Il volto di Jeanne Moreau per alcuni di noi è una dolce ossessione. Ce lo ha mostrato alla perfezione François Truffaut, catturando con la macchina da presa una certa idea di bellezza che poi è diventata nel tempo una specie di icona in bianco e nero.
Jules et Jim esce nel 1962, tratto dall’omonimo romanzo di Henri-Pierre Roché. I film del regista francese mantengono un filo diretto fortissimo con la narrativa, non riescono a staccarsi da quella che è una passione primaria di Truffaut, la letteratura. Se il collega di movimento (parliamo ovviamente di nouvelle vague), Jean-Luc Godard, va oltre provando a sperimentare un linguaggio puramente cinematografico, Truffaut prende dalla narrativa anche quando lascia correre Doinel verso il mare nei 400 colpi.
I volti ispiratori delle muse dei due registi francesi in qualche modo ricalcano questa diversità nell’arte del catturare le immagini in movimento. L’Anna Karina di Godard ha qualcosa di fumettistico, è in qualche modo un volto perfettamente cinematografico. Il volto di Jeanne Moreau racconta anche un certo tipo di rapporto con l’immaginazione che entra in gioco nel figurarsi i protagonisti della letteratura. Potrebbe essere una Anna Karenina o una signora Dalloway: in questo caso è Catherine, perduta tra l’amore di Jules e Jim.
Anche per questo Jeanne Moreau è indimenticabile. “Jeanne Moreau non fa pensare al flirt ma all’amore”, così l’ha descritta magnificamente Truffaut, uno degli immortalatori dell’attrice francese. Non è solo il cinema, il teatro, i film che si rincorrono e la sua lunga carriera se oggi Jeanne appare ossessiva sulle vostre bacheche. È il segno del tempo, l’icona, il nostro modo di marcare il calendario della vita che scorre.
Anche per questo non possiamo chiamarci fuori dal dare il nostro breve e banale commiato all’eterno: ciao Jeanne.