Pioggia, vento, fuoco, rabbia. Quattro parole che descrivono bene il nuovo album di Giorgio Canali, Undici canzoni di merda con la pioggia dentro, pubblicato lo scorso 5 ottobre da La Tempesta Dischi. L’accattivante titolo del disco è una citazione di un suo brano precedente, Orfani dei cieli, presente in Rojo (2011). Canali, ormai si sa bene, non esce allo scoperto se non ha qualcosa da dire, non si piega ad arrivismi commerciali. E adesso ha dato sfogo ad una vena creativa notevole. Sempre accompagnato dalla sua storica band, i Rossofuoco, il virtuoso chitarrista presenta canzoni arrabbiate, vere e schiette. Canzoni da ascoltare tutte di seguito con le cuffie alle orecchie. I brani sono un vero e proprio sfogo accompagnato da riflessioni personali e pessimiste. Non risparmia se stesso e non risparmia l’attuale società, ed è soprattutto verso quest’ultima che manifesta tutta la sua insoddisfazione.
“[…] nei discorsi della gente che non tace mai / è un’invasione di cicale che ripetono a memoria ogni parola più banale”
(Da “Emilia parallela”)
Album dalle sonorità rock che si divide tra ritmi lenti di ballate e brani tutti d’un fiato. Musica raffinata e ricercata – batteria e chitarre da apprezzare in particolar modo – alla quale non sono da meno i testi: arriva a far riferimento perfino a dei versi de La pioggia nel pineto di Gabriele D’Annunzio in Piove, finalmente piove (“Piove, sulle tamerici arse”).
Andando nel dettaglio, la prima traccia è Radioattività, che insieme a Messaggi a nessuno e Estate ha ritmi lenti e atmosfere più cupe. Si va dai rimpianti di amori finiti con allo sfondo pericoli di disastri nucleari a riflessioni personali dell’autore sul suo rapporto con gli errori; l’artista lascia intravedere la sua intimità.
“Poi riderò di me perché ho finito le lacrime / come sempre farò del mio peggio perché è quello che ti aspetti da me”
(Da “Messaggi a nessuno”)
La terza traccia, Piove, finalmente piove, così come Undici, Emilia parallela e Aria fredda del nord, si presenta decisamente con ritmi diversi, interrompendo l’atmosfera lenta della prima parte dell’album. I testi sono delle scaglie insofferenti e dirette verso situazioni attuali e verso svariati atteggiamenti della gente. L’artista non usa giri di parole e d’altronde chi lo segue da un po’ dovrebbe già conoscere questa sua caratteristica. Segue Fuochi supplementari, brano con ritmo andante dai toni ancor più pessimisti rispetto ai precedenti, in cui il cantautore esorta ad accendere tanti fuochi – che potrebbero essere interpretati anche come delle metafore – tanti quanti le situazioni della vita che cita.
“Essere felice è facile, basta non essere me”
(Da “Fuochi supplementari”)
Da segnalare Danza della pioggia e del fuoco e Mille non più di mille, canzoni energiche sia dal punto di vista musicale che testuale. Mandate bostik, undicesima e ultima traccia, chiude il disco ritornando su ritmi cauti e sensazioni malinconiche. Un brano che lascia quasi con l’amaro in bocca, sembra sospendere il discorso a metà. Ma forse è proprio questo il punto: le riflessioni spesso accrescono i dubbi e la strada per la verità e le risposte è ben ardua, non facilmente raggiungibile.
Il tempo passa per tutti ma per Giorgio Canali sembra seguire regole diverse: il chitarrista classe 1958 riesce a mantenere un’inspirazione e una vitalità degne di un trentenne. La sua energia, espressa dai suoi riff e dalle sue parole graffianti, riesce infine a trasportare l’ascoltatore. Insomma, seppur non proprio allegro, è un lavoro che merita davvero di essere ascoltato. Piacerà di certo a chi ha sempre seguito l’artista, ma anche a chi ha voglia di qualcosa che sia reale e non fittizio. Saranno anche undici canzoni di merda con la pioggia dentro, ma se è vero ciò che De André cantava nella celebre Via del campo, dal letame non possono che nascere fiori. Inoltre, così rude e vero, l’album risulta forse anche un filo anacronistico confrontato a questo mare di musica disimpegnata e fin troppo leggera che dilaga oggi, un mare in cui spesso non si comunica più nulla. E Canali a tutto ciò non ci sta. Con il suo sound alternative rock e i suoi testi tesi ad intrecciare emozioni personali a denunce sociali, Undici canzoni di merda con la pioggia dentro appare come un fulmine a ciel sereno. Ma va benissimo così. E forse è proprio quello che serve alla musica italiana in questo momento.
a cura di Diego Lupinetti