Le foto sono a cura di Veronica Alba
Nell’aprile del 1992 i Beastie Boys uscivano con il loro terzo LP dal programmatico titolo Pass the Mic, pratica, quella del passaggio del microfono fra un mc all’altro, tipica del rap old school (per rinfrescarvi la memoria potete dare un occhio qua). I narratori, introdotti uno dopo l’altro in base a un ruolo specifico (I’ll pass the mic to D for a fistful of truth o And now I’d like to pass the mic / To Adrock, c’mon and do anything you like) che diventa parte stessa della narrazione. Disco programmatico diviso in due parti i Beastie Boys andavano a portare una tecnica tipica delle crew alle prime armi nella discografia comune, introducendo un concetto, quello del ruolo dell’mc, in una fascia che difficilmente poteva accedere alle notti del Bronx dove i gruppi di parolieri si scambiavano il ruolo per intrattenere pubblico e breaker. Con questa idea è nato MiC, il primo esperimento italiano di musica in contemporanea, nel tentativo di estendere la fruizione ai concerti di diverse città a un fattore comune, in termine di tempo e di fruizione comune. Capita così che mentre noi siamo a Parma, a centinaia di chilometri di distanza, a Milano o Padova, altre persone come noi stanno vivendo la stessa esperienza. Un’estensione interessante della formula concerto, del trovarsi in un punto preciso ma essere, in qualche modo, in comunicazione con altro. Alla maniera dell’Earth Hour Day, quando le luci si spengono in tutto il mondo e il pianeta può, simbolicamente, rifiatare. Un’interazione diversa che ha a che fare coi gesti di persone di meridiani e paralleli di distanza che trasformano tutto in una grande e nuova comunità.
Ci troviamo al WoPa di Parma, un capannone figlio di un progetto di riqualificazione che cerca di dare un nuovo valore a spazi prima vuoti e riempirli di arte e partecipazione. Il posto è, effettivamente, incredibile. Gli interni sono ampi e paradossalmente infiniti per le possibilità che offre. Ad aprire questa edizione di MiC tocca alla nostalgia glam degli Alley, band di Brescia con all’attivo un paio di EP e la vocazione a glitterare ogni esecuzione, dal punto di vista musicale e tematico. Spingono sulle schitarrate, intervallano col sax e i duetti di voce, opportunamente in contrasto per creare ambientazioni cariche e distanti, cronologicamente, da quello che non passa più dai grandi stereo in formato Principe di Bel Air ma dagli Ipod e da un ascolto sempre più individuale. Uno dei muri che il MiC, per come è concepito, tende a voler abbattere, così come i Beastie Boys nel dare alla voce degli mc caratteristiche più umane non solo macchine produttrici di barre sarcastiche. Dopo quasi un’oretta dal glam si passa alla rabbia malinconica dei Tiger! Shit! Tiger! Tiger! una delle band che nel nostro paese vivono in uno stato di oscurità ed esilio inconcepibile, forti come sono sui passaggi di batteria e la densità del basso, dai richiami alla scena newyorchese CBGB a quelli più postpunk ed emo. Contraltari di un songwriting delicato, dubbioso e dal sapore dell’impellenza post-adolescenziale. Trovare un posto per loro è difficile, almeno qui, ma come colpiscono, nonostante il contrasto col soffitto altissimo che tende a perdere certe distorsioni fra cui quella clamorosa della chiusura. Diretti e scomodi.
Dopo una breve sosta, che dedichiamo alla mostra di fotografie e illustrazioni di ABCParma, la televisione sul palco si accende, così come l’intro che preannuncia l’ingresso di Mudimbi, main event di questa edizione ducale. Sprovvisto del dj si esibisce in un live autoironico che ha come centro la propria infanzia e l’inevitabile crescita (il lancio del disco è stato, probabilmente, uno dei progetti di guerrilla marketing più riusciti nel nostro paese, disseminando migliaia di sticker con una foto del rapper bambino in ogni parte della città, do you know?). Fra basi che assimilano la trap e l’elettronica Mudimbi si trasforma, diventa animale da palco, diverte e coinvolge il pubblico che si lascia prendere dal ritmo e dal clima disteso che è in grado di creare fra una rima e l’altra. A seguire la sua esibizione, quando è tempo di rientrare, il live di Medicamentosa e il djset a cura di Alt + SVGO. La prima edizione di MiC si chiude così, preparandoci per un nuovo modo di vivere i concerti a chilometri e vite di distanza una dall’altra.
The name is D, y’all, and I don’t play
And I can rock a block party ‘till your hair turns grey
(So, what you sayin’?) I explode on site
I’m like Jimmy Walker, I’m (dy-no-mite!)