Se volessi semplificare esordirei con “le cose belle succedono per caso”. Per caso ho deciso all’ultimo di dare l’ennesima chance agli Afterhours, non per mancanza di fiducia, ma perchè la nostalgia dei “bei tempi andati”, di come suonavano i primi dischi, di quanto erano forti quelle canzoni là, mi fa ripromettere ogni volta di lasciarli andare. E ogni volta, a cose fatte, mi convinco che nonostante il tempo e i cambiamenti nella formazione, i loro live rimangono un’esperienza catartica.
Questa è la sera delle prime volte. La prima volta al Flowers Festival, naturale prosecuzione di quel Colonia Sonora che ha animato le estati dei torinesi per diciotto anni. I luoghi della musica a Torino sono insomma gli stessi da vent’anni, ma per fortuna non mancano la voglia di rinnovarsi, le idee e le teste per metterle in pratica, e a giudicare dall’afflusso di spettatori, il pubblico sembra piuttosto affezionato alla cornice (tra l’altro splendida) del parco della Certosa di Collegno.
La prima volta senza Giorgio Prette alla batteria. A proposito di cambi di formazione, i fan della vecchia guardia (tra cui mi annovero anche io) sono abituati a vedere membri fondatori andare e venire. Per un Prette che se ne va, sostituito dall’ottimo Fabio Rondanini, che avrete già sentito nei Calibro 35, c’è comunque un Xabier Iriondo che dopo il lungo tour per la riedizione di Hai paura del buio, torna in pianta stabile nella band.
La prima volta dopo che Manuel Agnelli ha deciso di darsi in pasto alla cultura mainstream che per tanti anni ha bistrattato nei suoi testi, e diventare giudice di un talent. Una scelta che personalmente condanno, ma che pare non infastidire il pubblico che affolla il parco, magari mossi, come me, dalla curiosità.
Il nuovo lavoro, Folfiri o Folfox è la riprova, un po’ cinica, che per le menti creative la sofferenza è un grande motore. La morte del padre di Manuel è il tema centrale dell’album, il dolore, la malattia e la perdita vengono sviscerati in tutte le loro forme, non c’è vergogna nel trattare temi delicati e personali e dare tutto in pasto agli ascoltatori. Ed è in questo dolore che, dopo tanti anni, Folfiri o Folfox suona come un ritorno alle origini, vero e crudo come da anni un disco degli Afterhours non suonava più. Dal vivo, Manuel imbraccia l’acustica sui brani tratti dall’ultimo lavoro, e tra Grande, Ti cambia il sapore e Non voglio ritrovare il tuo nome è un crescendo di emozione. Ma i fan aspettano qualche segno del passato, ed è su Ballata per la mia piccola iena che il pubblico esplode, ed il live entra finalmente nel vivo. Andranno avanti così, alternando pezzi nuovi e vecchie glorie, fino alla fine. Con Manuel a destreggiarsi tra acustica, tastiere ed elettrica, in forma come non lo si vedeva da un po’. Una scaletta che è un regalo per i fan, con chicche come Vedova Bianca, Strategie e Pop (una canzone pop) e ben due encore, che si chiudono con Bye Bye Bombay e un omaggio a Mimì, ovvero Emidio Clementi, citato nel testo, compagno del viaggio in India ispiratore del disco Quello che non c’è, nonché protagonista dell’open act della serata, il progetto Sorge portato avanti insieme a Marco Caldera.
Quando parte Verità che ricordavo non si riesce a non ascoltare “spiego ai miei sogni il concetto di onestà, loro che si son trasformati in una professione adatta” senza che la bocca si storga involontariamente in un sorrisetto sarcastico, ricordando quella storia di X-Factor. Il fatto è che semplicemente non c’è bisogno di svendersi, non quando riesci ancora a suonare così, a scrivere così, a fare accorrere ai tuoi concerti tutta questa gente. Manuel e gli altri si sono ancora una volta meritati la fiducia che ho concesso loro, Manuel e gli altri sono ancora dei musicisti con le palle, Manuel e gli altri tengono ancora il palco come pochi e incantano e rapiscono come pochissimi, in Italia. Gli Afterhours sono ancora una delle migliori formazioni italiane. Per me è si.