Abbandonati i ricci color lavanda, Annie Clark torna immersa in colori fluo e con un caschetto nero come la pece. Si è fatta precedere da una ben studiata campagna promozionale: conferenze stampa solitarie in diretta Facebook, pillole di un’intervista tra sé e sé su Instagram, tutine leopardate e gambe in nylon rosa su tutte le piattaforme. L’obiettivo è raggiunto: ridestata l’attenzione dei fedeli e degli scettici, MASSEDUCTION può essere presentato al grande pubblico.
Dopo il lancio del primo singolo, ’New York’, si è pensato che St. Vincent volesse recuperare un po’ dell’anima di Marry Me e il fatto che ad aprire il disco sia una canzone come ‘Hang On Me’ non potrebbe che confermare questa impressione.
Sbagliato. La bella e giovane texana non è ancora pronta per una revisione del suo lavoro, ad oggi lungi dall’aver trovato una forma definitiva e, al contrario, in piena fase di sperimentazione – come dichiarato da lei stessa. In compenso, sembra che per questo album si sia concentrata a scrivere le migliori canzoni che potesse scrivere, con l’obiettivo di arrivare dritta al cuore delle cose. Il risultato ha l’aria di una romantica nostalgia del futuro, molto ricca e variegata. Vediamone alcune parti.
‘Pills’ è la seconda traccia di MASSEDUCTION e ha la funzione, mi pare, di scostare la tenda impolverata (anche nel suono) di ‘Hang On Me’ in favore di un orizzonte acustico più ampio. La voce della cantilena è di Cara Delevigne: quando erano ancora rose e fiori, St. Vincent ha voluto che fosse il suo accento “posh British” a incorniciare quella che sembra la colonna sonora di un colorato musical del decadimento. «Pills to wake / Pills to sleep / Pills pills pills every day of the week» è la filastrocca che racconta la dipendenza da oppiacei, e non solo, di cui molte persone care alla musicista, e non solo, soffrono.
«I can’t turn off what turns me on / Mass seduction / I hold you like a weapon / Mass destruction» recita invece la titletrack, guidata da un beat anni ’90 e dalle chitarre distorte. Nel raccontare la società superficiale e contraddittoria in cui siamo costretti a vivere e l’impossibilità di sfuggire alle regole della condivisione mediatica, è l’unico vero canale di comunicazione con i «digital witnesses» del disco precedente.
Ed ecco ‘Sugarboy’, che potrebbe essere il figlio illegittimo di ‘Enola Gay’ (Orchestral Manouvres in the Dark) e ‘Temptation’ (New Order), cresciuto con l’anima punk di una Siouxsie pettinata e il glamour raffinato degli Arcade Fire. Tutto sommato, quindi, in perfetta linea con l’estetica di Annie Clark.
La traccia che però indossa meglio la firma originale “St. Vincent” è ‘Los Ageless’, a partire dalle scelte liriche e melodiche. Anche nel video – il secondo tratto da MASSEDUCTION – si descrive una sorta di declino personale e collettivo a cui la musicista è evidentemente affezionata e in cui siamo invitati a riconoscerci, quasi venissimo messi davanti a uno specchio. «I’m a monster and you’re my sacred cow» si dice e ci dice, «I can keep running» ma i risultati non sembrano migliorare: «I guess that’s just me, honey, I guess that’s how I’m built / I try to tell you I love you and it comes out all sick / I try to write you a love song but it comes out in a melt».
Segue ‘Happy Birthday, Johnny’, immancabile dolcissima ballad in vecchio stile Clark che parla di depressione, rapporti distrutti, solitudine, risentimento. Nonostante sembra che sia un altro pezzo, ‘Young Lover’, ad essere dichiaratamente dedicato alla super modella inglese, credo sia in parte questo, sotto mentite spoglie, a volerci dire qualcosa riguardo una storia andata male. Ma chi può dirlo davvero?
E non è certamente un caso che ‘New York’ sia stata scelta come singolo di lancio.
«È stata la prima volta che scrivendo ho pensato: “Questa potrebbe diventare la canzone preferita di qualcuno”» racconta St. Vincent in un’intervista. Come darle torto? Una melodia senza tempo per una storia di perdita e sacrificio, ancora una volta personale e collettiva, descritta in parole semplici: vittoria! «I have lost a hero / I have lost a friend / But for you, darling, I’d do it all again», dove l’eroe ha il volto di David Bowie o di Prince o di chiunque sia il famoso «only motherfucker in the city who can stand me».
All’interno della seconda metà del release spiccano poi ‘Savior’, brano midtempo dai tratti R’n’B, e ‘Smoking Section’, scurissima ballad guidata dal pianoforte.
Il giudizio finale su quest’album non può sfuggire alla complessità con cui è stato realizzato, sia nella musica sia nella progettazione del visual.
MASSEDUCTION è un vero e proprio “revival del futuro” così come si immaginava il futuro nei decenni passati, descritto però con il linguaggio tagliente con cui raccontiamo i nostri giorni.
È un album piuttosto manieristico, che più che portare allo scoperto il trascorso emotivo della Clark, ne esalta l’inventiva musicale. Dietro ogni sua parte c’è una bellissima ricerca, compiuta insieme al co-produttore Jack Antonoff e arricchita da collaborazioni come quella con Sounwave ai beat, Kamasi Washington al sax, Doveman al piano, Jenny Lewis e Tuck & Patti ai cori.
È una ricerca che si muove tra new wave, ambient rock e contemporaneo e che rischia, però, di eccedere nella sperimentazione nel momento in cui gli ascoltatori potrebbero non sentirsi coinvolti al primo impatto. Non che questo sia un presupposto fondamentale, ma non si può non tenerne conto.
Dice Annie: «Il disco è pieno di sofferenza, ma il suo aspetto visivo è davvero assurdo. Mi prendo gioco di me stessa, mentre durante l’ultimo tour mi sedevo in cima ad un trono rosa, con un aspetto molto imperioso. Quest’ultimo lavoro permetterà alle persone di vedere che ho un senso dell’umorismo. Se volete sapere qualcosa in più sulla mia vita, ascoltatelo».
Non so se sia riuscita nell’intento di mettere la propria intimità alla mercé del pubblico, ma nella sua eccentricità di forme e contenuti St. Vincent rimane comunque la migliore rappresentante di una delle pieghe più interessanti che la musica sta prendendo, con tutta la sua confusione e le sue commistioni. Solo per il modo in cui ha deciso di approcciare la chitarra, le andrebbe riconosciuto il coraggio, che molti hanno perso, di rinnovare schemi spesso inutilmente (e noiosamente) rispettati.
Che si sperimenti pure, quindi, purché si tenga vivo il meccanismo e lo si faccia con grande cura, come è successo con Annie Clark da Marry Me fino a MASSEDUCTION.