Cinque anni: tanto abbiamo dovuto aspettare per avere di nuovo notizie dei Grizzly Bear, il collettivo di Brooklyn, attualmente sparpagliato da una costa all’altra degli Stati Uniti, saldamente capitanato da Ed Droste fin dai loro esordi. Cinque anni dopo quel piccolo capolavoro, Shields, che nel 2012 aveva confermato le promesse di Veckatimest, consacrandoli tra le band più influenti del pianeta, entrando nelle grazie nientemeno che di Jonny Greenwood dei Radiohead che li nominò come suo gruppo preferito. Attesa alle stelle, indubbiamente con aspettative altissime, per questo Painted Ruins, quinto lavoro licenziato il 18 settembre sotto RCA Records.
Fin dalle prime note del brano di apertura Wasted Acres ritroviamo sonorità che negli anni hanno caratterizzato la band, diventando il loro marchio di fabbrica, così tipiche seppure inafferrabili. Arrangiamenti impalpabili e sognanti, con suoni stratificati, accompagnano melodie catchy che rimangono in testa forti e chiare fin dal primo ascolto: così vale ad esempio per Mourning Sound, Losing All Sense, Glass Hillside.
Anche dove i brani si dilatano in suite psichedeliche e rarefatte (Four Cypresses, Three Rings, Cut-Out), Ed e soci riescono a cavalcare coerentemente sul filo dell’esercizio di stile senza mai perdere il tutt’altro che precario equilibrio, riuscendo, dall’altra parte, a non farci mai abbassare la guardia e di conseguenza, l’attenzione. E se dovessimo fare il gioco della traccia irrinunciabile, con la conclusiva Sky Took Hold tocchiamo livelli altissimi. Il cantato elaborato che da sempre li caratterizza, intriso di variazioni e sovrapposizioni di voci, ancora una volta gioca un ruolo fondamentale nel rendere le loro composizioni eteree ed inafferrabili.
Più proseguo, più mi rendo conto di quanto sia difficile da una parte non eccedere con l’uso di aggettivi, dall’altra racchiudere l’eclettica formazione in un genere. Sono stati definiti indie, folk, pop. Ognuna di queste definizione è giusta, sbagliata, inefficace ed in fine dei conti non esaustiva: i Grizzly Bear suonano semplicemente come i Grizzly Bear.
Cinque anni dicevamo. Un lungo periodo che ci restituisce una band che fondamentalmente non sente la necessità di rinnovarsi, sperimentare o cambiare. Che non è cascata nel tranello della “svolta elettronica” che hanno operato quasi tutti i loro compagni di inizio 2000 che stanno raschiando il fondo del barile. Che non ha bisogno di dimostrare di saper fare altro, perché quello che fa, lo fa benissimo. Painted Ruins è l’ennesimo disco riuscitissimo di una band matura che conosce il proprio stile e i propri punti di forza, e che, senza bisogno di escamotage o colpi di scena, si presenta ancora una volta in piena forma. Come dire, squadra che vince, non si cambia.