Quest’anno siamo stati allo Sziget Festival, che ha ospitato nel cast alcuni dei protagonisti della musica italiana. Tra un concerto e l’altro abbiamo avuto l’occasione di incontrare Motta, Galeffi, Willie Peyote e i Gomma: ne sono uscite fuori delle piacevoli chiacchierate sulla musica, i festival, lo Sziget, e l’Italia contemporanea.
Qui trovate la prima parte con le interviste a Motta e Galeffi.
Foto a cura di Alise Blandini
MOTTA
Francesco Motta, in arte Motta, pluripremiato con ben due Targhe Tenco, ha regalato una delle sue migliori esibizioni allo Sziget Festival. Lo abbiamo raggiunto poco prima che iniziasse a suonare sul palco.
Hai ricevuto per la seconda volta il Premio Tenco: come hai vissuto questi ulteriori momenti di gloria?
Bene, bene. Alla fine, questo è l’unico premio che c’è per la canzone d’autore diciamo. Poi vincerne due, su due dischi…Mi viene da dire: “il terzo come cazzo lo faccio?”
Il secondo disco è piaciuto particolarmente perché frutto di un’interiorità molto scavata, ricercata e profonda. Come si arriva dalla Fine dei Vent’Anni ad essere quasi felice? E perché quasi, cosa manca?
Quasi? Te ti soffermi sul quasi, io magari mi soffermo sul felice, insomma… Io a volte ve la butto lì e decidete voi in qualche modo. Un po’ di analisi, non ancora tutta, su me stesso l’ho fatta. Non è che abbia risolto dei problemi che avevo prima. Però, ci ho fatto pace. C’è meno tempo, magari , per pensare ad un certo tipo di problemi e più tempo per pensare a volersi bene, per scegliersi meglio le persone e le cose che ti fanno star bene.
Dopo quest’anno in cui hai vinto, girato un po’ per tutta la penisola e portato in giro la tua musica, ti trovi qui in un festival così importante come lo Sziget. Prima di tutto, che cosa provi? Credi che in Italia si possa replicare una situazione del genere? E cosa ne pensi della proposta artistica dei festival italiani?
Ci ho pensato, sarebbe bello… Qui è organizzato veramente molto bene, io so solo che dal punto di vista tecnico-audio in Italia siamo fortissimi e bisogna vantarsi di questa cosa. Qui l’organizzazione comprende tutta la città con tantissimi concerti, mi piacerebbe. Per quanto riguarda me, oggi mi piacerebbe cantare anche per gli stranieri in qualche modo, non penso che il mio concerto più del disco sia strettamente legato al testo, si percepisce un racconto. Prima, non volendo paragonarmi a Bob Dylan, dicevo che a me venivano i brividi su Blowin‘ In The Wind pur non sapendo una parola di inglese, e c’era un motivo. Spesso percepisci solo la forza emotiva che c’è. Ovviamente poi quando l’ho tradotta ho capito perché mi erano venuti i brividi, ma lì per lì non l’avevo capito. Ho parlato del più grande di tutti, ma ad un mio concerto c’è tanta musica no? Per cui potrebbe piacere…
Beh, per dire la solita frase smielata, la musica è un linguaggio internazionale…
Sì, anche le parole. Anche il testo è un linguaggio internazionale, forse.
Hai citato Dylan che è l’autore della canzone per antonomasia. Viviamo tempi in cui un certo tipo di pop ci ha un po’impigrito. Di recente ti sei esposto su temi sociali anche su Facebook, cose non combattute e dibattute dai musicisti…
Cose banali, banali. Purtroppo, forse non per tutti. Ho sentito anche che a volte può sembrare retorico parlare di certe cose, di Matteo Salvini. A me sembra stupido dire che è retorico parlare di certe cose.
Secondo te nel ruolo dell’autore e dell’artista c’è anche questo?
Secondo me è il ruolo di qualsiasi essere umano, se poi ha più persone che ti ascoltano hai di conseguenza più responsabilità. Ma tutti dovremmo avere la responsabilità di capire che ci troviamo in una situazione difficilissima e pericolosa.
Andando oltre la situazione politica italiana, cosa pensi della situazione musicale invece? Anche qui ci sono numerosi artisti italiani emergenti, giovanissimi. Cosa pensi anche di questo nuovo pop? C’è qualcuno che apprezzi o ti piace in particolare?
Non faccio nomi. Dico solo che è bello sapere che c’è una maggiore attenzione da parte del pubblico e magari una maggiore consapevolezza.
C’è qualche artista nella line up dello Sziget con cui vorresti collaborare anche ipoteticamente?
[ride] Per mia ignoranza devo dire che ascolto pochissima musica. Ieri ho visto Desiigner e mi sono divertito tanto. Sono arrivato ieri sera e non ci ho capito un cazzo, ho visto lui perché sono arrivato a quell’ora. Oggi direi che devo fare dei giri.
Dopo tanti anni di gavetta anche con i Criminal Jokers, il tuo esordio da solista con La Fine dei Vent’Anni è stato un successo: hai fatto sold-out praticamente in tutta Italia, ti aspettavi un riscontro del genere o almeno te lo sentivi?
No no, per nulla. Anche perché non penso che la Fine dei Vent’Anni sia così diverso dal disco che ho fatto con il gruppo. Però, in un qualche modo ho trovato un linguaggio mio e questa è stata la salvezza. Ovviamente non me l’aspettavo, ma c’è stato un momento in cui io e Riccardo Sinigallia abbiamo detto “ci piace”. E io e lui insieme che diciamo che ci piace qualcosa, capita veramente molto spesso.
Ti è mancato Sinigallia nella produzione di quest’ultimo disco? Anche se con Taketo Gohara…
Ma in realtà in un modo o nell’altro c’era, mi ha dato talmente tanti consigli che c’è stato… lui mi ha detto che ero pronto a fare un passo in più, quello di fare una coproduzione. E Sono contento, soprattutto di esserci di più, diciamo.
Un’ ultima domanda: questo disco, come anche tu hai detto più volte, ha una forte componente emotiva. Riesci a commuoverti ancora o portandole in giro le vivi con più distacco?
Io, non so quanti concerti ho fatto sin’ora, forse una quindicina e ti giuro, ti giuro che non c’è stata una volta che non ho pianto su Mi Parli di Te.
GALEFFI
Galeffi è giovane, ironico e sfrontato. È una delle punte di sfondamento del nuovo pop italiano che sta riempiendo le line up di moltissimi festival sulla nostra penisola. Un ragazzo determinato, fiero di essere romano e di suonare pop. Un super fan di Totti, Cremonini e dei Beatles con all’attivo un solo album d’esordio: Scudetto. Album con cui sta girando per i circoli di tutta Italia e sta facendo innamorare migliaia di ragazze grazie alla semplicità con cui scrive d’ amore oggi. Lo abbiamo incontrato dietro il LightStage, palco riservato a tantissimi freschi artisti italiani allo Sziget Festival e ci abbiamo chiacchierato un po’.
Abbiamo letto, ovunque che sei uno dei nuovi esponenti della “Nuova Scena Indie Romana”. Ti rivedi in questa descrizione?
Mah, se me lo dici tu, sì. [ride] Non va bene come risposta? Scena romana? Beh, sì alla fine mi fa piacere, se dicono così vuol dire che sto andando bene. Di base sono fiero di essere romano, nato a Roma, e romanista. Poi tutte queste etichette però che appioppano alla gente fanno un po’ ridere ormai, sono un po’ superate, Indie, Scena Romana. Basta con questa cosa dell’indie… Vorrei invece che si accellerasse sul discorso pensioni per chi fa questo mestiere da anni,non faccio nomi, tipo Pausini… tanto i loro soldoni ormai li hanno fatti ed ora che ci lascino un po’ di spazio, un po’ di fetta da spartirci tra noi. Che sia chiaro, ad una certa andremo anche in pensione.
Ma dove lo metti Cremonini che riempie ancora gli stadi?
Cremonini deve restare. Perché rispetto a tanta altra gente che campa non rinnovandosi è uno che è riuscito sempre a non vendersi, facendo sempre musica di qualità ma raccogliendo comunque una grande parte del pubblico, arrivare a tanti senza mai scadere. Il dono di Cremonini è questo. Poi io sono un malato di Cesare, guarda qui il tatuaggio di Squérez…
E qual è secondo te il suo segreto, che poi immagino sia quello che ricerchi anche tu…
Ma magari, il mio obiettivo è stare nel mezzo, perché comunque la fama è figa. Non confondiamo la fama però con la qualità artistica, perché intervengono nel mezzo vari fattori che non possiamo neanche noi controllare, noi comunque dobbiamo fare bene il nostro. Il segreto è non accontentarsi, studiare, come nella vita: non sedersi mai troppo, sedersi per riposare ma poi ripartire subito. Conoscere persone, imparare nuove cose, mettersi a lavorare, a cercarsi.
Meno di un anno fa sei partito con questo progetto, suonando nei circoli. Circoli che adesso riempi sistematicamente, dove ti vedi nel prossimo futuro, stai già lavorando a qualcosa di nuovo?
Il tour estivo finirà a settembre, poi credo uscirà una nuova canzone, faremo qualche altra data finale. Poi sono impaziente di tornare in studio, visto che ho già praticamente scritto metà del nuovo album, ma sono anche curioso di vedere il riscontro del pezzo nuovo che è un po’ un antipasto. Ho in mente un po’ di cose nuove e strane, adesso vediamo perché ho solo delle idee, ma devo vedere come vengono arrangiate. Se devo fallire voglio fallire a modo mio come mi piace.
Per quanto riguarda invece questo primo lavoro, sei soddisfatto o sei conscio che potresti fare meglio?
Fare meglio sempre. Più che soddisfatto sono fiero, perché non mi ha regalato niente nessuno. È uscito il disco a fine novembre ma io suono questi pezzi da tre anni in giro per Roma. Prima pagavo gli amici per venire, adesso la gente paga. Poi non è di certo arrivata l’etichetta appena finito il disco e per un qualche motivo X sono uscito fuori. Mi hanno scritto un po’ di etichette perché da solo, “da toro” ho girato, mi sono messo a suonare da anni e di questo sono super fiero. Poi se le cose continueranno meglio, se no torno in pizzeria.
Quando è nato il tuo interesse per la musica e quando hai iniziato a credere veramente in questo progetto?
I miei genitori sono stati bravi a farmi sentire i loro rispettivi gusti musicali. Mio padre è quello più colto, nel senso che ha degli ascolti che vanno dal jazz, al soul al prog, Area, Pink Floyd… Mia madre invece è una poppettara, le piace la Mannoia, Tiziano Ferro, gli Oasis e Modugno. Io sono un mix, mi piace essere pop perché mi piace la canzone, mi piace cantare, però ho anche gusti più raffinati. Per quanto riguarda l’approccio alla musica, ho iniziato al liceo, scrivendo le prime rime perché facevo rap.
Facci un freestyle…
No no, ho smesso perché sono una pippa. Il rap, secondo me è accessibile a tutti. Se non sai fare nulla inizi dal rap nel senso che scarichi una base e fai due rime.
Mentre il pop?
Il pop è la cosa più difficile, in un attimo risulti un coglione, quindi sei come un equilibrista. La semplicità è complessa, farlo bene è difficile, farlo a cazzo è la cosa più semplice. Una volta che ho scoperto che mi piaceva scrivere, ho preso lezioni di canto, una volta che ho imparato a cantare, mi sono guardato i tutorial su Youtube per capire come funzionavano gli accordi e ho imparato a suonare un po’ di strumenti, poi ho fatto un po’ di progetti tutti mezzi finiti male e questo sta andando bene. Il mio primo live però l’ho fatto nel 2011, quindi sono sette anni che suono dal vivo.