Non è facile affrontare le proprie paure, soprattutto da adulti, quando gli stessi gesti, ripetuti ogni giorno, ci accompagnano costantemente nella vita e spesso ci inducono a credere di non poterne fare a meno. Sognando Elvis, il nuovo graphic novel di Veronica Carratello pubblicato da Bao Publishing, ribalta questa teoria e insegna che non è mai troppo tardi per reagire, cambiare e migliorarsi. La storia dell’ossessione di un uomo diventa un fumetto umoristico sul senso delle nostre scelte e sul percorso che ci troviamo a percorrere seguendo l’umore del momento. La domanda sorge spontanea: qual è il ruolo di Elvis? Lo abbiamo domandato direttamente all’illustratrice novarese, conosciuta anche con lo pseudonimo di “Veci”, che ha immaginato e realizzato un romanzo grafico intelligente, capace di trasmettere positività non solo attraverso le immagini, ma anche grazie a parole misurate e taglienti al punto giusto. L’ansia non è più un tabù.
Com’è nata la tua passione per il disegno e quando hai capito che si stava trasformando in un lavoro?
Sono nata con la passione per il disegno, disegno fin da quando ne ho memoria. Ho voluto che si trasformasse in un lavoro, non avevo un piano B perché ero fermamente convinta che questa fosse la mia strada, anche se ci sono voluti molti anni prima che diventasse davvero un lavoro.
Il protagonista di Sognando Elvis, il tuo ultimo libro uscito per Bao Publishing, è Carlo, un uomo di quarant’anni che per tutta la vita si è sentito bloccato a causa di un’acuta forma di ipocondria fino a quando, stanco di questa condizione, decide di affrontare di petto le sue paure. Perché hai scelto proprio Carlo come personaggio di spicco di questo graphic novel?
Era importante che il protagonista fosse un uomo di mezza età, per vestire i panni di Elvis e giustificare la sua passione per il Re del rock’n’roll. Ho costruito la storia intorno al Parkes Elvis festival, ho pensato che l’ostacolo più grande del protagonista dovesse essere lui stesso, con le sue paure, poi ho scoperto che anche Elvis era ipocondriaco, quindi come spirito guida era perfetto!
Tra i tratti distintivi di Carlo non c’è solo l’ipocondria, ma anche il fanatismo per Elvis Presley. Grazie a questa devozione oltre misura, un bel giorno Carlo decide di fare un viaggio dall’altra parte del mondo e partire per l’Australia dove ogni anno va in scena il più grande raduno di sosia di Elvis. Come ti è venuta quest’idea?
L’idea mi è venuta sentendo alla radio la notizia del Parkes Elvis Festival, come ti accennavo prima. Si tratta di un festival di impersonatori di Elvis in Australia realmente esistente, ogni anno in concomitanza con il compleanno del Re, parte da Sydney l’Elvis Express, diretto a Parkes, con a bordo 300 sosia di Elvis, mi ha divertito molto questa notizia ed ho iniziato a documentarmi e a costruirci una storia intorno.
Nel 2014 per la Nicola Pesce Editore hai pubblicato David Bowie – L’uomo delle stelle e ora, anche se Sognando Elvis non è la biografia di una leggenda della musica, torni a raccontare indirettamente un’icona del rock. Qual è il tuo rapporto con la musica e chi sono i tuoi miti?
Esatto, sono molto appassionata di musica e cerco sempre di inserirla nelle mie opere, anche in Freezer, che ho pubblicato due anni fa sempre per Bao Publishing, c’era un riferimento musicale a Simon & Garfunkel e anche il mio primo fumetto in assoluto, che mi sono autoprodotta, Fat Bottomed Girls (titolo che richiama una canzone dei Queen), girava intorno al mondo della musica, tre vecchiette che tornavano ad essere groupie ai giorni nostri. Ho diversi miti, uno fra tutti Bob Dylan, spazio dai grandi classici del rock, i gruppi che hanno fatto la storia della musica, all’indie rock. Vado spesso ai concerti e fino a qualche anno fa suonavo la chitarra in un gruppo. Quando lavoro ascolto sempre canzoni, o tramite radio o playlist mie, che variano da periodo a periodo.
Verso la conclusione del tuo romanzo grafico c’è una frase che il protagonista pronuncia in modo davvero liberatorio, “Guardare le stesse cose ma con occhi diversi”. Prima di arrivare a questa riflessione, però, Carlo è partito per l’ignoto e ha incontrato sul suo percorso un numero imprecisato di ostacolati. Dunque bisogna allontanarsi dalla vita di tutti i giorni per comprendere che le paure spesso non sono muri insormontabili?
Non per forza, serve però passare all’azione per dare una scossa alla propria vita. Viaggiare penso apra la mente a nuovi orizzonti, a Carlo serviva allontanarsi dalla quotidianità e soprattutto da se stesso, nel suo viaggio in Australia capisce che la natura, nella sua maestosità, ha il potere di ridimensionare lui e le sue paure.
Anche in Freezer, il tuo graphic novel precedente, hai trattato un altro argomento importante, ma in chiave tragicomica: l’ansia. Qual è il vantaggio di utilizzare un tono leggero per parlare di temi seri?
L’ansia diciamo che è uno dei miei demoni, per questo affronto spesso questo tipo di tematiche, preferisco raccontare in modo leggero le mie storie, un modo forse anche per depotenziare le paure di cui parlo, ridendoci sopra e non prendendole troppo sul serio. Nei miei libri si respira sempre un’aria tragicomica, penso ci voglia il giusto equilibrio fra leggerezza e profondità, se no si rischia di annoiare o di non lasciare niente al lettore.
Quali sono le fiabe e i fumetti della tua infanzia che più hanno inciso sulla professione di illustratrice che eserciti oggi?
Da piccola non leggevo molti fumetti, per lo più Topolino, però ne scrivevo, ho recuperato quando ero già grandicella. Il primo graphic novel, che metto fra i miei preferiti, che mi ha colpito al cuore è Blankets di Craig Thompson. Come autrice, attualmente, mi sto spingendo più sul fumetto sperimentale, mi piace giocare con le immagini, come riferimento ho Asterios Polyp di Mazzucchelli, uno dei libri più belli che abbia mai letto e che sfrutta il media del fumetto al massimo, ma anche fumetti inglesi, come quelli della Nobrow, come illustratrice invece ho tante influenze, il mio stile si evolve come un Pokemon.
All’inizio di Sognando Elvis Carlo legge un biglietto trovato in un biscotto della fortuna: “Segui il tuo sogno da bambino”. Qual è la più grande follia che hai fatto per seguire un sogno?
Fare la fumettista è già una follia ed è sempre stato il mio sogno! Innanzitutto mi sono ribellata ai miei genitori, che mi volevano laureata come le mie sorelle e con un lavoro normale, poi mi sono iscritta alla Scuola internazionale di Comics di Torino, pagandomi la retta lavorando come promoter nei weekend, un’esperienza terribile. Come dicevo prima, il mio primo romanzo grafico me lo sono autoprodotto perché nessun editore mi rispondeva alle e-mail o mi teneva in considerazione, non avevo seguito e non avevo soldi, ancora non andava di moda il crowdfunding. Mi ha aiutata la mia famiglia, che col tempo si è rassegnata all’idea che fossi una fumettista testarda.
Qual è il consiglio che daresti a chi vuole fare dell’illustrazione un mestiere? E come si può mantenere sempre accesa la fantasia?
Armarsi di determinazione e passione, non bastano mai, è facile scoraggiarsi all’inizio ma anche a carriera avviata, non è un campo facile, soprattutto economicamente, ma se c’è amore per il proprio lavoro una soluzione si trova sempre. La fantasia è ovunque, bisogna stare attenti e non lasciarsela scappare.