Il 2015 doveva essere l’anno di Ben Lerner con il suo Nel mondo a venire (Sellerio, traduzione di Martina Testa), ma qualcosa non è andato secondo i piani. Dello scrittore di Topeka – e del suo secondo romanzo – si è parlato e letto relativamente poco. Tutti erano presi dalla sua meta-fiction, dall’oggetto del romanzo che era il tempo. Gli elogi, e le previsioni del grande successo, arrivarono dagli Stati Uniti con un volo chiamato Jonathan Franzen, ma lo sforzo è rimasto vano. I lettori italiani sono stati catturati da altro, a discapito dell’innovazione impersonata dal giovane e promettente scrittore. Nel mondo a venire è rimasto nelle mani di pochi, letto dai soliti mangialibri, e quello che doveva essere il caso letterario dell’anno si materializzò in un buon libro da far rientrare senza ostacoli nella sezione Letteratura Americana.
Approfittando di uno dei temi affrontati da Lerner nel suo romanzo – il tempo –, quello che sta accadendo negli ultimi giorni sembra creare un parallelo che ci trasporta esattamente ad un anno fa. Lo scorso 16 febbraio è uscito per Mondadori Città in fiamme, romanzo d’esordio di Garth Risk Hallberg tradotto da Massimo Bocchiola. Siamo a New York, precisamente nel 1977, e quello che si respira non è affatto un clima rasserenante. Da un lato ci sono scontri e incendi dolosi nel Bronx, dall’altro invece Central Park è invaso da tossicodipendenti e rapinatori di ogni genere. In questo romanzo, considerato da Michiko Kakutani del New York Times come il più grande romanzo americano pubblicato nel 2015, è racchiuso un intero universo che prende vita da un semplice colpo di pistola inferto ad una ragazzina nel teatro raffigurato da Central Park. Hallberg mette così in scena tutta una rete di rapporti umani che smascherano le viscere della Grande Mela. Scritto nell’arco di sette anni, Città in fiamme pare un disegno postmoderno come solo a Don DeLillo è permesso realizzare, ma nelle mille pagine di questo romanzo si riscontra una commistione di generi – dal poliziesco al bildungsroman – che porta il lettore al di là della barricata messa su dall’autore di Giocatori.
Nelle varie interviste rilasciate, Hallberg ha parlato anche della genesi che ha coinvolto il suo romanzo. Il contesto da lui scelto è quello che vede l’influenza della musica punk dilagare per le strade di New York – nello stesso romanzo c’è un personaggio ispirato proprio a Patti Smith, sua cantante preferita. Il periodo da lui tracciato parte del natale del 1976 e si spinge sino al famoso blackout del 13 luglio del 1977. L’omicidio della ragazza a Central Park fa confluire una lunga serie di personaggi e dinamiche sociali che si riscontrano ancora adesso: le vicende e i tumulti da lui narrati sono un chiaro riferimento allo stato d’animo vissuto dagli americani successivamente all’attacco alle Torri Gemelle. È un salto nel tempo che trasmette gli stessi disagi di oggi. In Città in fiamme Hallberg mette in mostra la sua amata New York. Un luogo, come egli stesso definisce, che diventa il ritrovo perfetto di persone che non hanno mai avuto una propria storia.
Tralasciando la parte prettamente narrativa, in termini di mercato quello di Hallberg è uno degli esordi più costosi dell’editoria statunitense. L’editore Knopf ha sborsato un anticipo di ben 2 milioni di dollari che sono finiti dritti nelle tasche dello scrittore originario della Louisiana. In Italia è stato accolto da Federica Manzon, editor di Mondadori. Sui social sta impazzendo la febbre per il Grande Romanzo Americano. Insomma, c’è un grande movimento dietro a Città in fiamme, lo stesso che esattamente un anno fa circolava nei canali di oggi su Nel mondo a venire di Ben Lerner. Se negli Stati Uniti Hallberg ha goduto di un certo successo, non è detto che avvenga la stessa cosa nel nostro paese. Città in fiamme se la dovrà vedere con Purity di Franzen, e sappiamo perfettamente come siamo fatti noi lettori italiani. In alcuni casi preferiamo scegliere l’usato sicuro, in altri invece scegliamo nomi come quelli di Mary Miller, Merritt Tierce e Jenny Offill. Se quello di Hallberg è il romanzo americano più riuscito degli ultimi anni è ancora presto per dirlo. Ben Lerner doveva stravolgere i canoni del modo di fare letteratura ed è finito nel ripiano dello scaffale insieme a tutti quanti gli altri a prendere la polvere del dimenticato. L’entrata in scena trionfante gioca brutti scherzi, altro che Carne viva.