Ogni anno è la stessa storia, non facciamo in tempo a riprenderci completamente dalle festività natalizie, dai cenoni, dai panettoni e da tutto l’insieme dei bagordi, che i media cominciano a bombardarci di frasi “perfette” da sfoderare a San Valentino, alternando le pubblicità dei cioccolatini a quelle degli yogurt che sconfiggono il colesterolo e poi a quelle delle pastiglie che neutralizzano la flatulenza. La maratona per arrivare alla festa degli innamorati si è conclusa ancora una volta tra la noia e il voltastomaco il 15 febbraio, quando San Faustino ha tagliato la testa a tutti i tori pubblicitari permettendoci di tirare un sospiro di sollievo, almeno fino all’istante in cui inizieranno a comparire ovunque coniglietti pasquali rivestiti di carta stagnola dorata.
Ebbene, ora che tutto è passato possiamo domandarcelo. Chi festeggia San Valentino? C’è davvero qualche single, fidanzato o sposato a cui importi celebrare questa giornata? Saranno cambiati i tempi, ma l’insistenza del marketing cresce, invece, di anno in anno, puntando su ogni sorta di trend. Basta, per esempio, fare un giro in una libreria di catena o fermarsi in un autogrill per capire quali sono i prodotti di punta del mercato editoriale durante il mese di febbraio. La dieta per campare cent’anni, qualche tomo colorato di Sophie Kinsella o di Anna Todd, una pila infinita di Cinquanta sfumature di nero e l’immancabile, intramontabile, Fabio Volo, adatto a riposizionare perfettamente tutti i tavoli traballanti. Ok, ci abbiamo girato intorno, ma il punto della questione è un altro. Esiste un nuovo tipo di letteratura d’amore che si allontana dai Baci Perugina ed è gradevole anche per chi è allergico alle smancerie. Ne sanno molto bene qualcosa gli specialisti Alessandro Baronciani e Guido Catalano.
Il titolo del nuovo libro di Guido Catalano è esattamente quello che riporta la scritta qui sopra, Ogni volta che mi baci muore un nazista. Sebbene sia passato poco tempo dall’uscita del volume, quest’immagine è la testimonianza del fatto che – come spesso accade in Italia per i libri cult della “tradizione romantica” – abbia già lasciato il segno (però, detto questo, non fatelo a casa o fuori dalle mura domestiche, al massimo su un pezzo di carta). Dopo una breve pausa da romanziere con D’amore si muore ma io no, Guido Catalano è tornato al suo primo grande amore, la poesia, una forma d’arte restaurata, mai morta. È doveroso ricordare, nel caso non sappiate chi sia costui, che il poeta è assolutamente vivente ed è partito in tour il 4 febbraio scorso dal Teatro Colosseo di Torino, la sua città natia. E adesso, a rotta di collo, sta attraversando la penisola registrando un sold out dopo l’altro proprio come fanno le rockstar.
Peraltro, Guido Catalano non è bello, non è alto e non è solito imbracciare nemmeno una chitarra, ma i suoi reading sono pieni di ragazze, di mamme e anche di qualche nonna. E come se non bastasse ha qualche evidente difetto di pronuncia, non ha muscoli e neanche tatuaggi che gli ricoprono interamente le braccia. In sintesi le armi più efficaci di cui dispone sono le risate che genera nel suo pubblico. Se facciamo, però, un passo indietro a qualche anno fa non c’era nulla di tutto questo. I reading di Catalano sono nati attraverso il passaparola e poi nutriti nelle balere, nei circoli Arci e in qualche salotto privato grazie al tam tam dei social network. Mentre ritornando ai giorni nostri, per esempio a Torino, sono arrivate per l’esattezza 1400 persone a sedere compostamente in attesa di sentire le sue storie. E statisticamente parlando è un numero che ha poco a che fare con la poesia.
D’altronde, il discorso circa le sorti della poesia non rappresenta una novità. Nel 1975, durante le celebrazioni per il Nobel, Eugenio Montale poneva un quesito interessante e sempre attuale:
Avevo pensato di dare al mio breve discorso questo titolo: potrà sopravvivere la poesia nell’universo delle comunicazioni di massa? È ciò che molti si chiedono, ma a ben riflettere la risposta non può essere che affermativa. Se s’intende per la così detta belletristica è chiaro che la produzione mondiale andrà crescendo a dismisura. Se invece ci limitiamo a quella che rifiuta con orrore il termine di produzione, quella che sorge quasi per miracolo e sembra imbalsamare tutta un’epoca e tutta una situazione linguistica e culturale, allora bisogna dire che non c’è morte possibile per la poesia.
Le future generazioni probabilmente non studieranno Catalano come abbiamo fatto noi con Leopardi, Ungaretti e Montale, ma qualcuno saprà ricordarlo come uno spicchio di questi tempi inspiegabili, pieni di fenomeni, di post e di storie tremendamente tristi da cui strappare, però, un sorriso. E per certi versi e analogie è anche quello che potrebbe capitare ad Alessandro Baronciani che da qualche mese ha portato FISICAMENTE alle stampe la sua graphic novel Come svanire completamente. Il 15 febbraio, al Circolo dei lettori di Torino, durante la seconda edizione della rassegna In nome dell’amore, (per la quale Baronciani ha disegnato l’illustrazione che è diventata la locandina) abbiamo ascoltato la scrittrice Nadia Terranova intervistare l’artista pesarese.
Lo riportavamo già in un’intervista fatta nel 2013, “Alessandro Baronciani si fa un po’ fatica a inserire in un contesto preciso”, e continuiamo a pensarlo a distanza di quattro anni soprattutto dopo aver capito quanto amore e pazienza abbia messo per realizzare un progetto editoriale di questo tipo, nato grazie al crowdfunding. Nel romanzo a fumetti non abita soltanto Serena, la ragazza protagonista della storia, che si filma e carica i suoi video su YouTube, ci sono anche tanti pezzi di un insieme da ricomporre. La scatola dei ricordi è in disordine, ma rappresenta l’unità narrativa, il filo da cui partire per questa lettura.
In bilico tra l’inconsistenza e la tangibilità, Come svanire completamente è un oggetto raro che non fa impazzire soltanto i collezionisti, ma chiunque abbia un cuore. Se Catalano colpisce per la sua ironia, Baronciani parla attraverso l’intensità dei suoi personaggi. Ci sono molti modi di raccontare l’amore, ma è inutile non dirlo, c’è chi riesce a incanalare meglio le proprie emozioni coinvolgendo anche gli altri. Ah, solo ce ne fossero di più di Baronciani e di Catalano…