I ragazzi di Acieloaperto questa estate ci stanno regalando delle vere e proprie perle, anche se stavolta più che di perle si dovrebbe parlare di viti e bulloni, perché lunedì hanno portato in Italia i Black Rebel Motorcycle Club. E noi ci potevamo perdere un motoraduno nella Rocca Malatestiana di Cesena?
Vecchia ferraglia su ruote, motori rumorosi, orecchie e culi sfondati, giacche di pelle sopra la pelle nuda ed eccessi di ogni tipo. Eccessi di velocità, alcol e comportamento. Negli anni ’50 i bikers californiani terrorizzavano l’America, tanto da costringere lo stato a ordinare di arrestare preventivamente ogni motociclista che passava dalle strade del paese. Erano gli Hell’s Angels MC, Outlaws MC, Bandidos MC e i Pagans MC. MC non nel senso più conosciuto ora, quello dei rapper, dei vocalist che raccontano storie di sesso, droga e violenza in rima. MC come Motorcycle Club, un gruppo di persone che facevano della violenza la loro occupazione principale, senza tante rime e fronzoli. E il rock, da sempre, è stato il più fedele compagno di questa gang di barbe e capelli unti, con i quali condivideva la sfrenatezza, la potenza, la fisicità e il rumore assordante.
Dopo oltre 50 anni molti di questi club esistono ancora, diffondendosi in tutto il mondo ma, in qualche modo, più addomesticati. Ogni cosa selvatica, in fondo, o viene ammansita o rischia di finire distrutta. Ma alla fine va bene anche così, ormai fa parte del folklore americano andare sulla Route 66 e vedere il motociclista in giacca di pelle con il tatuaggio “I Love Mum” sul braccio. Te lo aspetti quasi come vedere a Parigi qualcuno uscire da una boulangerie in maglia a righe bianche azzurre con una baguette sotto l’ascella. Ma al di là di questi travestimenti patetici una cosa è rimasta, l’unica cosa che di legale avevano i club, il rock’n’roll ed è da ormai 20 anni che i più importanti interpreti di questo sono i Black Rebel Motorcycle Club.
Tre sono i fondatori: Peter Hayes, Robert Been e Nick Jago, ora sostituito da Leah Shapiro. Ma il Club ha subito avuto seguito in tutto il mondo, persino a Cesena, tanto da riuscire a riempire la splendida cornice della Rocca Malatestiana.
Il trio californiano accende i motori con Spook, Little Thing Gone Wild e King of Bones, tutti tratti dall’ultimo lavoro in studio Wrong Creatures e fanno capire subito al pubblico che nonostante siano passati 17 anni dal primo album, e il contachilometri non ha più caselle libere da quanta strada hanno fatto, la loro ferraglia continua a far casino eccome. Ma gli anni passano e un po’ si vede. Peter e Robert sembrano distanti, sono letteralmente posizionati agli angoli opposti del palco come se non volessero nemmeno rivolgersi uno sguardo. Ognuno per la sua strada, due rette parallele, eppure perfettamente coordinate. Sembrano una coppia che dopo tanti anni non si sopporta quasi più, ma non riesce a fare a meno di stare insieme. Non hanno più bisogno di guardarsi in faccia per capirsi, sanno già quello che devono fare e quello che succederà, una coppia ancora capace di essere delicatissima, come in Haunt, o furiosa, in Conscience Killer.
Dopo una breve pausa Robert torna sul palco, questa volta in veste di chitarrista, e interpreta in solitaria un’emozionante Dirty Old Town di Ewan MacColl, grande classico folk anni’50 inglese. L’intermezzo acustico, uno dei momenti più belli e inaspettati del concerto, continua con Complicated Situation, in una versione quasi dylaniana, chitarra, voce e armonica. Ancora una volta pochi fronzoli ma tanta sostanza.
Ora è il momento dell’ultima parte, in cui i motori dei Black Rebel, ormai roventi, possono dare il massimo. Si torna alle chitarre elettriche e ai vecchi album. Let the Day Begin, Love Burns, Six Barrel Shotgun, fanno impazzire il pubblico. A questo punto sembra che sia arrivato il momento dei saluti e Robert chiede al pubblico che ore sono. Si risponde da solo: “Non importa a nessuno, vero?”. Il concerto va avanti, sfora i minuti, sfora i decibel, la motocicletta dei ribelli va su di giri. I volumi improvvisamente si alzano, diventano eccessivi, spacca timpani. Spread Your Love e Whatever Happened To My Rock’N’Roll (Punk Song) chiudono il concerto dopo un crescendo di intensità che ha messo a dura prova le valvole surriscaldate degli amplificatori. Io torno a casa con le orecchie sfondate, non riesco nemmeno a sentire parlare chi è di fianco a me. Questi ragazzacci californiani, dopo quasi 20 anni sulla strada, hanno ancora dei ferri potenti e non danno proprio l’impressione che il loro viaggio si interromperà a breve. Ma una domanda bisognerebbe fargliela, come diavolo fanno a resistere quasi tutto il concerto con i giubbotti di pelle addosso in piena estate?
Fotografie di Lorenzo Pasquinelli