culture nordiche di cui ci occupiamo, finché non abbiamo deciso di fare il salto e far nascere I Boreali che è dedicato a tutto il Nord Europa e non più a un paese singolo. Da qui il festival è cresciuto molto: quest’anno per esempio ci saranno una quarantina di incontri solo nell’edizione milanese, mentre i festival più piccoli raggiungevano al massimo dieci, quindici incontri. E poi è stata importante la collaborazione sempre più stretta con il Teatro Franco Parenti, con cui ci troviamo benissimo. Inoltre da tre anni abbiamo iniziato anche a fare delle versioni itineranti del festival, lo abbiamo portato in giro tra città come Venezia, Torino, Genova, e quest’anno andiamo a Lugano, Bologna e Matera.
Matera che è anche capitale europea della cultura 2019. Più in generale come selezionate le tappe itineranti del festival?
Tutte le volte che abbiamo portato il festival in giro in altre città molto è dipeso dal sostegno che abbiamo trovato, da partner validi sul posto, anche perché vogliamo garantire una qualità nella ricezione degli ospiti e nell’organizzazione. E poi cerchiamo una comunicazione più forte sul territorio di quella che possiamo avere noi. A volte qualcuno ci ha invitato direttamente, altre volte abbiamo cercato noi di coinvolgere le realtà. Nel caso delle tre tappe di quest’anno son state le città a invitarci, come nel caso di Lugano/Cernobbio dove l’organizzazione di un festival locale ci ha chiesto di fare tappa lì. Stesso discorso per Bologna e Matera.
Anche quest’anno gli ospiti saranno tanti. A inaugurare il festival sarà l’autore svedese Bjorn Larsson, che presenta in anteprima La lettera di Gertrud in uscita il prossimo 20 Febbraio. Si tratta di un romanzo importante perché esplora il tema di identità e appartenenze proprio in un momento storico in cui ce n’è davvero bisogno. Invitiamo tutti a leggerlo?
Sì, Bjorn Larsson è uno dei nostri autori più rappresentativi e crediamo abbia scritto un libro importante, che si discosta un po’ dal resto della sua produzione e riflette su un tema essenziale che è quello delle identità, ovvero di come siamo convinti di scegliere noi chi siamo, ma in realtà spesso questa cosa ci viene imposta come un riflesso dagli altri. In breve, è la storia di un uomo che solo dopo il funerale della madre – e tramite una lettera che gli ha lasciato – scopre che fosse un’ebrea sopravvissuta a un campo di concentramento, e che ha sempre nascosto queste sue origini, sia per paura che la storia potesse ripetersi ma anche per dare al figlio la possibilità di scegliere chi essere. La cosa ovviamente lo sconvolge, da un lato perché è ateo e la parola ebreo ha poco significato da un punto di vista religioso per lui, e dall’altro perché è uno scienziato genetista convinto che nulla possa identificare da un punto di vista genetico un ebreo da un’altra persona. Da lì nasce il tormento di non sapere cosa fare, anche perché ha una figlia e scegliere di essere ebreo vorrebbe dire che anche la figlia lo è; così iniziano le sue ricerche e le indagini per capire cosa fare. La denuncia di Larsson, quello su cui vuole farci riflettere, è la difficoltà di scegliere la nostra identità: scegliere o rifiutare di essere ebreo vorrebbe dire finire nel mirino da un lato degli anti-semiti e dall’altro degli estremisti sionisti; suo malgrado, finirebbe in una trappola comunque. Questa è l’idea, poi c’è una trama che naturalmente trascina il lettore.
Oltre ai libri di Larsson tra i grandi successi editoriali di Iperborea ci sono anche quelli dello scrittore finlandese Arto Paasillina, scomparso di recente. Al festival ci sarà un evento omaggio allo scrittore, un memorial tour con reading di suoi brani che sta attraversando anche il paese nel frattempo. Qual è il suo libro a cui siete più affezionati?
È difficile scegliere perché Paasillina è stato un autore molto prolifico, e anche molto regolare, con una creatività e una fantasia costanti e immutati. Ed è anche per questo che abbiamo deciso di fare questo memorial tour, perché ci siamo resi conto di quanto fosse amato dai lettori italiani. E se n’era accorto anche Valerio Millefoglie, lo scrittore, cantante e performer che ha ideato lo spettacolo che ha già toccato 10 città italiane e ora andrà ai Boreali e in tutte le tappe del festival. Il lettore di Paasillina sembra intrattenere con l’autore qualcosa che va oltre la semplice lettura, così abbiamo invitato anche a condividere delle testimonianze in proposito ed è stato piuttosto facile perché siamo stati contattati da tantissimi lettori che ci hanno lasciato le loro storie. Valerio le ha raccolte e sono assolutamente toccanti e commoventi, i lettori trasmettono l’idea di una lettura che gli ha cambiato la vita. Poi magari il mio preferito può essere L’anno della lepre, e per altri Il bosco delle volpi o Piccoli suicidi tra amici — è questo il bello di Paasillina.
Abbiamo davvero apprezzato l’edizione de Il libro dei vulcani d’Islanda di Leonardo Piccione (altro ospite del festival), e ci piacerebbe sapere come avete lavorato al libro perché – non solo è scritto meravigliosamente – ma è anche una splendida chicca da collezionisti e appassionati, con tutte quelle mappe che valorizzano il lavoro artigianale che c’è dietro il libro.
Grazie davvero, è un libro su cui ci siamo un po’ sbizzarriti perché si prestava, e per l’occasione abbiamo anche abbandonato il nostro tradizionale formato 10×20. Era talmente ghiotta la possibilità di fare un bel libro con illustrazioni, e su un formato stretto e lungo sarebbero venute fuori un po’ sacrificate, quindi abbiamo optato per un formato più classico — anche perché pensavamo che il libro in sé fosse talmente eccezionale da non aver bisogno neanche di formati particolari. Quello che ci ha subito colpito è stata anzitutto l’idea, e poi soprattutto la penna di Leonardo Piccione, anche perché non pubblichiamo autori italiani – di solito riceviamo tante proposte che gentilmente decliniamo. In questo caso il libro ci era stato suggerito da due persone fidate che dicevano, voi normalmente non fate questi libri, ma questo qui dovreste considerarlo. E poi ci è arrivato questo manoscritto con le storie, alcune poi sono andate a costituire le 47 storie del libro dei vulcani, e abbiamo subito notato tre cose: una voce e una lingua molto forti e originali di Leonardo Piccione; una sua capacità da segugio di trovare storie; e poi per scrivere un libro così che va dalle saghe antiche alla cultura contemporanea, dal calcio alle spedizioni degli astronauti, ci vuole una solidità intellettuale di altissimo livello, e Piccione ce l’ha assolutamente. Probabilmente anche per i suoi studi scientifici, è laureato in statistica ma ha coltivato questa passione per la letteratura. Nella qualità del testo noi non abbiamo nessun merito, è tutta farina del suo sacco. Poi insieme a lui e allo studio xxy ci siamo un po’ divertiti a farne un bel libro illustrato.
Un’altra delle vostre intuizioni editoriali è la rivista The Passenger. Che altre uscite ci attendono?
Stiamo chiudendo proprio in questi giorni il prossimo numero che è dedicato al Portogallo, e poi entro l’estate andremo prima in Grecia e poi in Norvegia. L’idea è quella di farne uscire 5 o 6 all’anno, ed è venuta fuori osservando la mancanza di pubblicazioni simili nelle librerie, ovvero una rivista che raccontasse la contemporaneità di un paese. Siamo tutti dei grandi viaggiatori, inoltre siamo appassionati di reportage come genere letterario sul modello dei grandi magazine internazionali soprattutto di stampo anglosassone. Così ci siamo resi conto che quando per esempio si partiva per l’Islanda, l’Olanda, il Giappone (- questi sono i numeri usciti finora), quel che mancava era una pubblicazione che raccontasse l’aria che tira in quei paesi. Sì, certo, se parti per un weekend ad Amsterdam hai la guida turistica per capire quali musei andare a vedere, e su internet trovi dove andare a mangiare o a quale serata andare, però una pubblicazione che fosse un po’ l’equivalente di avere un caro amico che vive ad Amsterdam ed è molto informato su quello che succede nel paese – quella cosa lì in libreria non si trovava, e abbiamo deciso di farla noi.
Oltre agli eventi letterari al festival ci sarà spazio anche per il cinema e la musica. Per esempio, i concerti della cantautrice norvegese Farao e del duo belga Asa Moto. Siete appassionati anche di musica?
Assolutamente, molto. L’idea del festival ruota intorno a mescolare gli eventi letterari con altre discipline per dare un assaggio della cultura nordica a tutto tondo. Però ecco, siccome son stato sempre appassionato di musica e di concerti, e anche gli altri che lavorano con me, ero molto molto felice – con la scusa del festival – di darmi anche all’organizzazione dei concerti. E questa serata dei Boreali Party mi riempie sempre di grande emozione. Quest’anno sarà venerdì 22 e ci saranno una cantante molto interessante come Farao, che fa un electro-pop sofisticato, e Asa Moto, un duo di dj belgi.
In questo momento l’Europa vive un po’ una crisi di identità con il ritorno dei nazionalismi. In un’epoca del genere un festival come I Boreali va in direzione contraria, e ci propone un’esplorazione e uno scambio di punti di vista. Diciamo che persino un brunch culinario può essere un’occasione che va in questa direzione, che ne dite?
Ci piacerebbe molto sì. Iperborea è nata nell’87 da un’idea di mia madre, e andava anche in questa direzione. Da un lato lei seguiva una sua passione, la letteratura nordica che in Italia non veniva tradotta e che aveva scoperto in Francia da lettrice. Si rese conto che in Italia non erano stati tradotti alcuni dei maggiori nomi della letteratura contemporanea nordica, e l’idea era quella di diffondere ai lettori italiani delle culture che da un lato sono vicinissime a noi perché si tratta di paesi europei, e dall’altro poco conosciute. Oggi per fortuna ci sono molte più connessioni tra il Mediterraneo e il Baltico, e l’idea è propria quella di spingere a comunicare di più i paesi europei. Da questo punto di vista in Italia siamo un po’ provinciali, il nostro occhio spesso è puntato verso quello che succede negli Stati Uniti, la Francia o l’Inghilterra, in particolare siamo molto orientati verso i paesi anglosassoni. E spesso ignoriamo culture molto ricche e innovative. A me sembra che comunque oggi da un punto di vista culturale ci sia un interesse maggiore, poi purtroppo da altri punti di vista stiamo facendo tantissimi passi indietro. E se noi con il nostro piccolo festival e la nostra piccola casa editrice riusciamo a far crescere un po’ di solidarietà tra paesi europei siamo ovviamente molto contenti.
Ho letto in una sua intervista una bella analisi sul divario tra percentuali di lettori italiani e scandinavi, che in Italia restano bassine. Cito: “nei paesi nordici a forte matrice protestante l’alfabetizzazione di massa è arrivata con oltre un secolo d’anticipo, mentre nei paesi cattolici e mediterranei come il nostro è un fenomeno relativamente recente.” Esiste una difficoltà nel diffondere la cultura del libro nel nostro paese, o le cose stanno lentamente cambiando?
Mi piacerebbe essere più ottimista, però i dati sulla lettura che escono ogni anno pubblicati dall’Istat non sono incoraggianti. Dopo che per tanti anni il numero di lettori era salito arrivando al picco raggiunto qualche anno fa del 46%, gli ultimi dati sono scesi di nuovo intorno al 41/42%. Significa che sono solo 4 italiani su 10 che leggono, dove quelli che leggono più di un libro al mese sono sotto il 10% — quindi in realtà molto pochi. Dalle statistiche e le ricerche invece in tutti i paesi del Nord Europa le percentuali si aggirano intorno al 90%, quindi più del doppio dei lettori in Italia e le ragioni vanno indietro storicamente nel tempo. Abbiamo pubblicato proprio di recente un libro molto bello e importante che parla proprio di questo tema, si chiama Cucinare un orso dello svedese Mikael Niemi, che racconta sotto forma di storia gialla sulla scia de Il nome della Rosa, di questo pastore realmente esistito nella metà dell’Ottocento nel Nord della Svezia, che per tirar fuori i sami dalla miseria, dall’alcolismo e da queste vite marginali e disperate, insegnava a loro la lettura, li alfabetizzava. Quello che trovo interessante è che sia proprio un pastore ad alfabetizzare, mentre da noi nella storia c’era proprio una mentalità diversa. C’era la messa in latino che nessuno capiva.
Era un atto di fede anche quello.
Esatto, tenere il popolo da parte e fidarsi del prete che leggeva in latino. Mentre di là invece, da Lutero in avanti, il primo testo che fu tradotto e diffuso per tutta la popolazione era proprio la Bibbia, perché si voleva che la gente leggesse e desse la sua interpretazione. Si tratta di una tradizione di alfabetizzazione che va indietro nei secoli. Da noi siamo ben lontani da quella.
In conclusione, invitiamo tutti a partecipare al festival I Boreali?
Sì. È un invito a conoscere una cultura nordeuropea sempre molto vivace e ricca. E poi spero che oltre a essere tutto terribilmente interessante sia anche divertente. Si tratta di un evento e un festival pensato anche per famiglie, perché ci saranno anche una serie di eventi per bambini di diverse fasce di età durante tutto il weekend. Spero insomma che attiri un po’ di curiosi e appassionati alla scoperta del Nord Europa.