Immaginate una casa vecchia e isolata in mezzo ai boschi, una notte senza luna dove ogni cosa – il parquet che scricchiola, le foglie che cadono sotto la forza del vento, il verso di qualche animale in lontananza, la goccia di un rubinetto del bagno che perde, finanche il vostro stesso respiro – è l’elemento sonoro di un terrore che inizia a stringervi sempre di più un nodo alla gola, facendovi precipitare in un senso di angoscia crescente, sospeso tra il desiderio di accendere una luce e la paura di ciò che a quella luce potrebbe apparire. Ecco, se siete riusciti a immaginarlo saprete come suona Hereditary, ultima fatica di Colin Stetson, uscito a giugno per la Milan Records.
Hereditary è, a tutti gli effetti, una colonna sonora che più che accompagnare l’omonimo film diretto dall’esordiente Ari Aster con Toni Collette (uscito negli USA lo scorso 8 giugno, è stato accolto in maniera entusiasta dalla critica e ha già incassato fino a sei volte il budget iniziale) ne è diventata in qualche modo personaggio ulteriore, «incarnazione del male» come da richiesta dello stesso regista.
Colin Stetson ha avuto la possibilità di lavorare sul film finito, già montato e, alle prese con una soundtrack di un film horror – probabilmente uno dei generi più codificati dell’arte dell’accompagnamento musicale cinematografico – ha scelto di seguire la direzione, per lui ormai consona ma certamente impervia, di abbandonare ogni strada battuta per vestire le immagini sul grande schermo con un’idea molto più personale di musica. Allo stesso tempo, ben conscio del canone compositivo, sembra essersi quasi divertito a giocare con lo stile (tanto che addirittura nel comunicato stampa ufficiale si parla di archi che non ci sono, sostituiti da clarinetti in overlay) nascondendo lungo tutta la partitura brevi indizi dalla forma classica che funzionano quasi come un filo nascosto per poi affidarsi tanto alle forme della composizione colta quanto all’estrosa genialità di un approccio da improvvisazione per sparigliare completamente le carte. Bandite dunque cantilene, echi lontani, facili suggestioni romantiche, ecco entrare prepotentemente, invece, progressioni che si spengono prima del consueto climax cui questo genere di musica ci ha abituati, alternando momenti da ambient music – asciutti e tesi – ad altri, caratterizzati da una ripetizione ciclica che si fa quasi minimalismo diabolico, cupo e avvolgente.
È una musica – quella presente in Hereditary – capace di dialogare e riflettere sui concetti di silenzio e di vuoto e, naturalmente, in maniera speculare su quelli di suono e materia come elementi in grado di occuparne lo spazio. Più ancora di altri lavori, la soundtrack di Hereditary è musica del tutto funzionale al film eppure proprio in assenza delle immagini si fa – grazie alla libertà dell’immaginazione – musica dall’incredibile impatto evocativo. Questo disco così profondamente notturno, ascoltato a occhi chiusi, permette di vedere quasi il suono che entra come materia dalle finestre, che si insinua al di sotto delle porte e che sembra capace di alterare le sfumature dell’oscurità. Con i suoi settanta minuti non mostra alcuna fretta e, anzi, per gran parte della sua durata lascia quasi l’ascoltatore in una condizione di sospensione concedendo solo improvvisi e fugaci cambi di scenario, come prefigurazioni dell’orrore, sentori, sensazioni anomale dentro a un paesaggio quasi composto e ordinario.
Ma la quiete, lunga, lunghissima di pezzi come Steve servono a creare un’atmosfera che, in un crescendo, vede Peter come l’ingresso di sempre più chiare inquietudini e nella brevissima Chasing Peter la porta noise del terrore più puro che conduce fino a Reborn che, al netto di pochi secondi di chiusura del disco, rappresenta il punto di arrivo dell’intero percorso: in quattro minuti – e riprendendo un leitmotiv che con la sua progressione di accordi ricorda l’incipit di Casta Diva di Bellini – Stetson costruisce dapprima una fanfara che attraverso uno stridore di campanelli spinge verso un incedere à la Tuba Mirum dal Requiem di Verdi per poi lasciare letteralmente piovere una cascata di note dal sassofono.
Hereditary è un impasto sonoro scurissimo, suono puro proprio perché materico, pece gettata sul muro di una stanza buia. È materia viva che Stetson ancora una volta plasma magistralmente restituendo agli strumenti a fiato che suona (il sassofono basso su tutti) uno spessore che non è eccessivo definire come corporeo. Il suono di Stetson è, infatti, quanto di più lontano da una dimensione eterea. I fiati sono, anzi, per il musicista del Michigan – collaboratore di Arcade Fire, Bon Iver e Tom Waits – un’estensione dapprima del suo respiro (impressionante su questo come nel precedente All This I Do For Glory la sua tecnica di respirazione circolare) quindi del suo corpo, grazie al posizionamento dei microfoni che, oltre a concedergli peculiari effetti, rilevano in presa diretta il suono delle dita e delle chiavi, dando così ai fiati un’ampia gamma di sonorità percussive.
L’uscita del film nelle sale italiane è prevista per il 25 luglio, nell’attesa questo è il disco perfetto per accompagnare le caldi notte estive agitate dagli incubi.