Karl Ove Knausgård è norvegese, e ci ha già raccontato come la geografia dei luoghi possa essere un punto di vista relativo. Che quello che qui chiamiamo Nord – o tendiamo ad associare all’idea di Nord – lassù nelle terre scandinave è più Svezia di quanto non sia Norvegia. Che anche se la Norvegia è geograficamente più in alto, conserva un’anima da paese del Sud, che il norvegese a contatto con il metodico svedese conserva una sua forza irregolare. Quel sentimento di straniero che dalla Norvegia migra in Svezia, Knausgård se lo porta dietro da un po’, e anche se qui nel Mediterraneo ci perdiamo nell’equivoco che le terre di lassù siano tutte identiche, una lunga passeggiata lungo i fiordi e le aurore boreali con lo sguardo rivolto al vuoto, una delle capacità dello scrittore norvegese è quella di scavare tra le impercettibili differenze che raccontano le identità dei paesi scandinavi. Stavolta lo fa con una saga letteraria che si muove al ritmo delle quattro stagioni.
L’estate raccontata da un norvegese che vive in Svezia non ha esattamente gli stessi sapori e colori di un’estate mediterranea. Non troverete il mare caldo e le spiagge affollate, ma l’oceano nordico, non ci saranno ciliege e varietà di pesca, ma ribes rosso e betulle. Il paesaggio si muoverà secondo un movimento scandinavo, un vento misterioso ci trapasserà mentre dai caldi maglioni passiamo ai pantaloncini corti, e ci perderemo nei ricordi, nelle parole, negli oggetti e negli sguardi attenti della penna di Karl Ove. Summer è il capitolo finale dei quattro movimenti di stagione scritti da Knausgård, un’odissea sulla circolarità di un intero anno composta nel 2016, ora tradotta in inglese per intero da Penguins. Al solito Knausgård è impietoso nel raccontare se stesso con una sincerità che disarma: dopo essersi messo a nudo nell’autobiografia letteraria La mia lotta, ora rivolge le sue meditazioni all’ultima figlia – che in Autumn era ancora nel pancione della madre – raccontandole il mondo in cui siamo impicciati tutti quanti, attraverso le parole che significano i piccoli oggetti quotidiani che ci circondano, e la natura, in tutto il suo splendido movimento che cambia – e torna – di stagione in stagione.
E così ci perdiamo tra gli odori di barbecue nelle città scandinave d’estate, e gli incontri con i pipistrelli, che a volte entrano anche in casa – ma a tutti noi sarà capitato di avere a che fare con un pipistrello in casa prima o poi, quel che forse è più tipico di un ambiente scandinavo è l’incontro con un lupo. Sullo sfondo, la natura è senza tempo: Knausgård racconta che mentre nei ’70 si passava dal glam al post-punk, dai maglioni larghi alle Doc Martens, le betulle impavide attraversavano tempi ed epoche senza mai fermarsi, mosse solo dal vento, sotto ogni condizione climatica. Le notti estive, i pomeriggi estivi – ci perdiamo un po’ tra i vecchi amori di Knausgård, quelli finiti che anticipavano il sodalizio con Linda. Tra tele di Munch, e dissertazioni sull’intelligenza, vecchi ricordi di scuola e ascolti adolescenziali di Sting, catapultati fin giù all’infanzia, a bordo di barche sulle isole norvegesi, Knausgård ci rassicura: questa vita non cambia, è sempre la stessa da milioni di anni, e i nuovi nati prima o poi lo scopriranno. Scopriranno che il movimento delle stagioni è inarrestabile, e che la luna lassù non governa le tempeste. Scopriranno come chiamare le cose con i propri nomi, gli oggetti saranno sempre più definiti e complessi, difficili forse da “significare”, sempre più numerosi man mano che va avanti la tecnologia e le sue scoperte. Ma poi alla fine la natura sarà sempre lì ferma, più eterna di un’opera d’arte.
Ora, Knausgård può provocare un doppio effetto. Da un lato abbiamo grandi entusiasti come Zadie Smith che ha definito i suoi libri un vero e proprio crack, una lettura di cui drogarsi. Altri si domandano perché mai dovrebbe essere interessante leggere quel che diavolo ha da scrivere un uomo norvegese di mezza età su buste di plastica e piogge estive, sul vocabolario di oggetti collezionato dall’umanità, su insetti e movimento delle stagioni. Perché dovrei interessarmi a una neonata appena nata, alla lettera di benvenuto al mondo, alla frustrazione di un padre scandinavo alle prese con il cambio di pannolini mentre riflette sull’universo-mondo? Ma in fondo è in questo che consiste la letteratura: illuminare il particolare della vita umana rendendolo universale. Nella storia di Knausgård, nel movimento aperto degli anni separati dalle stagioni, siamo tutti compromessi. Oltre le mode che cambiano, passano, si inseguono, raccontano lo spirito dei tempi, beffeggiano con la politica e la morale, c’è un intero mondo che non passa mai, e laggiù lo senti gridare sin dall’antica Grecia, fin dai babilonesi, dall’impero romano crollato fino a qui – all’uomo contemporaneo, perduto nella mite estate scandinava. Benvenuta estate ancora una volta, con tutta la meraviglia che ti porti dietro.