Fotografie a cura di Carolina Alabrese
Il Ferrara Sotto le Stelle è uno dei festival italiani a cui siamo più affezionati. Piazza Castello, anche se a volte si trasforma in una fornace, è una cornice perfetta, perfetta per il pubblico, perfetta per le band che ogni volta colpiti dalla location danno sempre qualcosina in più. Le lineup proposte sono sempre eccezionali e capaci di alternare artisti italiani e internazionali, band ricercate e i nomi del momento. E questa volta tocca ai Kasabian, una band che non ha bisogno di presentazioni.
La band di Serge Pizzorno, tutti conosciamo le sue origini italiane, sale sul palco accompagnata dalla musichetta che anticipa i cartoni della Walt Disney. Sarà forse uno scherzo? Spero di sì, anche perché non riesco a trovare altra spiegazione. I Kasabian si fanno subito perdonare, iniziando a scaldare il pubblico con una cinquina furente. III Ray (The King), Underdog, Days Are Forgotten, eez-eh in medley con You’re in Love with a Psycho. L’atmosfera diventa subito rovente e non c’è modo di rifiatare. In fondo i Kasabian dal vivo sono sempre stati così.
Serge e Tom Meighan hanno un’alchimia pazzesca, si continuano a cercare, strusciare, a guardare negli occhi. A tratti ricordano i classici duetti pop in cui i due cantanti, di solito uomo e donna, spalla contro spalla, cantano parole d’amore guardandosi negli occhi e flirtando con lo sguardo. Una cosa del genere, però in versione rock’n’roll. Vanno avanti con Man of Simple Pleasures, ancora un pezzo da cantare a squarciagola e il vecchio classico Club Foot. Un pezzo incendiario, soprattutto nella sua versione live, che mi riporta indietro nel tempo, alle prime volte che ho visto i Kasabian dal vivo e mi rendo conto immediatamente che qualcosa nel concerto di martedì sera non torna.
Incongruenze (1)
Appena arrivato in centro a Ferrara, la città mi è sembrata più affollata del solito. Non faccio in tempo nemmeno ad arrivare in piazza della Cattedrale che capisco il motivo. La fila per entrare al concerto inizia da lì, i Kasabian hanno ripopolato Ferrara, che come molte città dell’Emilia Romagna in questo periodo dell’anno tendono a svuotarsi inesorabilmente per colpa del caldo. E, fin qui, non c’è nulla di strano, la band inglese è abituata a firmare sold out in quasi tutte le date italiane, specialmente dopo l’enorme successo degli ultimi due album. Ma subito noto una cosa che non quadra: nessuno indossa la maschera da teschio, che per anni è stato il simbolo del fan club italiano dei Kasabian e che a ogni concerto ricopriva praticamente la metà dei visi che incrociavi.
Incongruenze (2)
Non ho visto nessuno pogare. Poco importa direte, però mi fa strano vedere una band che solo pochi anni fa ha dovuto interrompere un concerto a Milano dopo il pezzo di apertura perché il pubblico a furia di saltare a muoversi aveva sfondato le transenne protettive. Ora sembrano tutti più carichi per ballare e cantare, ma di muoversi e sudare non se ne parla.
Ogni tanto capita di andare a concerti in cui non ti riconosci, o che dopo anni di assenza non ritrovi più l’energia di prima. E non parlo di una band che invecchiando ha perso lo smalto, anzi, ma del pubblico che è cambiato radicalmente. È come se la platea di un film di Quentin Tarantino all’improvviso rimanesse di stucco di fronte a una scena di violenza gratuita e fosse al cinema nella speranza di vedere una commedia leggera. Oppure, come se il pubblico di Mario Biondi all’improvviso iniziasse a presentarsi ai concerti in giacca di pelle borchiata e iniziasse ad aspettarsi assoli di chitarra elettrica invece dei famosi e natalizi vocalizzi “shailalailailalaa”. Dico questo, perché il pubblico mi è sembrato più propenso alle occhiatine complici al partner sul ritornello di You’re in Love with a Psycho che a scatenarsi sulle note di Vlad the Impaler. Ed è una cosa che, seguendo i Kasabian da tanti anni, mi rammarica. Quello che mi viene da pensare è solo: maledetti singoli, maledetti Spotify e Youtube. Bisogna ricominciare ad andare ai concerti per divertirsi!
Sembra quasi che i Kasabian siano bipolari, che abbiano due anime che possano ancora convivere con qualche sforzo, ma che probabilmente dal prossimo album non potranno più stare insieme. Un’anima pop, legata soprattutto all’ultimo lavoro in studio, ricco di singoloni da ballare e cantare come Wasted, You’re in Love with a Psycho, Comeback Kid e III Ray (The King). E un’altra anima, quella dei primissimi album, quella delle chitarre Rock macchiate dalle sonorità rave dei sintetizzatori. Queste due realtà riescono ancora a convivere, grazie alle chitarre di Serge che continuano a macinare riff e sonorità che strizzano l’occhio agli anni ’70. Ma si sentono anche i primi segnali di conflitto, per prima cosa nella scaletta. Infatti, è mancato quasi totalmente il secondo album della band, Empire, proprio quello da cui è iniziata a delinearsi la loro musica, un sound esclusivamente british, che riusciva a unire perfettamente i Beatles agli Oasis e ai Prodigy.
Il pubblico, purtroppo (ma questa è solo la mia opinione), sembra di consigliare alla band inglese di proseguire verso la direzione pop, più danzereccia e meno sudata. Io spero invece, che ci sia un ritorno all’energia iniziale, e il gran finale del concerto con Fire mi fa ben sperare. Il pubblico finalmente, anche se troppo tardi, si lascia un po’ andare, anche perché non potrebbe fare diversamente, Tom e Serge sono troppo bravi a coinvolgere e a caricare gli spettatori. Un finale così è come un fuoco che fa tabula rasa, che distrugge ma per dare spazio a qualcosa di nuovo. Come un incendio in un campo curato e perfetto che dà spazio a nuove piante, alberi selvatici, autentici e rock’n’roll.