C’è una cosa su cui non possiamo contraddire Wilde, tutta l’arte è perfettamente inutile. Una tela di Caravaggio non serve a niente, le parole che leggiamo non servono a niente, i versi di Dylan Thomas e Brecht non servono a niente, e persino tutto il cinema di Kubrick dio solo sa a cosa serve. Servono strade, case, treni, cessi pubblici, bottiglie di vetro e plastica, orologi per portare il tempo; servono coltivatori di tabacco e pomodori, allevatori di bufale e polli, aziende che producono tetti, ombrelli, impermeabili, stufe, tagliatori di legna da buttare nel camino e spazzacamini (o forse si sono estinti quelli), servono automobili, motori, pezzi di ricambio, meccanici bravi, operai della Fiat, produttori di portafogli e cinture, ristoranti, servirebbero più pub dove mangiare e bere, aziende di divani, sedie, coperte, lenzuola, letti!, servono letti di tutti i tipi, singoli, matrimoniali, a castello, materassi soffici e duri per ogni schiena possibile, ortopedici!, servono più medici, servono medicine, farmacisti, alchimisti, scienziati, e pure i fornai, serve il pane e serve la briosche, servono vestiti di tutti i tipi, gonne che assecondano l’estate sulle gambe delle ragazze, stivali che fanno battere il tempo ai piedi dei cowboy, e fabbri, programmatori, fruttivendoli.
Ma allora com’è che non possiamo fare a meno di inventare storie? Come mai non riusciamo a smettere di sentircele raccontare le storie, dai narratori e dai poeti, di ascoltare musica di cantastorie; com’è che non riusciamo a smettere di divorare film, persino telefilm, di seguire una trama, il filo di qualcosa che è completamente inventato, di mettere su un pezzo di musica e sentirci vivi pur sapendo che non serve a un cazzo? Com’è che spendiamo soldi e tempo a seguire il nostro bisogno di storie? Sarà mica che siamo tutti pazzi, o l’umanità a parte la casa e la stufa e il pezzo di pane e il vestito non riesce proprio a fare a meno di qualcuno che la culli con una storia?
Non raccontiamocele, non facciamo finta di niente: sin dalla comparsa del primo poeta se qualcuno è stato lì ad ascoltarlo o a mandare a memoria le parole che diceva vuol dire che ne sentivamo l’urgenza. Omero era una sorta di droga che infiammava lo spirito greco, Shakespeare una dipendenza. Lo guardavi animarsi dentro i teatri e ti dicevi: ma perché diavolo mi piace? Però ti piaceva, seguire la storia, seguire la trama, anche se sapevi che era perfettamente inutile, le parole ti provocavano dentro qualcosa, ti animavano, sprofondavano dentro di te e ti facevano applaudire, oppure ti contrariavano. C’era sempre qualcosa in quelle storie che non potevi fare a meno di guardare, non riuscivi a restare indifferente, non eri mai perfettamente salvo. Arrivavi al Novecento pensando che intorno a te le storie inventate continuavano a crescere: c’era la televisione, c’era il cinema, la fotografia, eri così pieno di cose inutili intorno a te, ma non riuscivi proprio a smettere. Era una mania, una droga, continuavi a cibartene. Pensavi che dovevi pagare la bolletta della luce, e l’attimo dopo aprivi un libro di racconti. Forse volevi evadere, non riuscivi proprio a capirlo, non te ne fregava un cazzo in fondo, eri già altrove. Forse volevi sentirti dire qualcosa. Forse volevi solo lasciarti andare, riconoscerti dentro qualcos’altro per un attimo. Volevi essere l’eroe di guerra dentro il film di guerra, la puttana dentro la tela di un artista. E intanto ti ripetevi che stavi continuando a contribuire al progresso del mondo producendo pneumatici, al suo verso giusto, e non c’era tempo per le storie. Iniziavi una battaglia infingarda dentro te stesso, ma sul divano di casa crollavi lo stesso a guardare qualcosa in tv. Qualcuno inventava una storia per te. Non capivi come fosse possibile, ma era perché tu la guardavi che stava nascendo anche un’intera economia attorno a quelle storie.
Produzioni cinematografiche, serial tv, libri e musica di tutti i generi. La cosa davvero divertente era come tutto quell’ammasso di storie inutili producesse degli utili. Bob Dylan cantava le sue storie e vendeva. Philip Roth ti raccontava qualcosa e vendeva. E c’erano i generi, e c’eri tu a seguirli, e li seguivi così spesso che se ne creavano di nuovi: le storie d’autore, le storie di nicchia, quelle nate puramente da un’operazione di marketing, il fantasy, il giallo, il postmoderno, il punk, la nouvelle vague. Dio solo sa se non avessi avuto bisogno di storie se ci sarebbe stato davvero tutto questo. Siamo avvolti da storie, nessuno escluso. Ed è eccezionale questa primordiale dipendenza dell’umanità dal seguire il flusso dell’invenzione umana.