C’è stato un tempo in cui in Italia era vietato diffondere la cultura americana. Se abbiamo accolto e attraversato stili e correnti espressive, in narrativa come in musica, lo dobbiamo ad una donna di cui si parla troppo poco. Lei, appena ventenne, tra il 1937 e il 1941, infischiandosene dei divieti fascisti, si avvicina ad autori ignoti nel Belpaese e dà loro voce e spazio.
Parliamo di Fernanda Pivano, professione traduttrice, o se volete, libera pensatrice e divulgatrice culturale. Al suo nome sono legati quelli di giganti come Edgar Lee Masters, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, William Faulkner, Allen Ginsberg, Jack Kerouac, William Burroughs, Gregory Corso, Henry Miller, Charles Bukowski, Bob Dylan. Con questo articolo, non esaustivo, ripercorriamo le tappe clou dell’esperienza di Fernanda, tappe che hanno influenzato lei e noi tutti. Se dubitate che la scrittura, la passione per le storie possano condizionare le persone e spingerle a costruire mondi, leggete questo articolo.
Comincia tutto negli anni Trenta: in un Paese (l’Italia) dove imperano il perbenismo, la morale, la negazione, una ragazzina assetata di conoscenza non ha nient’altro di meglio da fare che leggere e fare domande. Scopre che dall’altra parte dell’oceano gli artisti raccontano gli esseri umani, la nostalgia, la sconfitta, l’amarezza, la caducità dell’esistenza. Come spesso accade, i percorsi che compiamo sono il risultato della generosità altrui. Fernanda Pivano, genovese, studentessa al liceo classico Massimo d’Azeglio di Torino, ha infatti un professore speciale. Nell’anno scolastico 1934-1935 Cesare Pavese è supplente di italiano nella sezione B e tra i suoi alunni c’è anche Fernanda.
Sono anni cruciali per il futuro della cultura come la intendiamo oggi. Pavese è inviso ai fascisti e viene confinato a Brancaleone, in provincia di Reggio Calabria. Ritorna a Torino nel 1936 e inizia a collaborare con Einaudi per la collana Narratori stranieri tradotti. Non può insegnare nelle scuole pubbliche, ma tiene comunque dei laboratori di letteratura comparata. Fernanda segue i laboratori, imbattendosi nei libri di Hemingway, Whitman, Anderson e Lee Masters. I versi dell’Antologia di Spoon River hanno l’effetto di un detonatore nell’animo della ragazza.
Lo dice proprio la Pivano: “Non c’è dubbio che per un’adolescenza come la mia, infastidita dalla roboanza dell’epicità a tutti i costi in voga nel nostro anteguerra, la semplicità scarna dei versi di Masters e il loro contenuto dismesso, rivolto ai piccoli fatti quotidiani privi di eroismi e impastati soprattutto di tragedia, erano una grossa esperienza” (da Amori letterari di Marialaura Simeone, Franco Cesati editore).
Fernanda traduce l’antologia per gioco. Pavese legge la traduzione e la consegna all’Einaudi. L’Antologia di Spoon River viene pubblicata per la prima volta in Italia nel 1943 ma con una variante nel titolo. L’unico modo per aggirare la censura è infatti scrivere S. River, facendo credere si tratti di un santo. L’azzardo costa caro all’Einaudi che viene commissariata. Come se non bastasse, durante una perquisizione, le SS trovano tra gli scaffali della casa editrice il contratto di traduzione per Addio alle armi di Hemingway. Il contratto è intestato ad un tale Fernando, così durante la retata a casa Pivano, in via Corso Vinzaglio 12 bis, ad essere arrestato è il fratello di Fernanda. La collaborazione tra la Pivano e l’Einaudi sta per diventare un sodalizio. La casa editrice le affida anche la traduzione de L’illusione della filosofia di Jeanne Hersh e di Walden di Thoreau.
Addio alle armi era un libro vietato in Italia. Mussolini nutre rancore nei confronti di Hemingway che anni addietro, in veste di corrispondente dall’Europa per il Toronto Daily Star, lo aveva offeso, ironizzando sulla disfatta di Caporetto. Hemingway viene a sapere del coraggio di Fernanda e vuole conoscerla. Nel 1948 Fernanda Pivano e Ernest Hemingaway si incontrano a Cortina, all’Hotel Concordia. Inizia un’amicizia lunga, basata su uno scambio intellettuale.
Del loro primo incontro racconta Fernanda stessa in Hemingway (Bompiani editore): “L’incontro con lui avvenne davanti a una quindicina di invitati, fu molto commovente: Hemingway attraversò il salone da pranzo vuoto con le braccia tese e mi abbracciò forte come sapeva fare lui, cominciando un’amicizia che durò fino alla sua morte. Il 20 Ottobre 1948, dopo il mio ritorno a Torino, mi scrisse: ti ho trovata carina e bella e anche con una buona testa per pensare. Se c’è un errore che fai, figlia, credo che sia (in letteratura) quello di accettare il combattimento con troppa facilità. Io non rispondo mai a un attacco: non do risposta. Continuo a lavorare. Il lavoro è tutto. A volte (in letteratura) ci si arrabbia molto. Ma non rispondo mai, o meglio, ho imparato a non rispondere. Aspetto che muoiano o che abbiano torto, o tutte e due, o a volte li uccido in silenzio con una frase. Con molto affetto. Mr Papa”.
Intanto l’America esce dalla Guerra con un altro spirito. Nel bel mezzo di un contenimento collettivo e sul ciglio di una rivoluzione culturale, Fernanda Pivano entra in contatto con gli autori della beat generation e se ne fa interprete. Quando On the road (Sulla Strada) di Kerouac esce nel 1959 per la Mondadori, Fernanda Pivano ne firma la prefazione, consegnando ai lettori un cult generazionale.
Fernanda, o Nanda come la chiamano, arriva per la prima volta negli Stati Uniti nel 1956. Entra in contatto con Jack Kerouac e Allen Ginsberg quando i due sono le voci di una sottocultura, di una corrente di pensiero che rifiuta i dogmi universitari e il proibizionismo. Finché la sottocultura diviene una controcultura che affascina centinaia e centinaia di giovani, anche in Italia.
La casa di Fernanda e del marito l’architetto e designer Ettore Sottsass, a Milano, è un viavai di artisti e poeti. Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta la coppia Sottsass – Pivano si fa interprete e amplificatore di espressioni artistiche. I due realizzano anche due riviste: Room East 128. Chronicle, una rivista in tre fascicoli pubblicata tra il giugno e l’agosto del 1962 e Pianeta Fresco, una rivista psichedelica con al centro il tema della non violenza. La dirige anche Ginsberg insieme a Fernanda, mentre Sottsass la illustra.
Ogni volta che Kerouac e Ginsberg (il suo Urlo viene tradotto dalla Pivano per la Mondadori nel 1965) arrivano in Italia sono ospiti di Fernanda Pivano, in contatto anche con Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti e Bob Dylan. Sono anni felici, stimolanti. Fernanda ascolta, assorbe, restituisce cultura. A vederla, giovane e libera, in mezzo a scrittori e a parolieri tormentati, si stenta a credere che non beva in loro compagnia. Resta lucida, inalterabile. Eppure, soffre. Pavese ed Hemingway, due uomini decisivi per il suo destino, si sono tolti la vita. “Il primo si è tolto la vita per poca vita, il secondo per troppa” commenta Fernanda quando le chiedono di questi luminari e amici carissimi.
Nel 1966 Nanda scrive un articolo su Dylan: è la prima volta che se ne parla in Italia e il pezzo viene rifiutato perché considerato di scarso interesse per i lettori. Nanda conosce Bob Dylan, grande amico di Ginsberg, durante una cena al ristorante giapponese Kikkoman Shoyu di San Francisco. Prima di incontrare Dylan, Fernanda e Ginsberg ascoltano Mr Tambourine man al jukebox. Lei si commuove. Inizia la sua devozione per il cantautore.
A chi le domanda di lui, Nanda risponde definendolo un poeta, un poeta che si accompagna in musica. “Dylan rappresenta il secolo americano, con i drammi americani, le speranze americane, i sogni americani, e anche le proposte americane: lui ha fatto delle proposte, non ha soltanto mostrato che l’America stava andando alla deriva, ha anche suggerito che cosa fare perché non ci andasse” spiega.
Intanto, la vita privata di Nanda va a rotoli. Ettore la tradisce con una ragazza più giovane e Fernanda vive un momento di stallo. Eppure, non si perde d’animo. A scaldarle il cuore è l’amicizia con Fabrizio De Andrè. Nel 1971 De Andrè pubblica Non al denaro non all’amore né al cielo, il concept album ispirato all’Antologia di Spoon River e ancora oggi un’opera poetica senza eguali.
Il lavoro, il confronto per la preparazione del disco (qui l’intervista a De Andrè curata dalla Pivano) sigillano un rapporto di stima e di affetto. De Andrè chiama Nanda “la mia sorellina”. Da parte sua, Nanda si infuria quando definiscono De Andrè il Bob Dylan italiano. Vorrebbe il contrario: che fosse Bob Dylan ad essere considerato il De Andrè americano. Anche Morgan, ex frontman dei Bluvertigo, lavorerà con la Pivano per un remake dell’album di De Andrè, riconoscendone la levatura intellettuale. Nel 1972 Fernanda Pivano cura l’introduzione di Blues, ballate e canzoni, la prima raccolta di testi e di traduzioni italiane di Bob Dylan. Per lei Dylan è un genio.
Negli anni Ottanta di Bukowski dirà che è un uomo sensibile, ricalcato dai media a mo’ di personaggio burbero e irruente. Nell’estate del 1980 Fernanda si mette in viaggio per San Pedro, California. Prima di arrivare a casa di Henry Charles Bukowski si ferma a comprare una bottiglia di vino, anche se lei non beve una sola goccia. Lo intervista, ne mette a nudo l’anima. Bukowski le dice che ha simpatia per i diavoli, per i diseredati, cristallizzando un’immagine di lui inedita, più tenera. L’intervista diventa poi il libro Quello che importa è grattarmi sotto le ascelle, pubblicato dalla Feltrinelli.
A metà degli anni Ottanta, Nanda si rende conto che in America prolifera uno stile minimalista post hemingwaiano. Raymond Carver ha raggiunto un pubblico cospicuo grazie ai suoi racconti scarnificati e cinici e Bret Easton Ellis inquieta per i suoi personaggi violenti e annoiati. Nel 1986 Pironti, storico editore napoletano, si aggiudica i diritti per la traduzione italiana di Ellis, avendo la meglio sugli altri editori (la storia è riportata in Libri e cazzotti, il memoir dell’editore).
Nanda telefona esterrefatta e il passo per un sodalizio tra lei e Pironti alla scoperta delle voci americane è breve. Nanda firma per la casa editrice di Napoli la postfazione di Meno di zero, traduzione di Francesco Durante. Ellis, però, in un’intervista rifugge l’immagine di autore cannibale che Nanda gli cuce addosso, dimostrando insofferenza verso le etichette.
Fernanda Pivano e Tullio Pironti si scrivono molto, parlano al telefono. Nanda racconta a Tullio di Carver e di sua moglie Tess Gallagher che frequentavano la sua casa. Pironti ascolta e finisce col pubblicare anche Carver. Nel 1989 esce Voi non sapete che cos’è l’amore, traduzione di Francesco Durante, prefazione di Fernanda Pivano.
“Sembra assurdo, a ripensarci oggi, ma il contratto con Carver venne firmato presso la libreria di Piazza Dante, in occasione di uno dei suoi viaggi a Capri. L’amicizia con Nanda si è protratta negli anni, con una consacrazione finale. La Pivano ha firmato infatti la prefazione della mia autobiografia e alla sua morte io ero là, a Genova” racconta Pironti.
Tre anni prima, nel 1986, Bompiani pubblicava un romanzo che Fernanda Pivano riteneva superiore, capace di incarnare il sentimento e la visione dell’America all’alba degli anni Novanta e, per quel che restava, del secolo. Il libro, ancora un classico, è Le mille luci di New York di Jay McInerney. Negli anni Novanta, e oltre, Pivano e Pironti sono inarrestabili e pubblicano anche Don Delillo. Persino Joan Didion deve la sua fama in Italia alla Pivano.
Nanda (i cui riferimenti biografici sono qui) muore nel 2009, in agosto. La sua eredità è tutta nella nostra testa: le dobbiamo un mucchio di storie, un mucchio di letture. Tutta la nostra America di carta.