Sceneggiatore, rapper, attore e comico, cantante. Una sola figura momentaneamente esercita tutte queste professioni con egual successo, quella persona è Donald Glover. Nato nel 1983 e cresciuto ad Atlanta, il trentatreenne americano promette di essere il nome in assoluto più caldo del 2017 e degli anni a venire, per una serie di motivi che intrecciano tutti i succitati campi operativi, uniti da qualche denominatore comune: qualità, intelligenza e creatività.
Glover ha cominciato ad ottenere la notorietà nel 2009 grazie al ruolo di Troy Barnes nella serie comedy Community, una delle meglio realizzate degli ultimi anni nel suo genere. Quasi contemporaneamente inaugura anche la proprio carriera musicale sotto lo pseudonimo di Childish Gambino, rilasciando diversi mixtape che però non ricevono affatto una buona accoglienza, soprattutto da parte della stessa comunità rap, che lo accusa di essere “troppo bianco” in termini di flow. Effettivamente Glover non ricalca lo stereotipo del rapper afroamericano di provincia, la sua è una normale famiglia della working class americana, lui è un ottimo studente che lavora duro e riesce a laurearsi nel 2006 alla New York University con una laurea in scrittura drammatica, che utilizzerà cominciando a lavorare come sceneggiatore quasi immediatamente.
Tutti i percorsi artistici sono portati avanti contemporaneamente ma in particolare la svolta musicale arriva nel 2011, con la pubblicazione del primo vero album Camp, sicuramente aiutato dell’enorme popolarità che ha intanto acquisito proprio Community. Nell’album, e nelle sue liriche, possiamo rintracciare quello che poi diventerà il chiodo fisso della produzione personale di Glover, ovvero le questioni razziali, sia esterne che interne alla comunità afroamericana e rap da cui lui stesso non era sfuggito a seguito dell’uscita dei suoi primi lavori. Tutte le canzoni dell’album mettono in chiaro le cose in modo anche molto duro come in Fire Fly:
These black kids want somethin’ new, I swear it Somethin’ they wanna say but couldn’t cause they embarrassed, All I do is make the stuff I would’ve liked
È una forte presa di posizione nei confronti dei suoi detrattori, rivendica la libertà per un ragazzo nero di fare semplicemente quello che vuole, libero dagli stereotipi musicali (e di conseguenza sociali) che lo vorrebbero legato ad uno stile vero dedito più a rappresentare il feticcio della street credibility che se stessi e le proprie inclinazioni e passioni. Così ancora in All The Shine:
What the fuck do y’all niggas really want? I went with realness instead But all the real niggas I know either crazy or dead […] What’s the point of rap if you can’t be yourself uh?
Da questo momento il buon Donald non si ferma più. Nel 2013 esce il secondo album di Childish Gambino, che nonostante le prese di posizione del primo, a livello musicale va sicuramente molto più incontro alle tendenze del momento mentre nei testi continua a punzecchiare tutti i suoi, ormai per lo più ex, detrattori ma con un cambiamento non da poco. Difatti se precedentemente la questione della sua personalità di ragazzo nero diverso era risolta esclusivamente all’interno della stessa comunità afroamericana adesso Glover comincia timidamente ad avvicinarcisi, aggiungendo inoltre una grande tendenza introspettiva a molti brani. L’album ha un grande successo, grazie anche allo stile molto più trap di prima.
In questi anni Donald Glover non ha comunque smesso di recitare e scrivere per la televisione ed anche per il cinema, con ruoli per lo più di secondo piano in film di primo, come l’horror The Lazarus Effect, o The Martian di Ridley Scott oltre al blockbuster Magic Mike XXL. Una palestra creativa che si rivelerà fondamentale per quello che a tutti gli effetti è il suo show, Atlanta uscito appena qualche mese fa e che lo vede nel ruolo di creatore, sceneggiatore, regista, direttore esecutivo ed attore principale. La serie tv, di cui in realtà non si è ancora conclusa la prima stagione e della quale è già confermata una seconda, verrà probabilmente ricordata fra qualche anno come un caposaldo del genere. Qui Glover mostra il suo lato decisamente più intelligente, in senso accademico, i tempi dello show sono infatti gestiti perfettamente così come la tematica trattata: quella di un ragazzo padre semi-divorziato e disoccupato ma laureato ed intelligente che si improvvisa manager del cugino, un perfetto stereotipo afroamericano di rapper da strada, spacciatore e violento ed allo stesso tempo semplicione.
La genialità della serie è la sua totale attualità (la colonna sonora ad esempio è affidata quasi esclusivamente a rapper e musicisti del momento) oltre che all’analisi anatomica della vita dei giovani afroamericani di provincia, mostrata senza nessun intento didascalico o poetico e senza fronzoli. Earn, il protagonista interpretato come detto dallo stesso Donald, rappresenta perfettamente Glover e la sua dualità nell’approcciarsi a quella che teoricamente dovrebbe essere la sua gente. Il personaggio è allo stesso tempo all’interno di essa, e al di fuori. Abbiamo la sensazione che quando ci sia un attacco dall’esterno, ovvero quando si parli del purtroppo sempreverde tema delle iniquità fra neri e bianchi, se non direttamente di violenza delle forze dell’ordine verso i giovani afroamericani, ecco in quel caso Earn si schieri ovviamente dalla parte della sua comunità, si riscopre a boy in da hood per dirla con le parole di uno che su quel tipo di attitudine ci ha costruito una vita prima che una carriera. Nella quotidianità al contrario sono molti di più i momenti di riflessione e critica che il personaggio, anche silenziosamente, sembra esprimere, quasi sentendosi superiore ai suoi amici ed ai suoi affetti che finisce però sempre per amare ed in qualche modo ammirare.
Oltre ad aver quindi rilasciato una delle serie migliori dell’anno, se non degli ultimi anni, Glover quest’anno è diventato anche padre per la prima volta. Non si tratta di una notizia di gossip ma di un fattore importante per approcciarsi al suo ultimo album uscito in questi giorni, per la precisione il 2 Dicembre. Aweken My Love! è quindi il terzo album rilasciato come Childish Gambino a distanza di tre dall’ultimo e di due dall’ep Kauai che aveva visto il passaggio ad un suono più patinato e la collaborazione con Jaden Smith. I due singoli Me and Your Mama e Redbone avevano decisamente lasciato intendere di non aspettarsi un because the internet parte due e difatti è andata proprio così. Dall’inizio alla fine Gambino non rappa nemmeno una strofa, perché semplicemente questo non è un album rap, ma sembra in tutto e per tutto un album dei Funkadelic, se il gruppo di George Clinton (che per altro è accreditato in una delle tracce) registrasse album negli anni ‘00. Per stessa ammissione di Glover l’iconico gruppo funk è il maggiore ispiratore del lavoro, a partire dall’artwork che richiama quello del capolavoro del 1971 Maggot Brain.
Alcune canzoni quasi vanno oltre le semplici citazioni, come ad esempio Have Some Love e Boogieman che riprendono spudoratamente canzoni come Can I Get To That, contenuta proprio in Maggot Brain. Le chitarre sono tantissime e suonate perfettamente (grazie al suo produttore storico Ludwig Goransson), mentre Glover canta in modo semplicemente sublime, già in passato aveva fatto capire di avere una voce estremamente soulfull ma qui raggiunge veramente dei picchi di altissima intensità, oltre che di grande virtuosismo. La strana duplice sensazione è quella di trovarsi davanti all’album della maturità, come storicamente si addice ai terzi album, ma allo stesso tempo non si può non considerare come il lavoro comporti un’apertura totalmente nuova nel percorso musicale di Glover, ed è facile immaginare quanto farà parlare di sé; sarà curioso vedere inoltre se stimolerà altri rapper che già incorporano nel loro sound elementi di funk, soul, blues, jazz e rock (sto pensando ai vari Chance the Rapper, Kendrick Lamar, Kanye West e tanti altri) ad una transizione simile a quella di Gambino.
All’inizio dicevo quanto fosse importante considerare anche la nascita di suo figlio per approcciarsi all’album, e d’altronde per rendersene conto basta dare uno sguardo ai nomi delle tracce, che ha portato in molti a pensare che il lavoro intero sia effettivamente dedicato al neonato. I testi sono difatti lontanissimi da quelli dei precedenti lavori, in pieno stile Funkadelic, con un messaggio positivistico e di costante rimando alla fratellanza e all’amore, oltre all’attenzione per la travagliata recente storia politica americana ed al problema del cambiamento climatico. Un figlio, un’importantissima nuova serie tv ed un nuovo album. Chiunque direbbe che tutto ciò è quanto basta per tenere occupate una decina di persone diverse, ma Donald Glover sembra non aver bisogno di dormire, e rilancia entrando a far parte del casting del nuovo film di Spiderman, Spiderman – Homecoming, in uscita nel 2017 e che si prospetta come un film dall’incasso record e poi interpretando il protagonista in un altro film che promette di fare sfaceli al botteghino, ovvero lo spin of di Star Wars sul giovane Lando Carlissian, in uscita nel 2018.
Insomma Donald Grover sembra essere in uno stato di grazia assoluto, e in occasioni del genere non si può far altro che mettersi comodi e godersi lo spettacolo, osservando quella che sembra un’ascesa inarrestabile, sudata e meritata, da parte di un artista a tutto tondo che nei prossimi anni potrebbe riuscire nell’impresa di occupare posti di primissimo piano in ben tre discipline artistiche diverse e così importanti soprattutto negli Stati Uniti, quali la musica, la recitazione e la scrittura televisiva. Insomma, nelle parole del suo alter ego Childish Gambino, “being happy is the goal, but greatness is my vision”.