Era il 26 aprile del 1996. Cristiano Godano, Riccardo Tesio, Luca Bergia insieme al bassista Dan Solo, davano alle stampe Il Vile, seconda, e significativa tappa, di quella che sarebbe stata una lunga e ricca discografia. Prodotto da Gianni Maroccolo, il disco confermava, incupendo i toni, ma mantenendo inalterata la poetica di Godano e l’approccio sonico della musica, il gruppo di Cuneo come una delle realtà emergenti che in quegli anni stavano dando vita alla scena indipendente italiana: Afterhours, Ritmo Tribale, C.S.I., Cristina Donà, Verdena e tanti altri stavano scrivendo, finalmente, all’alba degli anni novanta, una nuova pagina della musica italiana con la capacità di farsi carico delle esperienze della musica indipendente americana portandole sul suolo patrio e rappresentando, finalmente, una realtà diversa dal racconto sanremese o da festivalbar, così comune presso il grande pubblico e la grande distribuzione. Dai palchi di periferia, spesso dei centri sociali quando questi avevano ancora un reale e chiaro valore storico e politico, fino ai video in rotazione sulla nascente Mtv.
A distanza di ventuno anni da quel disco, e dopo la positiva esperienza del tour celebrativo di Catartica, i Marlene onorano Il Vile portandolo in giro nei principali club italiani. Ieri sera, venerdì 10 febbraio, hanno fatto tappa allo SMAV, il club nato alla periferia di Caserta, che nel giro di due anni e mezzo ha saputo coniugare la possibilità di cenare in una cornice accogliente fra travi di legno e lampadine sospese, con quella di ascoltare grande musica dal vivo della scena alternativa italiana, tra i grandi nomi del passato e del presente e le giovani promesse del futuro. Nonostante una giornata a dir poco primaverile, è nel freddo pungente di questa serata che la band scende da un furgoncino che li porta, mai come in questo caso, da una provincia in ombra, come quella da cui provengono, a un’altra provincia lontana, dalla loro, centinaia di chilometri, e nascosta dal clamore intorno alla vita del capoluogo campano.
Nella sala accanto a quella dove si esibirà la band, mentre si beve e si mangia, si guarda anche la partita Napoli – Genoa ma l’attesa si sente, eccome, per quella che, oltre ad essere una celebrazione della band è, anche e soprattutto, un modo per tornare indietro nel tempo, per contarsi, e guardarsi intorno tra gli irriducibili di quel momento, storico e musicale, che nel tempo avrebbe lasciato spazio a tutt’altro tipo di musiche sotto la stessa etichetta, quella della musica alternativa e indipendente.
La sala è gremita, sono tanti i trentenni, i quarantenni che quella stagione l’hanno vissuta e sanno che Il Vile non è soltanto un grandissimo disco ma anche un vettore di ricordi che riaffiorano tra occupazioni e banchi di liceo, amori e manifestazioni di piazza, scanditi da una poetica, quel misto di sudore acre e romanticismo maudit di cui Cristiano Godano è stato (ed è tuttora) in Italia assoluto e indiscutibile interprete.
Con un bicchiere di birra in mano, sentiamo la folla gridare: la band è sul palco, entriamo e, a sorpresa, il primo pezzo è La città dormitorio, da Lunga Attesa, l’album uscito nel gennaio del 2016, con il quale i Marlene hanno ripreso la ruvidezza del passato, dopo una parentesi in cui il pop aveva intrecciato la propria strada con le distorsioni e l’attitudine noise/punk/rock degli esordi. Come a rimarcare questa continuità negli anni, la scaletta de Il Vile non solo suona disordinata rispetto alla tracklist originale ma sarà alternata proprio ai pezzi di Lunga Attesa. La scelta funziona: se su disco, infatti, il recupero delle origini, pure in un album di livello, poteva talvolta sembrare coperto da una leggera patina polverosa, nella dimensione live, da sempre congeniale a Godano e compagni, sembra quasi di non avvertire discontinuità tra i due lavori. Certo, quando partono le note delle canzoni de Il Vile, la temperatura aumenta, e con lei i sorrisi in sala, la voglia di cantare a squarciagola, le grida di consenso che si vanno a sovrapporsi al frastuono. 3 di 3, che ci riporta subito alla cifra di quegli anni tra giri di basso e distorsioni, tra sentimenti e seducente lascivia, L’agguato che con la sua forza cinematografica, oggi, sembra quasi richiamare l’atmosfera noir dell’ultimo e recente Tom Ford, Ape Regina con il basso di Luca “Lagash” Saporiti a dare ritmo e scheletro vivo a questa marcia d’amore triste, desolata, sghemba e malata. Il lirismo de L’esangue Deborah precede quella Come stavamo ieri che, da ritratto meraviglioso e d’incredibile intensità della frattura dentro a un rapporto d’amore, diventa quasi una metafora attraverso cui guardare a questi venti anni che ci separano dall’uscita de Il Vile. Tempo ne è passato e tanto; tra il pubblico, però c’è anche gente più giovane che a quell’esperienza guarda ancora e dentro quei dischi, seminali proprio perché capaci di continuare a dare frutti, ha saputo e voluto comunque vivere e formarsi come una nuova e possibile gioventù sonica.
E allora appare chiaro che nulla dentro questo Onorate Il Vile sa di operazione nostalgia. Questo ritrovarsi tra reduci, di un’epoca come di un’attitudine alla vita, sa invece di resistenza, come a voler rimarcare il proprio posto e il proprio punto di vista dentro il panorama musicale certamente, ma anche all’interno di una certa cultura che fa della potenza del rock e della profondità dei testi un corpo di scelte politiche, un modo, in definitiva, diverso di stare al mondo, che sa di non dover essere relegato al passato e che, anzi, è ben consapevole che è proprio attraverso il recupero delle istanze, anche solo artistiche, di una certa stagione che è possibile uscire dall’impasse di tanta musica contemporanea, anche nostrana.
Dopo Retrattile in cui Godano ha l’ennesima possibilità di fare sfoggio anche della sua grande abilità scenica (e, fatto, non secondario di una performance vocale di altissimo livello per l’intera serata) e l’asprezza della title track, arriva il momento dei bis. La ballata La promessa, tirata fuori da Che cosa vedi del 2000, Lunga Attesa, quindi Ineluttabile da Ho ucciso paranoia del 1999. Poi, uno stacco di batteria inconfondibile introduce, come splendido e inatteso commiato di due ore di concerto, Nuotando nell’aria. Un modo forse per ringraziare il pubblico che, a sua volta, rende omaggio alla band cantando, senza sbagliare una parola, quella che è tra le canzoni italiane più belle di tutti i tempi.
Resta il tempo di bere ancora una cosa, di essere accolti dal calore del locale, scambiare due chiacchiere con i musicisti, osservare la fila per farsi una foto con un più che disponibile Godano, e tornare a casa non prima di aver visto il loro furgoncino andare via. Sapendo che come stavamo ieri, sarà così domani.
Scaletta
- La città dormitorio
- 3 di 3
- L’agguato
- Formidabile
- Fecondità
- Overflash
- Cenere
- Niente di nuovo
- Leda
- Ape regina
- L’esangue Deborah
- Come stavamo ieri
- Sulla strada dei ricordi
- Retrattile
- Ti giro intorno
- E non cessa di girare la mia testa in mezzo al mare
- Il vile
Bis
- La mia promessa
- Lunga attesa
- Ineluttabile
- Nuotando nell’aria