Dario ha iniziato a lavorare a vent’anni, mentre faceva l’università. Lavori precari e pagati poco e non sempre. Lavori che comunque rendevano difficilissimo sostenere con profitto anche tutti gli esami, ragion per cui, a un certo punto, decise di lasciare gli studi e provare a stabilizzarsi professionalmente.
Tutto questo accadeva esattamente trent’anni fa.
Dopo una prima esperienza come apprendista, con prospettiva di lavoro autonomo come libero professionista, e un passaggio da dipendente e poi socio di cooperativa in (allora) promettente azienda di comunicazione, poi, fallita, Dario cerca di ottenere quantomeno la stabilità del salario dal lavoro dipendente.
Il settore degli ipermercati sembrava offrire qualche garanzia anche per i giovani commessi.
La realtà si rivelò molto diversa da come poteva inizialmente apparire: fino a tredici ore di lavoro al giorno per una paga infima e non negoziabile (ogni richiesta di aumento veniva semplicemente ignorata). E non c’era nessuna prospettiva di miglioramento nemmeno andando a lavorare nello stesso settore, presso la concorrenza: i ritmi di lavoro, le condizioni e i bassi salari erano esattamente gli stessi.
Dario decise di provare l’esperienza della fabbrica, a quel punto. Se non altro, a parità di ore lavorate, i salari erano più accettabili (anche perché qui le ore di straordinario erano pagate come tali e quindi con le maggiorazioni previste dalla legge).
Gli anni della fabbrica furono anche gli anni della stabilità e dell’impegno sindacale, ma a nulla valse tutta questa esperienza quando, in concomitanza con l’inizio della crisi, la proprietà decise di delocalizzare. Tutto quello che la fabbrica di Dario produceva venne letteralmente impacchettato e trasferito in Ungheria, dove i costi (in particolare i salari degli operai) erano decisamente più contenuti, con ampi margini di profitto per l’azienda, a parità di prezzo di vendita.
Dario, dopo oltre vent’anni di lavoro, gavetta inclusa, si ritrovava a dover fare i conti nuovamente con l’incertezza e la precarietà.
Nei tre anni di mobilità riuscì a trovare qualche lavoro interinale, sempre nel settore metalmeccanico, ma nulla di stabile e, col tempo, anche l’attività sindacale, svolta sempre come volontario, dovette accantonarla. Con la doppia delusione di vedere logiche clientelari nell’assegnazione degli incarichi retribuiti, a fronte del rifiuto anche di un mero rimborso spese, per chi si era speso quotidianamente per il sindacato, senza però mai prestarsi a questo tipo di pratiche.
Il perdurare della crisi fu devastante. E, con l’esaurirsi degli ammortizzatori sociali, Dario dovette scontrarsi con la dura realtà della disoccupazione.
Negli ultimi tre anni, nonostante l’iscrizione a tutte le agenzie interinali di zona e l’invio di centinaia di curriculum, non c’è mai stato modo di trovare lavoro. Non c’è niente per uno della sua età. Nemmeno ti chiamano, in pratica. In tre anni, tre soli colloqui (ovviamente senza assunzione). I lavori comunali di pubblica utilità sono pochi e toccano a chi ha condizioni di partenza ancora più svantaggiate. Spesso sono stranieri: la solita guerra tra poveri che, alimentata ad arte da certe forze politiche senza scrupoli, ha prodotto il clima di diffuso razzismo che si registra ultimamente nel nostro Paese.
In un contesto del genere, per Dario, dopo la separazione dalla moglie (che col suo lavoro deve pagare il mutuo della casa in cui vive e provvedere al mantenimento di una figlia, ancora minorenne), non c’è stata altra scelta che trovare ospitalità presso i propri anziani genitori, entrambi malati: si prende cura di loro in cambio di vitto e alloggio, in pratica.
Dario compirà a breve cinquant’anni. Oggi è costretto a lavorare in nero, occasionalmente, quando qualche amico gli affida uno o più lavoretti di manutenzione. Non ha al momento nessuna prospettiva di lavoro regolare, anche se è disposto ad accettare qualsiasi impiego di qualunque tipo, purché sia legale.
Secondo certa rozza propaganda razzista, Dario è vittima degli stranieri che gli rubano il lavoro. Secondo una recente vulgata governativa, invece, Dario è il rappresentante di quella generazione di garantiti che avrebbe negato diritti e lavoro ai nostri concittadini più giovani.
Entrambe queste miopi visioni godono di ampio risalto mediatico.
Sul fatto che tutto questo accade, mentre pochi individui continuano, anche nella grande crisi, ad accumulare ricchezze smisurate, però, quasi nessuno si ferma mai a svolgere una qualche riflessione sullo stato del sistema economico e sociale in cui viviamo. Un sistema che produce queste odiosissime distorsioni che, purtroppo, restano sempre ai margini del discorso politico e mediatico in materia di lavoro.
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